Sette talenti sconosciuti di Serie A (e dove trovarli)

Sette consigli per sbancare al fantacalcio spendendo pochissimo.

Nella Serie A 2020/21 non mancano le facce nuove: i grandi nomi arrivati dall’estero sono pochissimi (Arthur, Hakimi, Osimhen), e forse proprio per questo è più interessante scendere in profondità, oltre la soglia dei giocatori già conosciuti da tutti, per trovare nuovi talenti su cui investire – poco, ovviamente – per le vostre squadre al fantacalcio. Il mercato è durato più del solito, ma la stagione si gioca in una situazione molto anomala. La moda 2020/21 impone quindi terzini provenienti dal Benelux, romeni che hanno fallito in Belgio, centrocampisti serbi, ex Ajax, calciatori in prestito dall’Atalanta, giovani scandinavi. Insomma, un piccolo esercito di atleti che sperano di lasciare un segno in Serie A e nella nostra memoria, che probabilmente non ce la faranno, per lo meno non tutti, ma che valeva la pena presentare ora, prima che si impongano all’attenzione di tutti o che cadano nell’oblio.

Matteo Tramoni – Cagliari

Per la seconda volta un calciatore della Squadra Corsa di pallò, la selezione nazionale corsa, arriva in Serie A: come ai tempi di François Modesto, è ancora il Cagliari a fare acquisti nell’isola vicina mettendo sotto contratto Matteo Tramoni, esterno sinistro offensivo di piede destro, due presenze con i Bianchi e Neri in un quadrangolare del giugno 2018. Classe 2000, nato ad Ajaccio e cresciuto nel vicino paese di Afa, Matteo porta tatuate sull’avambraccio destro “Dio vi salvi Regina”, le prime parole di un canto religioso scritto dal gesuita italiano Francesco de Geronimo, adottato come inno nazionale dalla Repubblica Corsa di Pasquale Paoli nel 1735. Tra gli altri tatuaggi le iniziali degli amici, una frase in corso la cui traduzione è “la più bella avventura che si può fare è vivere i nostri sogni” e la data di nascita del fratello, Lisandru, di tre anni più giovane, stesso piede e ruolo ma sulla fascia opposta, acquistato dal Cagliari per la Primavera. Dedicatosi al calcio dopo tentativi con judo e taekwondo e un passeggero interesse per il rugby, entra nel settore giovanile dell’Ajaccio a cinque anni e mezzo e a diciassette debutta da professionista in Ligue 2, diventando una settimana dopo il secondo marcatore più giovane della storia degli Orsi. Tifoso dell’ACA da sempre, ritrova come compagno di squadra l’idolo locale Johan Cavalli, per cui faceva il tifo da bambino sugli spalti del François Coty; va a segno sei volte in tre stagioni (ma gli viene rimproverato di tirare meno di quanto potrebbe), collezionando convocazioni nelle nazionali francesi, dall’Under 18 all’Under 20, e attirando l’interesse di diversi club di Ligue 1. Lui, in realtà, sognerebbe la Bundesliga: non guarda molto calcio in televisione al di fuori del Borussia Dortmund e il suo idolo è Marco Reus, anche se, da quando Ousmane Dembelé gli dà consigli in chat su Instagram, anche il Barcellona è entrato nelle sue simpatie. Timido, ha studiato un anno di scienze motorie e pensa, prima o poi, di riprendere gli studi.

