La storia d’amore tra Prandelli e la Fiorentina, bellissima e incompiuta

Cinque anni spettacolari, privi di un grande trionfo.

Siamo nell’estate del 2005, pochi giorni prima del sessantesimo anniversario della bomba atomica su Hiroshima, e Claudio Cesare Prandelli si ritrova a passeggiare nei pressi della A-Bomb Dome. Non capita tutti i giorni di passare davanti al Museo della Pace e della Memoria, in compagnia del sopravvissuto Iwao Nakanishi, e di sentirsi chiedere da Cristian Brocchi e Martin Jorgensen se sia possibile trovare un po’ di tempo per visitarlo. Ultimamente, nella vita dell’allenatore, di normale c’è stato però ben poco: un anno fa era in ritiro con la Roma, poi sono arrivate le dimissioni, a campionato non ancora iniziato, per stare vicino alla moglie Manuela, gravemente malata, e lunghi mesi dedicati all’arte contemporanea, con visite a mostre e acquisti di quadri, e al golf, hobby intrapreso qualche anno prima, dopo essere stato esonerato da Zamparini.

La panchina della Fiorentina non arriva all’improvviso: mentre da casa, con gli storici collaboratori Pin, Venturati e Casellato, si dedica a quella parte di lavoro che si rimanda sempre, perché non c’è mai tempo, studiando i moduli tattici delle squadre e utilizzando il figlio e i suoi amici come cavie per test atletici, Prandelli ha conosciuto la dirigenza viola: già a fine ottobre, a Milano, nella sede della Tod’s in corso Venezia, ha incontrato Diego Della Valle e il direttore generale Lucchesi, ribadendo di non potersi impegnare in quel momento, ma di essere disposto a riparlarne a stagione finita. A giugno, quindi, mette la firma sul contratto: non triennale, come gli è stato proposto, ma annuale, con opzione sul secondo anno, perché a Parma ha fatto così e ha portato bene. Appena giunto a Firenze, Prandelli ha una domanda: che fine ha fatto “Bibi” Bismark Ekye? Ricorda di aver visto in televisione un posticipo serale del lunedì, Serie C2 2002-2003, in cui il ghanese ha segnato il gol dello 0-2 sul campo del Rimini, permettendo alla Florentia Viola di vincere lo scontro diretto e di sorpassare i romagnoli in testa alla classifica. Per quanto il biglietto d’ingresso di quella partita compaia, insieme a Julia Roberts e Carolina di Monaco, in un quadro conservato nell’ufficio di Andrea Della Valle, Bismark è però già un caro ricordo del passato: il club non solo ha ormai recuperato il suo nome e la Serie A, ma nell’estate del 2005, dopo una stagione che ha visto avvicendarsi in panchina tre allenatori squisitamente novecenteschi come Emiliano Mondonico, Sergio Buso e Dino Zoff, con la salvezza raggiunta soltanto all’ultima giornata, è già lanciato verso il futuro.

Nuovo allenatore, nuovi giocatori, nuovo sponsor tecnico, Lotto, che propone un’inopportuna tuta bianconera, forse ripresa da quella del Siena, e nuovo direttore sportivo: l’ex maresciallo dell’Aeronautica Pantaleo Corvino lascia il Lecce, il Salento e i suoi mille ulivi di Vernole affinché si compia il suo destino: la prima partita di calcio che ha visto, a nove anni, è stata un Bari-Fiorentina, e ora gli tocca rivoluzionare il club viola, andando a comprare talenti più o meno giovani come Montolivo, Donadel, Pasqual, Gamberini, gente d’esperienza come Fiore e Brocchi, un portiere, Frey, che si riduce lo stipendio e ammette umilmente di essere il terzo migliore al mondo nel suo ruolo, ma soprattutto, per dieci milioni di euro dal Palermo, Luca Toni.

