E quindi, da dove salta fuori la terza del Manchester United?

Non abbiamo mai visto una maglia del genere, eppure non passerà inosservata, per anni.
di Francesco Paolo Giordano 11 Settembre 2020 alle 03:47

Fino a dieci anni fa, i top club europei, Manchester United e Real Madrid in primis, vendevano a stagione circa 1,2 milioni di magliette. Un dato che, negli anni successivi, è prima leggermente aumentato e poi definitivamente esploso: nel 2018/19 lo United ha venduto oltre 3,2 milioni di magliette, praticamente più del doppio rispetto a inizio decennio. I numeri sono cresciuti ovviamente per tutte le realtà principali (Real sopra i 3 milioni, Bayern sui 2,5, Barcellona vicino ai 2) e raccontano al meglio quello che è ormai un trend che anche i meno attenti al tema hanno colto: c’è una nuova “età dell’oro” delle maglie da calcio, dove l’aumento delle vendite è certamente una conseguenza della riscoperta, creativa ed estetica, da parte di chi, le magliette, le produce – ovvero i brand.

La prima grande “ondata” commerciale per quanto riguarda le maglie da calcio fu negli anni Novanta. A fianco alle operazioni più squisitamente di marketing i brand intercettarono l’esigenza di fare dei kit dei prodotti di “moda”: le sperimentazioni di Umbro, o l’ingresso in campo di un player lontano dai canoni estetici tradizionali come Nike, furono dei fattori che accelerarono questo processo. La grande intuizione fu quella di prendere i trend dominanti della moda casual e portarli nel mondo del calcio – gli anni Novanta erano un profluvio di colori e stampe esuberanti, che appunto si ritrova nelle maglie dell’epoca. In qualche modo, quelle divise hanno definito la football culture negli anni a venire, e hanno addirittura influenzato il mondo del fashion oggi – da Supreme a Balenciaga a Off-White.

Probabilmente è difficile rendersene conto adesso, ma, come gli anni Novanta hanno costruito un immaginario estetico a livello calcistico, così oggi il lavoro di brand e club sui design delle divise sta rappresentando un aggiornamento di quei codici e generi. La commistione tra campo e fashion è più forte che mai, e proprio in questo sta la chiave: portare nel calcio, nella cultura del calcio, motivi e trend che arrivano da altri mondi – esattamente come era stato sperimentato trent’anni fa, appunto.

La terza maglia che adidas ha confezionato quest’anno per il Manchester United è figlia di tutto questo: l’idea che oggi è possibile – anzi, consigliabile, per allargare la platea di appassionati – far comunicare due mondi diversi, e farli entrare in contatto. Il motivo dazzle camouflage, con geometrie e strisce bianche e nere irregolari, desunto a sua volta da tutt’altro contesto – un sistema di camuffamento delle navi da guerra a inizio Novecento – arriva dall’abbigliamento casual e si sposa perfettamente con l’idea di una maglia da calcio audace, moderna, diversa.

Non è un caso che per un esperimento del genere – chiamiamolo così, ma è evidente come ormai siamo oltre la fase delle sperimentazioni – adidas abbia scelto il Manchester United, che come abbiamo visto è il club primatista al mondo nella vendita di maglie da calcio. Non solo: per il lancio è stato scelto come protagonista David Beckham, leggenda del club ma, ovviamente, anche un personaggio perfettamente inserito all’interno dello star system mondiale. In questo modo il prodotto è arrivato rapidamente a tutti, anche a chi di calcio se ne intende poco o non se ne interessa affatto, ed è esattamente quello a cui le squadre stanno maggiormente puntando in questo periodo: raggiungere mercati diversi, più ampi, e rendere il proprio brand più forte e riconoscibile.

La terza del Manchester United, negli anni, se non decenni, a venire sarà considerata una maglia iconica, un must degli appassionati – come oggi lo è la famosa bruised banana dell’Arsenal di inizio anni Novanta, che all’epoca del suo lancio era, non sorprendentemente, odiata e disprezzata. Ma, del resto, si tratta solo di uno tra i tanti casi che stanno definendo questa nuova era delle maglie da calcio. Che la moda e i suoi stili siano entrati di prepotenza, lo testimoniano tanti esempi: dall’utilizzo sfrenato, ancora da parte di adidas, del tie-dye, l’anno scorso per le maglie pre-gara e quest’anno, in una versione aggiornata, per la terza della Juventus o per la away del Wolverhampton, alla terza divisa del Manchester City firmata Puma che richiama la stampa Paisley (che, nel frattempo, è diventato un biglietto da visita delle collezioni di Pretty Green, il marchio fondato da Liam Gallagher). Ma siccome la moda ha un linguaggio universale e sconfinato, le possibilità di sperimentare sono infinite, e possono funzionare anche quando semplici: l’idea di applicare sulla home dell’Inter un motivo a zig-zag per e strisce ha raccolto consensi unanimi, diventando immediatamente una reference imprescindibile nell’universo dei design calcistici.

Si può dire che il calcio abbia appreso in ritardo le potenzialità connesse, o che almeno le abbia dimenticate per un lasso di tempo fin troppo cospicuo – basti pensare che adidas ha portato il dazzle camouflage prima nel tennis (Roland Garros 2016) che nel calcio, e un simile discorso lo si può fare per la triangolazione con Palace. Sono trasformazioni che i tifosi più tradizionali faticano a digerire, ma che nei pensieri di chi le maglie le fa (e le mette in vendita) sono qualcosa di irrinunciabile. In fondo, questo non vuol dire che le maglie tradizionali scompariranno – sicuramente si arricchiscono di nuovi dettagli e soluzioni, ma i principi rimangono gli stessi – ma che lo scenario si sta allargando sempre di più: nessuno pretende che la terza maglia del Manchester United – o qualsiasi altra tra gli esempi di cui sopra – piaccia a tutti ma, da adesso in poi, la varietà stilistica sarà una delle nuove, grandi risorse che il calcio avrà dalla sua parte.

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