Lautaro Valenti – Parma

Il primo acquisto del Parma di Kyle Krause è detto El Churri, ma non si sa perché: il soprannome nasce da un problema che il ragazzo ha avuto e che non si può raccontare. Valenti, alto 188 centimetri, mancino, nasce nel 1999 a Rosario e lì comincia a giocare a calcio come centravanti, venendo poi reinventato come esterno d’attacco, terzino e infine, se proprio non c’è nessun altro, difensore centrale: a chi gli preannuncia un futuro in difesa risponde con una risata, perché a lui piace fare gol. Entra nelle giovanili del Rosario Central, ma se ne va per un “problema” con il portiere della squadra: a quattordici anni viene così tesserato dal Lanús, dove cresce come difensore centrale ispirandosi a Funes Mori e Otamendi. Il debutto in prima squadra arriva, a sorpresa, nel maggio del 2019: il padre, vigente il divieto alla presenza di tifosi ospiti, assiste camuffato da seguace del Vélez, cantando pure i cori. È l’inizio di un anno folle: entrato nel giro dei titolari, segna tre gol nelle prime sette giornate di campionato, finisce al centro di una polemica tra la federazione e il club, che si rifiuta di lasciarlo partire per il Torneo Preolimpico, ed è quindi vittima di un sequestro lampo nei pressi di una pizzeria di Avellaneda, in compagnia della fidanzata e di un amico, venendo liberato nel giro di poche ore dietro versamento, da parte del suo agente, di una somma pari a 5000 dollari e 3000 pesos, molto inferiore alla richiesta iniziale di 70mila dollari. Buon colpitore di testa e tiratore di punizioni, ammette candidamente che in realtà lui vorrebbe fare l’attaccante, ma ormai si è rassegnato. È fermamente convinto che la frutta non sia un dessert: la frutta è frutta, un dessert è un gelato o una torta.

Mërgim Vojvoda – Torino

Una volta, in Kosovo, Vojvoda è stato fermato per eccesso di velocità: i poliziotti, dopo averlo riconosciuto, gli hanno chiesto una foto e l’hanno lasciato andare. Sostiene di essere, a Pristina e dintorni, famoso come Hazard, e i motivi non mancano: cresciuto nelle nazionali giovanili albanesi, è passato alla nazionale kosovara appena è stata riconosciuta dalla FIFA e oggi è il quarto giocatore per numero di presenze. Il nuovo terzino destro del Torino non è nato nella repubblica balcanica, dove torna per le vacanze, allungando il tragitto di otto ore per non passare sul territorio serbo; e non é anato  Liegi, di cui si considera cittadino a tutti gli effetti, dove è cresciuto tifando Standard, da raccatapalle e abbonato allo stadio prima ancora che da calciatore, e frequentando, quando a diciassette anni decide di avvicinarsi alla religione musulmana, una moschea del quartiere di Saint-Leonard. Vojvoda, infatti, vede la luce nel 1995 a Hof-sur-Saale, in Germania, prima che la famiglia sia costretta a tornare in Kosovo, vivendo nei boschi e dormendo sul rimorchio di un trattore, per poi trovare finalmente rifugio in Belgio, dove vivono due zie. Difensore centrale agli inizi, solo nel 2013, nelle giovanili dello Standard, viene trasformato in laterale destro; la dirigenza dei Rouches gli offre un contratto da professionista, ma non un posto in prima squadra, costringendolo a cercare fortuna in prestito in altri club del re delle multiproprietà Roland Duchatelet. Al Sint-Truiden, seconda serie belga, gioca poco e da esterno offensivo, mentre al Carl Zeiss Jena, Regionalliga Nordost, alloggiato in una squallida stanza d’albergo, fatica ad arrivare a fine mese e pensa che sia giunto il momento di cercarsi un lavoro, ma almeno può esibirsi davanti a migliaia di persone ed eliminare l’Amburgo dalla Coppa di Germania. Ceduto al Mouscron a titolo gratuito, lo Standard versa 900mila euro, tre stagioni dopo, per riaverlo e dargli finalmente la soddisfazione del debutto. Gli 11,3 chilometri percorsi a partita non gli evitano le critiche di chi lo vorrebbe in panchina: vuole strafare, complica inutilmente il suo gioco, tenta troppi dribbling. Nessuno è profeta in patria, quanto meno non in tutte le patrie.

