Se le Nazionali non hanno più senso, forse è il caso di ridarglielo

Mai come ora, i break del calcio di club sono visti come un enorme fastidio, da tutti o quasi. Ma quante storie e quante emozioni in meno avremmo senza le rappresentative?

Pensare che la disaffezione degli italiani verso la Nazionale sia solo il frutto di una particolare contingenza storica come la pandemia nella quale siamo immersi è riduttivo. L’insofferenza è palpabile già da molti anni, sebbene non sia mai esplosa clamorosamente come in occasione dell’ultima pausa. L’emergenza ha solo servito il più succulento degli assist e così i club hanno apertamente parlato di partite “insensate” e della possibilità di operare un boicottaggio.

I media hanno riportato prima le polemiche e poi le belle vittorie degli Azzurri con la stessa totale acriticità ormai quasi connaturata a gran parte della comunicazione sportiva, e gli italiani si sono schierati come avrebbe fatto qualsiasi giudice senziente al mondo: dalla parte di chi ha più argomentazioni. D’altronde, quali erano i motivi reali per i quali era importante che si giocasse? Nessuno si è preso la briga di enunciarli ed il perché è sembrato lampante: questi motivi non esistono. O forse, non esistevano. Perché il giorno dopo la vittoria per 4-0 degli Azzurri sull’Estonia qualcosa è cambiato. Non in casa nostra, ma allo Stadio Boris Paichadze di Tbilisi. Al 56esimo di uno spareggio valevole la qualificazione al prossimo Europeo Goran Pandev segna con un calibrato tocco di sinistro il gol che lo porterà, di diritto, sui libri di scuola del suo paese. La Macedonia del Nord batte 0-1 la Georgia e si qualifica per la prima volta nella sua storia. La favola è troppo succulenta anche per la stampa italiana e allora via libera alle agiografie del 37enne Goran, l’highlander, l’eroe del triplete interista che il giorno prima aveva dichiarato «Questa è la partita più importante della mia vita».

Uno storytelling ai limiti della schizofrenia date le premesse con le quali era stata accolta “l’insensata” pausa per le Nazionali, aggravatosi sempre di più col passare del tempo. Eh sì, perché ve ne sarete accorti, da pochi giorni il calciatore più forte di sempre non è più con noi. E tra le infinite gesta selezionabili per restituire al grande pubblico un minimo sentore della magia di Diego Armando Maradona, è stato ovvio anche per i nostri media scegliere quelle realizzate con la maglia della sua Argentina. Quando si parla di Storia con la S maiuscola, alla quale appartiene Diego, si parla quindi di Nazionali. Si parla della Mano de Diós e del Gol del Siglo. E quando non si parla di Storia ma di storia del calcio, o semplicemente di immaginario collettivo legato al calcio, si parla ancora una volta di Nazionali, non per forza in contesti prestigiosi come quello dei Mondiali e non per forza in relazione a episodi antecedenti gli anni Novanta, che consideriamo come la soglia della contemporaneità.

L’impresa di Pandev va ad aggiungersi a un’epica contemporanea delle sfide Nazionali secondarie che va rispolverata: come non ricordare il gol di Zola contro l’Inghilterra nel 1997? Una perla arrivata in una gara di qualificazione al Mondiale del ’98 in Francia: lancio lunghissimo di Costacurta, aggancio col sinistro di Magic Box e botta di destro sul palo del portiere Walker. Wembley espugnato dagli Azzurri per la seconda volta nella storia. Ma ci sono molte altre partite internazionali disputate al di fuori delle grandi competizioni che oggi popolano il nostro immaginario per via delle prodezze che le hanno impreziosite. Una di queste è Svezia-Inghilterra del novembre 2012, un’amichevole terminata 4-2 per gli svedesi e che tutti ricordiamo per quello scherzo della fisica tramandato ai posteri come “il rovesciatone di Ibra”. Sì, quella roba lì che avete visto mille volte su Youtube, quell’acrobazia da 30 metri che va a scavalcare Hart, uscito di testa. Un gol che valse a Ibra il Puskas Award 2013.