L’entusiasmo è da subito alle stelle: Prandelli, dopo aver passato mezz’ora rinchiuso in una stanza con Giovanni Galli, a parlare di calcio «usando tutti quei termini che chi non ha lavorato con Sacchi non può capire», viene presentato allo stadio, davanti a duemila tifosi che intonano “SuperCesare portaci in Europa”. La squadra non lavorava così dai tempi di Malesani, si dice tra i larici del ritiro di Folgaria, dove Diego Della Valle scende dall’elicottero con interni in pelle color carta da zucchero per dire che «se non fanno una Fiorentina forte li ammazzo, io e i tifosi li ammazziamo di botte», mentre anziani e bambini vogliono toccare il nuovo ds celebrato dai cori degli ultras: «Un direttore così non l’abbiamo avuto mai, quando Corvino arrivò, tutta la curva esultò».

L’entusiasmo non è mal riposto: per tutto il campionato la Fiorentina non scende mai oltre il quinto posto. Se all’inizio si parla di salvezza tranquilla, di un anno di transizione, dopo la dodicesima giornata, con la squadra che batte per 3-1 il Milan e lo aggancia al secondo posto, i tifosi che suonano i clacson per le strade di Firenze, il miglior attacco della Serie A, un Toni a quota 15 gol con 27 tiri in porta, non si può non pensare a una qualificazione europea. Fin da subito Prandelli ha dichiarato di volere una squadra divertente, che faccia innamorare i ragazzini come il Brasile, e al tempo stesso una squadra educata, di giocatori sinceri, con la faccia pulita, un calcio con meno polemiche, in cui si parla meno di arbitri, ma è stato altrettanto chiaro a tutti che l’obiettivo è, prima o poi, di vincere qualcosa: «Quante volte mi hanno detto “Bravo, Cesare”. Beh, fa piacere. Ma io vorrei poter dire: abbiamo vinto. Ecco, io so che qui a Firenze questo è possibile».

Nelle due stagioni vissute alla Fiorentina con Prandelli, Luca Toni ha realizzato 49 gol in 71 partite ufficiali di tutte le competizioni (Newpress/Getty Images)

A Prandelli, che dice di sentire la responsabilità perché nella natia Orzinuovi ha diversi amici che tifano Fiorentina, la città piace: abita in collina, in via della Torre del Gallo, visita gli Uffizi, si muove su una Smart per le strade di San Frediano, gioca a golf al Mugello, frequenta i salotti per iniziative di beneficenza, il figlio gira per casa cantando i cori della Fiesole e persino il prato del Franchi è uno dei migliori d’Italia, “è già da Champions”, si dice. L’attrazione è reciproca: alla festa di Natale della Fiorentina, Piero Pelù fa notare a tutti «come è bello Prandelli. Guardatelo da tutte le angolature, non vi sembra uguale a Alan Ford?». Qualche settimana, prima, intanto, è arrivato il rinnovo: l’allenatore resta fino al 2008.

Tutto, insomma, sembra convergere verso il finale di stagione perfetto: la profezia fatta da Cavasin qualche anno prima, urlando ai giornalisti davanti a un albergo («Tra qualche anno saremo sullo stesso aereo per andare a giocare una partita di Champions»), è sul punto di compiersi, anche se in mancanza del profeta. In ventimila si trasferiscono al Bentegodi per l’ultima di campionato contro un Chievo già in Coppa Uefa: vittoria per 2-0 e quarto posto assicurato, Toni segna il suo 31esimo gol, garantendosi così, dopo il Telegatto di gennaio come miglior sportivo, anche il titolo di capocannoniere e la Scarpa d’Oro, la prima vinta da un italiano, ma la festa è in parte rovinata dalle prime notizie su Calciopoli, che vedrebbero coinvolta anche la Fiorentina. E infatti, ad agosto, è il Chievo a giocare i preliminari in Champions League, mentre al Franchi, per la Coppa Italia, arrivano in quei giorni i siciliani del Giarre.