Allo Standard Liegi Vojvoda è stato compagno di squadra di una vecchia conoscenza del Torino: Jean-François Gillet, 3 stagioni passate in maglia granata (e oltre 300 partite con il Bari) (Gabriele Maltiniti/Getty Images)

Denis Drăguș – Crotone

Se i video sugli “insane skills and goals” dei giocatori hanno un qualche significato, e non è detto che sia così, nel caso di Denis Drăguș sembra che i degenti dell’Ospedale San Giovanni di Dio abbiano ottimi motivi per affacciarsi alle finestre sull’Ezio Scida. Due minuti su YouTube a guardare l’attaccante classe ’99 convincerebbero chiunque: ubriacanti giochi di gambe, tunnel, gol che farebbero invidia a un Pallone d’Oro. A dar retta ai giudizi di George Hagi nel corso degli anni, Drăguș è “due categorie sopra gli altri”, ricorda Nicolae Dobrin, centrocampista offensivo dell’Arges Pitesti degli anni sessanta e settanta, e sarebbe valutato milioni e milioni se solo fosse serbo o croato. Hagi, però, è pur sempre quello che doveva vendere il giocatore, dopo averlo convinto, adolescente, a unirsi alla sua Academy, dove ama crescere giovani che abbiano un padre, uno zio o un parente calciatore, per poi lanciarli in prima squadra con il Viitorul Constanta. Denis, in particolare, è figlio di Mihai Drăguș, centrocampista anni novanta con un campionato vinto in Corea del Sud, che sa bene quanto paghi puntare sui giovani talenti: nel novembre del 2017 scommette infatti 25 lei, circa cinque euro, sul figlio come marcatore in un incontro di Coppa di Romania e, grazie a uno splendido gol di tacco, il primo da professionista, ne vince 275. L’ascesa è velocissima: debutta in nazionale maggiore nel 2018, prima ancora di esordire con l’Under 21, e un anno dopo passa allo Standard Liegi, dove in un’intera stagione gioca, però, appena tredici minuti. Chi lo ha allenato a undici anni lo ricorda come un bambino viziato.

Dragus è stato schierato dal tecnico del Crotone, Giovanni Stroppa, in tutte e tre le prime partite disputate dai calabresi nella Serie A 2020/21: contro il Milan ha giocato da titolare, contro Genoa e Sassuolo è subentrato dalla panchina (Maurizio Lagana/Getty Images)

Kevin Rüegg – Hellas Verona

La vita è una grande delusione e Kevin Rüegg lo scopre già da bambino, ai tempi del suo primo torneo con la maglia del Greifensee, chiedendo ai compagni quando sia previsto l’ingresso allo stadio: solo allora realizza che, a quell’età, non si gioca in impianti con decine di migliaia di tifosi, ma su un qualche prato, attorniati da sparuti genitori urlanti. I suoi genitori, padre svizzero e madre camerunese, l’avrebbero peraltro avviato volentieri alla pallamano, ma al primo allenamento viene rimandato a casa, a conferma di certi abusati stereotipi sulla severità elvetica, perché a sei anni non sa allacciarsi le scarpe. Poco male, a Kevin è sempre piaciuto il calcio e la sua tipica infanzia svizzera prevede lunghi pomeriggi al parco a giocare con i fratelli Elvedi, Nico (oggi al Gladbach) e Jan, vicini di casa, e le partite casalinghe dello Zurigo con papà nei fine settimana, sognando la maglia di Marco Schönbächler. All’età di dieci anni viene notato dallo Zurigo, dove cresce, come terzino destro, ispirandosi a Ricardo Rodriguez, fino a debuttare in prima squadra nel 2017, a diciannove anni, e indossando la fascia da capitano già a ventuno, in quanto “nativo di Zurigo e incarnazione del FC Zurigo”. Nel frattempo gioca nelle selezioni giovanili svizzere dall’Under 15 all’Under 21 e, come studente della United School of Sports di Zurigo, lavora per due anni come impiegato nel Dipartimento di Sicurezza del comune di Dübendorf.

