Tre cose sulla prima giornata di Serie A

La prima Juve di Pirlo, Osimhen e il nuovo Napoli, una Roma indecifrabile.

La Juve di Pirlo parte con il piede giusto

La primissima Juventus di Andrea Pirlo ha un tratto in comune con le illustri versioni dei suoi predecessori: la capacità di vincere, quella di soffrire, anche, e l’abilità nel mettere al centro la qualità dei singoli. Il 3-0 alla Sampdoria rientra nell’ordine naturale delle cose: la squadra campione d’Italia che si sbarazza con relativa facilità di un avversario volenteroso ma tecnicamente troppo inferiore, con un andamento del match che risponde a un canovaccio bianconero già visto molte volte in campionato – primo tempo in controllo, ripresa in leggero affanno prima del raddoppio che spazza via le inquietudini. Ovviamente, il cambio tecnico in panchina – e che cambio – ha il potere di gettare una luce diversa su questo esordio stagionale dei bianconeri, e certo Pirlo non ha fatto mancare le sorprese: oltre alla ormai pluriannunciata difesa a tre, da segnalare una maglia da titolare per il giovane Frabotta sull’out sinistro, la posizione defilata di Ramsey e l’inedito duo d’attacco Ronaldo-Kulusevski, che con o senza Dzeko (nel frattempo risparmiato da Fonseca nella trasferta della Roma a Verona) si alternano nel ruolo di incursori in avanti partendo da posizioni decentrate. Proprio il ventenne svedese è una delle note liete di serata: è lui che apre il tabellino dei marcatori con un sinistro che è più un colpo da biliardo che un calcio a un pallone. E poi c’è l’esordio positivo di McKennie che si spartisce la mediana con Rabiot, una difesa che regge nonostante qualche patema e Cuadrado a tutto campo finalmente liberato (almeno in parte) dalle necessità di dare una mano dietro. È una prima Juve, non certamente quella definitiva, ma al momento si può dire che è una Juve che sta provando a cambiare, a innovare, ad aggiungere, se vogliamo, nuove sfide a un gruppo che è ormai sazio di successi nazionali.

Victor Osimhen ha già cambiato il Napoli, e ha ribaltato la gara di Parma

Prima dell’ingresso in campo di Victor Osimhen, al 62esimo minuto di Parma-Napoli, la squadra di Gattuso aveva provato per cinque volte la conclusione verso la porta di Sepe. E solo una volta il pallone era finito nello specchio. Nella mezz’ora successiva, gli azzurri hanno segnato due gol e hanno tirato per 12 volte verso la porta di Sepe; sei di questi tentativi sono finiti nello specchio. Questi numeri, per quanto eloquenti, non raccontano tutto quello che è successo allo stadio “Ennio Tardini”, durante la prima partita giocata in Italia davanti a un pubblico vero (mille persone ammesse sugli spalti) da sei mesi a questa parte: l’impatto di Osimhen, infatti, è andato oltre, ha scrostato molta vernice stantia dalle pareti del Napoli, ha mostrato – a Gattuso e ai suoi giocatori e a tutti noi – che la squadra azzurra può essere ancora fondata sulla leadership storica di Mertens e Insigne, sulla difesa aggressiva di Koulibaly e Manolas, sulla creatività (un po’ intermittente, ieri) di Zielinski e Fabián Ruiz, e in effetti è tutto vero, però poi si può giocare anche in maniera diversa quando il pallone arriva in zona offensiva. Nel primo tempo della gara di Parma, il Napoli è stato una pessima (perché innocua) copia carbone della squadra che era fino al 2018, e che ha provato a essere in alcuni periodi degli ultimi due anni. Poi però è entrato Osimhen e ha dato una scossa elettrica a tutti, ha mostrato una strada nuova anche agli stessi Mertens e Insigne, con la sua fisicità, le sue corse in verticale, la sua presenza in area – il gol di Mertens è arrivato dopo che Iacoponi è stato costretto a un anticipo di testa sull’ex centravanti del Lille. Magari la formula con Lozano, Insigne, Mertens e Osimhen, più Fabián Ruiz e Zielinski, non è sostenibile per novanta minuti più recupero contro avversari più forti, ma anche questa è una novità che va testata, una possibilità che va esplorata. Così come vanno esplorate le potenzialità di Osimhen, un attaccante dal profilo particolare, unico o quasi in Serie A, che però ha già mostrato di poter cambiare il Napoli e di poter indirizzare da solo – o quasi – l’andamento di una partita apparentemente bloccata, ma poi al Napoli bastava provare a cambiare le cose per riuscire a vincerla.

La Roma è ancora indecifrabile

È vero, il Verona primo avversario della Roma era tra i più rognosi che potessero capitare ai giallorossi: se la squadra di Fonseca è impelagata nei dubbi legati mercato e all’assetto tattico conseguente, quella di Juric è apparsa subito in grado di esprimere un copione chiaro, frutto di idee e di lavoro ancora più chiari. Al Bentegodi è andato in scena uno scontro tra yin e yang, e non serve approfondire i concetti del taoismo per capirlo: bastava guardare alla panchina della Roma, alla presenza/assenza di Dzeko che rimandava a quella di Milik, al fatto che la Roma fosse stata costretta ad andare in campo con Pedro e Pellegrini alle spalle di Mkhitaryan, mentre dall’altra parte del campo c’era una squadra nuova, sì, ma già rimontata in maniera simile a quella dello scorso anno. L’infortunio di Zaniolo e il caso triangolare con Dzeko e Milik hanno reso ancora più indecifrabile una Roma già alle prese con il cambio di proprietà, con la necessità di tenere i conti sotto controllo. In questo modo è come se il talento e le soluzioni già presenti in rosa – che tra l’altro si sono viste pure a Verona: buonissima partita di Spinazzola e Karsdorp, prova positiva per Veretout e Pedro – si disperdesse nelle incertezze progettuali, proprio ciò che depotenzia il lavoro di Paulo Fonseca, un allenatore sistemico, che non ha paura di sperimentare ma ha bisogno di conoscere bene la sua rosa per riuscire a farlo. A Verona, la Roma ha dato la sensazione di poter essere una buona squadra, se non fosse che in certi momenti ha smesso di essere pericolosa pur comandando il gioco, allora il Verona ha potuto alzare il ritmo e ha sfiorato il vantaggio una, due, tre volte – clamorose le traverse di Tameze e Dimarco. Anche Spinazzola ha quasi spezzato la traversa con un bellissimo tiro da fuori, ed è così che lo 0-0 finale diventa un risultato giusto: da una parte abbiamo visto il Verona, ovvero una squadra degna di questo titolo, seppure con giocatori di qualità non eccelsa, mentre la Roma è ancora un insieme di giocatori a cui l’allenatore dovrà dare una fisionomia coerente, credibile, anche se in realtà non dipende da lui, quanto soprattutto dal calciomercato. E il problema è proprio questo, perché il campionato è già iniziato.