Il mago di Orz si dice pronto a restare anche in B, ma non ce n’è bisogno: per affrontare la A, con diciannove punti di penalizzazione poi ridotti a quindici, viene trattenuto Toni, a lungo cercato dall’Inter, e gli viene affiancato Adrian Mutu. I soli sei punti raccolti nelle prime cinque giornate non lasciano ben sperare, ma da febbraio in poi arrivano sedici risultati utili consecutivi: la Fiorentina chiude con la miglior difesa del campionato, senza quel -15 sarebbe sola al terzo posto. Prandelli si definisce il primo allenatore a qualificarsi due volte alla Champions League per seguirla due volte dal divano: «Credo sia un record mondiale, mi sono informato».

Nelle sue (prime) cinque stagioni sulla panchina della Fiorentina, Prandelli ha accumulato 119 vittorie, 54 pareggi e 67 sconfitte in 240 gare di tutte le competizioni (Vincenzo Pinto/AFP via Getty Images)

Toni non c’è più, ceduto al Bayern Monaco: la salsa che portava il suo nome da Scheggi, radicchio rosso e maionese, viene dedicata all’allenatore, mentre il vuoto lasciato in attacco è occupato da Pablo Daniel Osvaldo e Cristian Vieri. L’argentino mette la firma sui momenti esaltanti del campionato, non solo la bellissima rovesciata all’Olimpico di Torino, a un quarto d’ora dalla fine della Serie A, che manda la Fiorentina finalmente in Champions League, ma anche, in quello stesso stadio, il più bel ricordo di Prandelli da allenatore viola, quella vittoria sulla Juventus che, in trasferta, mancava dal 1988, vent’anni esatti, e che arriva a marzo, nel più impensabile dei modi, con l’ironia del gol iniziale di Gobbi e la rimonta, dal 2-1 al 2-3, a opera di Papa Waigo e, appunto, Osvaldo al minuto 93. Il primo celebra con una danza di guerra, l’altro citando Batistuta con una mitragliata, mentre a Firenze esultano i venditori senegalesi di Borgo San Lorenzo e Roberto Cavalli urla davanti a un maxischermo.

Mille tifosi accolgono la squadra all’aeroporto di Peretola, sono giorni in cui si può dire di tutto: Prandelli, che ha da poco vinto la seconda Panchina d’Oro consecutiva, metterebbe la firma per vincere lo scudetto entro sette anni; Corvino, che è più ottimista e pensa possa accadere anche prima, vede in Papa Waigo un «Jair vecchia maniera» e in Kuzmanovic «un giocatore alla Pirlo»; di Montolivo si scrive, sui giornali, che studi da Gerrard. Anche il ritorno in Europa, in Coppa Uefa, a sei anni di distanza dall’ultima volta, è un successo o quasi: tra il debutto a Groningen, in un preliminare abbastanza eccitante da essere trasmesso dall’emittente porno ContoTv, e la semifinale contro il Rangers, si registrano non solo la vittoria prestigiosa sull’Everton o il perfetto calcio di punizione di Mutu a Eindhoven, ma anche gli unici (finora) gol europei di Franco Semioli, Daniele Cacia e Samuel Di Carmine e la parabola di Cristian Vieri, arrivato a parametro zero, ormai nell’autunno della sua carriera, fatto dimagrire, sistematosi in una fattoria a Prato con la madre Nathalie, andato a segno nove volte in stagione e che però, il primo maggio, in quella serie di rigori che può valere la quinta finale europea della storia viola, sbaglia il tiro decisivo dal dischetto, stirandosi al momento di calciare, mentre indossa una maglia celebrativa per un ipotetico decimo gol che non potrà mai mostrare a nessuno.

