Domenico Berardi: a volte è giusto attendere il talento

I due gol in Nazionale, il grande rendimento con il Sassuolo: finalmente ha raggiunto la sua maturità?

La necessità e la frenesia di voler raccontare il calcio ci portano spesso a rifiutare di riconoscerne la complessità. Siamo sempre alla ricerca di un nesso semplice, di un rapporto causa-effetto che possa spiegare – facilmente, velocemente – come e perché avvengano determinate cose. Prendiamo la carriera di Domenico Berardi, per esempio: è ovvio che l’etichetta di “talento sprecato” abbia un fondo di verità, del resto era un attaccante che sembrava già pronto per giocare ai massimi livelli quando aveva 19 anni; poi però è come se si fosse fermato, come se non fosse riuscito a migliorare come ci aspettavamo da lui.

Più o meno nel 2017, abbiamo iniziato a vedere raccontare Berardi come un calciatore che non riusciva a mostrare le sue qualità, come un calciatore non maturo, perché si faceva ammonire ed espellere molto spesso (59 cartellini gialli e sei rossi dal 2013 a oggi), perché aveva abbassato la sua media gol (ha segnato 31 gol nelle prime due stagioni in Serie A, poi 27 nelle tre successive), perché non riusciva a incidere sulle partite come avrebbe potuto – o meglio: come avremmo voluto che facesse. È evidente che anche Berardi ci abbia messo del suo, ma è proprio qui, a questo punto, che abbiamo rifiutato la complessità del calcio: l’immaturità di Berardi era dovuta in parte a fattori interni, personali ma andavano considerati anche quelli esterni, indipendenti da Berardi; forse l’attaccante del Sassuolo non era stato stimolato a dovere dagli allenatori del Sassuolo, forse gli serviva più tempo rispetto ad altri giocatori del passato, o della sua generazione, per esplodere.

Il talento, in moltissimi casi, non basta. Anche se è enorme. E la consapevolezza che occorre per capire questo passaggio può manifestarsi subito oppure farsi attendere, può arrivare a 18 anni – come nel caso di Mbappé, per esempio – ma può anche non arrivare mai; può essere innata o magari deve essere coltivata. Ecco, il caso di Berardi è proprio questo: oggi l’attaccante del Sassuolo e della Nazionale sta mostrando il meglio di sé, lo sta facendo con continuità, ha imparato a tenere accesa la luce e a non farsi divorare dal proprio lato oscuro, non ha cancellato alcuni tratti negativi del suo carattere (sei ammonizioni e un’espulsione nell’ultima stagione) ma del resto chi riesce a essere davvero e sempre perfetto, nel calcio come nella vita? Nessuno, esatto.

L’idea che su Domenico Berardi fossimo noi a sbagliare, a non capire, a rifiutare la sua complessità, è stata confermata anche dal suo attuale allenatore: in un’intervista rilasciata a Repubblica, Roberto De Zerbi ha detto che «il caso di Berardi puoi comprenderlo solo se conosci bene la persona: è un ragazzo genuino, consapevole della sua forza ma anche del fatto che è il suo ambiente a conferirgliela. I suoi amici, i suoi affetti. Domenico è spiazzante, perché siamo abituati a un mondo in cui tutti vogliono salire di più, brillare di più, guadagnare di più. La sua permanenza felice al Sassuolo va contro le regole». Queste parole dicono tante cose, dentro e tra le righe: dicono che Berardi ha costruito e vede la sua maturità in modo diverso da come la vediamo noi o la vedono molti suoi colleghi, ne fa una questione emotiva più che tecnica, economica, disciplinare; dicono che Berardi ha bisogno di una serenità difficile da raggiungere, perché anche al Sassuolo ha vissuto momenti negativi, tutto questo magari non lo ha ancora reso (non lo renderà mai?) pronto per un grande club; dicono che il suo talento è sempre stato ed è ancora enorme, e che De Zerbi ha trovato il modo per esaltarlo.

Insomma, Berardi aveva bisogno di un certo contesto intorno a lui per poter trovare il meglio di sé, per poterlo mostrare sul campo. Un contesto che parte dalla sfera personale ma poi deve avere anche alcune caratteristiche tattiche. Ce ne stiamo accorgendo compiutamente ora che le cose sono andate e stanno andando in un certo modo: con il Sassuolo di De Zerbi, Berardi ha segnato 25 gol e servito 16 assist decisivi dal 2018 a oggi; con la Nazionale, ha realizzato due gol (molto belli) nelle ultime due partite, ma soprattutto ha mostrato di essere perfettamente inserito nel gioco sofisticato e ambizioso di Mancini, in un’idea di calcio dominante che si esprime attraverso il possesso palla, di potersi esprimere al meglio come esterno completo, che sa organizzare la manovra offensiva venendo a giocare il pallone dentro il campo, a piede invertito, ma che sa puntare anche la porta, sa attaccare gli spazi dietro la difesa avversaria – come successo ieri sullo splendido passaggio servito da un altro giocatore rigenerato dal Sassuolo e da De Zerbi, Manuel Locatelli.

Un gol bellissimo

Oggi Berardi è un calciatore pienamente definito nella sua dimensione, anche se magari speravamo che a questo punto potesse – dovesse – essere titolare nella Juventus, nell’Inter, nel Napoli o anche nella Roma e nella Lazio, che avesse collezionato più di nove presenze in Nazionale, quattro in Europa League e zero in Champions League. Queste promesse sono state disattese, ma questa non può e non deve essere una sentenza definitiva, una certezza incrollabile: c’è ancora tempo, è probabile che Berardi giochi i prossimi Europei e poi la fase finale di Nations League, e può essere che lo faccia da protagonista in un gruppo che parla la sua lingua e che, evidentemente, sa metterlo a suo agio; poi c’è la stagione molto promettente del Sassuolo, una squadra che ha mostrato di poter ambire al ritorno in Europa, per la qualità del gioco ma anche per le doti – ben oltre la media – di Berardi e di altri suoi compagni, Locatelli, Boga, Djuricic, per la loro capacità di armonizzarsi sul campo.

A 26 anni compiuti, Berardi ha saputo costruirsi e darsi un’altra occasione. Ora sta a lui provare a sfruttarla per andare oltre il livello che ha raggiunto. Allo stesso modo, però, potrebbe anche decidere di rimanere dov’è, in senso geografico ma anche sportivo: magari perché è lui a volere proprio questo, oppure perché non riesce a immaginarsi lontano dal Sassuolo, da questo Sassuolo, in un club che gli chiederebbe qualcosa di diverso, qualcosa di più, e che quindi gli metterebbe maggiori pressioni. C’è ancora tempo per capire quale è e quale sarà la dimensione definitiva di Berardi, la sua maturità si è manifestata più tardi e in maniera diversa rispetto a quanto avessimo previsto, ma è da qui e da ora che bisogna partire per giudicarlo, non da quello che poteva essere. È come se ci avesse dato una lezione: è bene attendere il talento per capire fin dove può arrivare, magari non è giusto farlo in eterno, però a volte vale la pena lavorarci su, cercare di comprenderlo, crederci un po’ di più.