Salva Ferrer – Spezia

I quattro anni di Ariedo Braida come direttore sportivo del Barcellona non sono passati inutilmente: pur occupandosi di trattative internazionali, l’ex dirigente del Milan ha avuto il tempo di conoscere il territorio, capire cosa si muove nella Catalogna profonda, e segnalare all’amico Guido Angelozzi, allora direttore generale dello Spezia, un terzino destro del Nàstic di Tarragona. Originario, come Eric Garcia del Manchester City, di Martorell, cosa di cui va abbastanza fiero (“dovunque vado dico di essere di Martorell”), nell’estate del 2019 Salvador Ferrer si trova in una situazione particolare: dopo due anni nella quarta serie con La Pobla de Mafumet, l’ottobre precedente ha fatto il suo esordio in prima squadra, entrando presto nel giro dei titolari di un Nàstic che, a fine stagione, è retrocesso in Segunda B. Nato come centrale di difesa e spostato poi sulla fascia destra, Ferrer piace a diverse squadre spagnole, ma è pronto a tornare tra i semiprofessionisti perché nessuno si fa avanti sul serio. L’irruzione dello Spezia, che lo ha seguito a lungo e lo ritiene adatto al gioco di Italiano, con i terzini che rientrano in mezzo al campo, chiude la questione nel giro di poche settimane, giusto il tempo di assicurarsi che il club ligure non sia uno di quelli che, ogni tanto, in Italia, falliscono. Ferrer, cui manca un anno per completare gli studi di Infermieristica, impiega fino a novembre per entrare nei meccanismi di Vincenzo Italiano, che considera un allenatore molto spagnolo, e diventa poi uno dei punti fermi nella cavalcata verso la Serie A. Apprezza le Cinque Terre e anche Milano, ma solo il centro.

Nella sua prima stagione italiana, Ferrer ha giocato 33 partite con lo Spezia, 29 in regular season e quattro nei playoff che hanno portato il club ligure in Serie A per la prima volta nella storia (Alessandro Sabattini/Getty Images)

Joel Asoro – Genoa

A Joel Asoro piace lo sport perché lo sport piace a sua mamma. Ha cominciato a seguire il calcio perché lo guardava con lei in televisione e sostiene di aver iniziato a idolatrare Ronaldinho già ai tempi del Paris Saint-Germain, cosa che farebbe di Joel, nato a Stoccolma nel 1999, un appassionato davvero precoce. Segue la NBA, tifa Cleveland, una delle quattro sorelle è una giocatrice professionista di basket e il suo film preferito è Il sogno di Calvin. Fino ai quattordici anni ha fatto anche atletica, correndo i centro metri in 11,5 secondi, e la velocità è rimasta, insieme a una tecnica che alcuni definiscono superba, una delle sue armi migliori quando si è dedicato interamente al calcio. Entrato a undici anni nel settore giovanile del Brommapojkarna, in Dejan Kulusevski trova un compagno d’attacco letale, che gli fa segnare anche tre gol a partita, e un grande amico: i due fanno ancora le vacanze insieme e, quando tornano a Stoccolma, si ritrovano a giocare a calcetto a Vällingby con i vecchi compagni del Bromma. A sedici anni, seguito dagli osservatori di tutta Europa, decide di trasferirsi a Sunderland, seguito dalla madre, e quando, a diciassette anni e 117 giorni, diventa il più giovane debuttante del club in Premier League, il futuro sembra essere suo: il sito della UEFA lo paragona a un giovane Thierry Henry. Immortalato nella prima stagione del documentario Netflix Sunderland ‘Til i Die, nel 2018 ottiene la cessione allo Swansea, una scelta che, a posteriori, riconosce come sbagliata; ha passato l’ultima stagione in prestito al Groningen. Non ha idea di cosa farebbe se fosse primo ministro per un giorno, perché non sa nemmeno come funzioni; è comunque improbabile che Maran arrivi a chiedergli tanto.