Dopo la fine della sua esperienza a Firenze, Prandelli ha guidato per quattro anni la Nazionale italiana, poi il Galatasaray, il Valencia, l’Al-Nasr e il Genoa (Gabriele Maltinti/Getty Images)

Dopo aver aspettato tanti anni, ben nove dai tempi della squadra capace di vincere a Wembley, e aver eliminato lo Slavia Praga nel preliminare, è forse un segno del destino che, alla prima occasione utile, Fiorentina-Steaua Bucarest, l’inno della Champions League non parta: colpa di un problema tecnico all’impianto di amplificazione, la partita finisce 0-0 e in un girone con Bayern Monaco e Lione è un passo falso fatale. Nonostante il terzo posto nel girone, e l’eliminazione anche dalla Coppa Uefa nel doppio confronto con l’Ajax, la Fiorentina sembra però ormai una perfetta macchina da quarto posto, obiettivo centrato ancora, questa volta grazie ai gol di Gilardino, pezzo pregiato di una campagna acquisti che ha visto arrivare anche Jovetic, Vargas e Felipe Melo.

Ritrovato Prandelli, e tornato a segnare con la regolarità dei suoi giorni migliori, Gilardino – che Povia crede bene di celebrare, senza che l’attaccante ne abbia colpa, dedicandogli il brano “Centravanti di mestiere” – può riprovarci nella stagione 2009-10, al tempo stesso il punto più alto e la fine di un ciclo. Eliminato lo Sporting di Lisbona sotto gli occhi di Sting, la Fiorentina si ritrova in un girone non meno difficile del precedente: Liverpool, Lione e Debrecen. Sarà per merito di Stevan Jovetic, paragonato da Prandelli a un Totti giovane, autore di una doppietta che stende il Liverpool alla seconda giornata e fa arrabbiare Benitez come mai prima, ma questa volta la Fiorentina va oltre ogni speranza: 15 punti, primo posto nel girone, la soddisfazione di andare ad Anfield Road, già qualificati agli ottavi, portandosi dietro anche Matteo Renzi con figli al seguito, di vedere Nacho Castillo in campo, dalla parte giusta della storia, e di vincere, ripetendo un’impresa riuscita in Italia soltanto a Genoa e Roma, con Gilardino che segna il gol decisivo, il più importante della sua vita, ed eguaglia Batistuta nel numero di gol europei con la maglia viola.

Gilardino e Prandelli hanno vissuto due stagioni insieme a Firenze, tra il 2008 e il 2010:l’ex attaccante di Milan e Parma ha giocato 94 partite in tutte le competizioni e ha segnato 44 gol, di cui dieci tra Champions League e Coppa Uefa (Clive Brunskill/Getty Images)

Su quanto accade dopo anche la sorte gioca la sua parte: potendo incontrare Porto, Stoccarda, Olympiakos e CSKA Mosca, la Fiorentina agli ottavi trova il Bayern Monaco, non la più agevole delle seconde, e il resto è storia, con Ovrebo che interviene a modo suo nell’eterna sfida tra i Bolatti e i Müller, tra i Gobbi e i Robben, risolta a favore dei bavaresi per la regola dei gol in trasferta, Renzi che esige le scuse della Uefa, le mail di protesta che si accumulano e una stagione che passa velocemente dalla lotta su tre fronti, con il sogno di una possibile vittoria in Coppa Italia spezzatosi  in semifinale contro l’Inter di Mourinho, al disfacimento degli ultimi mesi.

L’addio all’allenatore, che solo pochi mesi prima, nell’euforia delle parrucche alla Jovetic, sembrava destinato a restare a lungo, mentre ora pare vicino alla nazionale, è lungo e deprimente: l’ultima gara casalinga, con la squadra in mezzo al campo sulle note di “Viva la Vida” dei Coldplay e i bambini che sventolano bandierine viola, poi l’ultima di campionato, con il Bari di Ventura che vince 2-0 e sorpassa al decimo posto con gol di Stellini e Rivas, quindi l’ultima partita in assoluto, un malinconico Fiorentina-Juventus al Rogers Centre di Toronto, in mezzo a tifosi con le maglie dell’Inter, del Barcellona, del Liverpool, e le lacrime. Al ritorno nessuna festa d’addio, ma lo ringraziano i tifosi, “per cinque anni di applausi”, la questura, per non aver mai scatenato reazioni da parte della folla, e i giornalisti di Repubblica, che gli organizzano una piccola festa in redazione. Non ha mai smesso di abitare a Firenze.