Era poi una gara del “Torneo di Francia, una competizione che tra l’altro, non si è mai più disputata, quella storica tra Francia e Brasile del 1997. Se non avete idea del perché questa partita sia rimasta impressa nel nostro ippocampo significa che non avete mai provato a calciare con le tre dita, alla Roberto Carlos, imprimendo al pallone l’effetto che proprio in quell’occasione il terzino della Seleçao mostrò al mondo intero. Punizione per il Brasile: parte il tiro e la ripresa da dietro fatica a tenere dentro l’inquadratura la palla, che aggira la barriera francese come non era mai stato fatto prima.

Brasile-Scozia fu la gara di apertura ai Mondiali 1998, i primi a cui si qualificarono 32 squadre; il formato precedente, con la fase finale aperta a 24 Nazionali, era stato introdotto nel 1982 (Shaun Botterill /Allsport)

Ed è un’altra partita del Brasile a rimarcare l’importanza delle sfide delle Nazionali in ogni contesto, questa volta intrecciandosi col marketing. È il 2005 e la Seleçao rifila un 5-0 al Cile qualificandosi ai mondiali in Germania. Dei cinque gol verdeoro il secondo chiuderà uno spot Nike del filone Joga Bonito passato per i cellulari di una generazione intera: i brasiliani danzano e palleggiano nello spogliatoio sulle note di “Mais que nada” di Sergio Mendes, poi vanno in campo e le immagini tornano quelle reali della partita tra Brasile e Cile, con Adriano che riceve palla sulla destra, dribbla un avversario e crossa sul secondo palo, poi tre tocchi di prima Kakà-Ronaldo-Robinho dentro l’area e la palla in fondo alla rete.

Conclude questa mini-rassegna immaginifica René Higuita, che in un incontro amichevole tra Inghilterra e Colombia decise di stampare nei nostri ricordi la sua ribattuta da scorpione, ovvero la parata più assurda di sempre. Si prega di appendere l’istantanea lì dove possa suggerire più volte al giorno che il calcio odierno senza tutte le partite delle Nazionali sarebbe infinitamente più povero di icone e suggestioni.

Ancora oggi, Roger Milla è il più vecchio giocatore ad aver segnato un gol in una partita della fase finale di Coppa del Mondo: nel 1994, realizzò una rete a 42 anni compiuti (Allsport/Getty Images)

Ma allora come si è arrivati ai toni esasperati dell’ultima pausa? Perché è stata tacciata di insensatezza? La sensazione è che ci sia un problema di narrazione: oggi la Nazionale è sempre più vista come l’intervallo di un film più grande e mai come il film stesso. Sono probabilmente le scorie di svariati mondiali nei quali il protagonista è stato qualcun altro e in particolare dell’ultimo disputato, nel quale l’Italia (proseguendo con le metafore cinematografiche) non era nemmeno nel cast.

Non sembra poi un caso che la narrazione della Serie A sia un prodotto Sky, mentre quella della Nazionale sia un prodotto Rai. Il principale gestore della comunicazione calcistica del nostro paese (nonché quello con lo stile più brillante e moderno) dà agli Azzurri necessariamente poca attenzione finché non arrivano le grandi competizioni – delle quali detiene i diritti. E così, considerando la mancata qualificazione del 2018, sono quattro anni che le partite della Nazionale non sono al centro dell’agenda mediatica sportiva. Per superare la “sindrome dell’intervallo” sarà necessario riportare la Nazionale al centro dei discorsi calcistici di questo paese, ridargli un senso, se possibile utilizzando un’estetica nuova rispetto a quella datata dei canali Rai. Starà poi alla Nazionale di Roberto Mancini riconquistare sul campo l’attenzione degli italiani già nel corso del prossimo Europeo: con queste premesse gli Azzurri giocheranno non solo per vincere ma anche per ricordare a un paese intero il senso della loro esistenza. Scusate se è poco, per una Nazionale insensata.