E quindi, da dove salta fuori la terza del Manchester United?

Non abbiamo mai visto una maglia del genere, eppure non passerà inosservata, per anni.

Fino a dieci anni fa, i top club europei, Manchester United e Real Madrid in primis, vendevano a stagione circa 1,2 milioni di magliette. Un dato che, negli anni successivi, è prima leggermente aumentato e poi definitivamente esploso: nel 2018/19 lo United ha venduto oltre 3,2 milioni di magliette, praticamente più del doppio rispetto a inizio decennio. I numeri sono cresciuti ovviamente per tutte le realtà principali (Real sopra i 3 milioni, Bayern sui 2,5, Barcellona vicino ai 2) e raccontano al meglio quello che è ormai un trend che anche i meno attenti al tema hanno colto: c’è una nuova “età dell’oro” delle maglie da calcio, dove l’aumento delle vendite è certamente una conseguenza della riscoperta, creativa ed estetica, da parte di chi, le magliette, le produce – ovvero i brand.

La prima grande “ondata” commerciale per quanto riguarda le maglie da calcio fu negli anni Novanta. A fianco alle operazioni più squisitamente di marketing i brand intercettarono l’esigenza di fare dei kit dei prodotti di “moda”: le sperimentazioni di Umbro, o l’ingresso in campo di un player lontano dai canoni estetici tradizionali come Nike, furono dei fattori che accelerarono questo processo. La grande intuizione fu quella di prendere i trend dominanti della moda casual e portarli nel mondo del calcio – gli anni Novanta erano un profluvio di colori e stampe esuberanti, che appunto si ritrova nelle maglie dell’epoca. In qualche modo, quelle divise hanno definito la football culture negli anni a venire, e hanno addirittura influenzato il mondo del fashion oggi – da Supreme a Balenciaga a Off-White.

Probabilmente è difficile rendersene conto adesso, ma, come gli anni Novanta hanno costruito un immaginario estetico a livello calcistico, così oggi il lavoro di brand e club sui design delle divise sta rappresentando un aggiornamento di quei codici e generi. La commistione tra campo e fashion è più forte che mai, e proprio in questo sta la chiave: portare nel calcio, nella cultura del calcio, motivi e trend che arrivano da altri mondi – esattamente come era stato sperimentato trent’anni fa, appunto.

La terza maglia che adidas ha confezionato quest’anno per il Manchester United è figlia di tutto questo: l’idea che oggi è possibile – anzi, consigliabile, per allargare la platea di appassionati – far comunicare due mondi diversi, e farli entrare in contatto. Il motivo dazzle camouflage, con geometrie e strisce bianche e nere irregolari, desunto a sua volta da tutt’altro contesto – un sistema di camuffamento delle navi da guerra a inizio Novecento – arriva dall’abbigliamento casual e si sposa perfettamente con l’idea di una maglia da calcio audace, moderna, diversa.

Non è un caso che per un esperimento del genere – chiamiamolo così, ma è evidente come ormai siamo oltre la fase delle sperimentazioni – adidas abbia scelto il Manchester United, che come abbiamo visto è il club primatista al mondo nella vendita di maglie da calcio. Non solo: per il lancio è stato scelto come protagonista David Beckham, leggenda del club ma, ovviamente, anche un personaggio perfettamente inserito all’interno dello star system mondiale. In questo modo il prodotto è arrivato rapidamente a tutti, anche a chi di calcio se ne intende poco o non se ne interessa affatto, ed è esattamente quello a cui le squadre stanno maggiormente puntando in questo periodo: raggiungere mercati diversi, più ampi, e rendere il proprio brand più forte e riconoscibile.

La terza del Manchester United, negli anni, se non decenni, a venire sarà considerata una maglia iconica, un must degli appassionati – come oggi lo è la famosa bruised banana dell’Arsenal di inizio anni Novanta, che all’epoca del suo lancio era, non sorprendentemente, odiata e disprezzata. Ma, del resto, si tratta solo di uno tra i tanti casi che stanno definendo questa nuova era delle maglie da calcio. Che la moda e i suoi stili siano entrati di prepotenza, lo testimoniano tanti esempi: dall’utilizzo sfrenato, ancora da parte di adidas, del tie-dye, l’anno scorso per le maglie pre-gara e quest’anno, in una versione aggiornata, per la terza della Juventus o per la away del Wolverhampton, alla terza divisa del Manchester City firmata Puma che richiama la stampa Paisley (che, nel frattempo, è diventato un biglietto da visita delle collezioni di Pretty Green, il marchio fondato da Liam Gallagher). Ma siccome la moda ha un linguaggio universale e sconfinato, le possibilità di sperimentare sono infinite, e possono funzionare anche quando semplici: l’idea di applicare sulla home dell’Inter un motivo a zig-zag per e strisce ha raccolto consensi unanimi, diventando immediatamente una reference imprescindibile nell’universo dei design calcistici.

Si può dire che il calcio abbia appreso in ritardo le potenzialità connesse, o che almeno le abbia dimenticate per un lasso di tempo fin troppo cospicuo – basti pensare che adidas ha portato il dazzle camouflage prima nel tennis (Roland Garros 2016) che nel calcio, e un simile discorso lo si può fare per la triangolazione con Palace. Sono trasformazioni che i tifosi più tradizionali faticano a digerire, ma che nei pensieri di chi le maglie le fa (e le mette in vendita) sono qualcosa di irrinunciabile. In fondo, questo non vuol dire che le maglie tradizionali scompariranno – sicuramente si arricchiscono di nuovi dettagli e soluzioni, ma i principi rimangono gli stessi – ma che lo scenario si sta allargando sempre di più: nessuno pretende che la terza maglia del Manchester United – o qualsiasi altra tra gli esempi di cui sopra – piaccia a tutti ma, da adesso in poi, la varietà stilistica sarà una delle nuove, grandi risorse che il calcio avrà dalla sua parte.