L’estate prima del Triplete

Intervista a Esteban Cambiasso, estratto del libro La Storia dell'Inter in 50 ritratti, di Paolo Condò e Fabrizio Biasin.
di Paolo Condò 24 Settembre 2020 alle 10:42

Il 24 settembre 2020 escono in tutte le librerie – fisiche e online – i tre libri della nuova collezione “Il Grande Calcio”, curata da Paolo Condò, firma di Repubblica e di Undici, volto di Sky Sport, ed edita da Centauria. Le opere sono dedicate ai tre club italiani più importanti e seguiti, Juventus, Milan e Inter, e raccontano la storia di queste squadre attraverso i ritratti di 50 personaggi, giocatori, allenatori o dirigenti che sono rimasti nella memoria dei tifosi – anche in quella degli avversari e di tutti gli appassionati di calcio, in verità. Ogni libro è scritto insieme a un altro giornalista (Marco Bucciantini per quello sulla Juve, Giuseppe Pastore per il Milan e Fabrizio Biasin per l’Inter), è arricchito da un saggio introduttivo sul passato della squadra e da un’intervista esclusiva realizzata da Paolo Condò con Claudio Marchisio (Juventus), Alessandro Costacurta (Milan) e Esteban Cambiasso (Inter).

Pubblichiamo oggi un estratto dell’intervista a Cambiasso, tratta ovviamente dal libro La Storia dell’Inter in 50 ritratti: si parla dell’estate del 2009, quando la società nerazzurra cede Ibrahimovic, acquista Samuel Eto’O e sta per tuffarsi nella seconda stagione con José Mourinho in panchina. Qualche mese dopo, l’Inter celebrerà la vittoria dell’unico Triplete nella storia del calcio italiano.

Breve riassunto delle puntate precedenti: dopo il ciclo vincente di Roberto Mancini, il presidente Moratti decide di alzare la posta assicurandosi José Mourinho. Nella prima stagione del portoghese, però, cambia poco: lo scudetto viene vinto con un discreto margine ma in Champions uscite ancora agli ottavi, dal Manchester United.

A testa più alta rispetto alla stagione precedente, la prima in casa la pareggiamo e la seconda resta aperta almeno fino al gol di Ronaldo. Usciamo con la sensazione che manchino i famosi dettagli, e che il club e l’allenatore abbiano un piano su come metterli a punto. L’anno prece- dente, invece, Mancini s’era giocato la conferma dopo la gara di ritorno col Liverpool perché le sue dichiarazioni avevano indispettito Moratti. Ora che possiamo darne un giudizio storico, va riconosciuto che i me- riti di Mancini nella creazione della base vincente furono grandi. Ma è vero che dopo quattro stagioni il rapporto con la squadra era un po’ stanco, diciamo un matrimonio a passione calante. E Moratti l’aveva percepito.

Lo strappo non arrivò a sorpresa, quindi. Lei venne a saperlo in anteprima?

Certo che no, lo appresi quand’ero in vacanza. Ma me l’aspettavo. Malgrado fossimo riusciti a portare a casa lo scudetto, il cambio era nell’aria. Moratti è fatto così, il tipo di persona che non è mai del tutto soddisfatta dei traguardi raggiunti. Uno che non si accontenta. L’avvicendamento non fu violento, avvenne in modo quasi naturale.

Torniamo all’estate 2009. C’è un lungo ritiro americano, a Los Angeles nel campus dell’Ucla, c’è la cessione di Ibrahimović al Barcellona in cambio di Eto’o e robusto conguaglio. L’affare si concluse nel cuore dell’estate: fu un problema gestire Zlatan durante la preparazione? Lui voleva andare, e non lo nascondeva.

In una situazione del genere Ibra non è mai un problema. Conosco pochi professionisti del suo livello. Aveva voglia di cambiare squadra e lo diceva: ma in campo si allenò alla massima intensità fino all’ultima seduta con noi. Certo, parlando a 360 gradi fu prezioso il fatto di trovarci in California, con due o tre giornalisti e un mazzetto di tifosi al seguito: fossimo stati a Brunico o a Pinzolo i media avrebbero parlato soltanto della trattativa, e alla lunga la cosa sarebbe stata dura da gestire.

L’addio di Ibrahimović non vi suonava come un taglio alle ambizioni?

No, no. L’aria era cambiata, si percepiva che un campione sarebbe stato sostituito da un altro campione. Mourinho “era” quest’aria nuova. Non ci ha mai detto di puntare all’ennesimo scudetto oppure alla Champions, era ovvio che fosse venuto per provare a vincere tutto, e che ci considerava capaci di farlo. Semmai la differenza riguardava la coppa Italia, per lui obiettivo di pari dignità – si ricordi che arrivava dall’Inghilterra – men- tre per gli altri tecnici che ho avuto era il più sacrificabile.

Il vostro mercato fu piuttosto movimentato. Tra le novità c’era anche un suo vecchio amico, Diego Milito, il cui rendimento si sarebbe rivelato decisivo. Al di là del vostro rapporto, lei si aspettava una simile esplosione?

Sì, e non soltanto perché conoscevo il suo valore. Si avvertiva un certo scetticismo perché la stagione precedente Diego aveva sì segnato un sacco di gol, ma nel Genoa, un club che non punta alla vittoria finale. Come si sarebbe adeguato alle pressioni molto superiori dell’Inter? Io ero tranquillo perché Diego, in Argentina, aveva giocato per il Racing. Un grande club. Conosceva già lo stress da vittoria.

Paolo Condò • Fabrizio Biasin
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