Lazio, Sampdoria, Bologna, Verona e Udinese. Cos’hanno in comune? Sono tutte squadre vestite Macron. Cinque club: nessun brand, in Serie A, è al fianco di così tante squadre. È il quinto anno di fila che l’azienda emiliana è capofila, per numero di squadra, tra gli sponsor tecnici del nostro campionato. Non è più una casualità, è l’affermazione di un marchio e di un modus operandi. In Italia e all’estero: nei principali sei campionati d’Europa, secondo un report di Iquii Sport, Macron è il terzo brand per diffusione, con il 10,5% dei club. Dietro soltanto ai colossi Nike e adidas: «Un traguardo molto importante, inimmaginabile fino a qualche tempo fa», dice il ceo Gianluca Pavanello, «qualcosa che abbiamo costruito nel tempo: la parte più complicata è rompere il ghiaccio, poi, una volta accreditatisi sul mercato, è più facile diffondersi».
Già, perché il legame Macron-calcio è più recente di quanto si possa pensare: la prima sponsorizzazione è datata 2001, con il sodalizio con il Bologna che dura da tuttora. Quattro anni dopo la prima partnership con un club straniero, lo Swansea, e nel 2016 la prima Nazionale, l’Albania. Oggi, oltre alle squadre italiane, Macron sponsorizza tantissime realtà calcistiche di prestigio, con una storia importante – come la Stella Rossa, la Real Sociedad, il Nottingham Forest o il Deportivo. È fornitore per l’Uefa dei kit delle Nazionali minori fino al 2022 (il cosiddetto Top Executive Programme Kit Assistance Scheme) e soprattutto del materiale arbitrale, che ha aggiunto visibilità e mercato al brand emiliano. E dallo scorso anno è il kit supplier per la neonata lega di calcio canadese, espandendo il suo raggio d’azione anche nel mercato nordamericano.
Tutto questo racconta come il “primato” in Serie A sia solo una parte della diffusione di Macron, che negli anni ha sviluppato una visibilità internazionale rilevante: «L’ottanta per cento del nostro fatturato arriva dall’estero», sottolinea Pavanello, con i mercati francese e inglese a fare da battistrada. E poi c’è il rugby, dove «forse siamo il primo brand al mondo»: oltre ad alcuni dei club più importanti al mondo, Macron è sponsor delle Nazionali italiana, gallese e scozzese. «La firma della Nazionale scozzese è stata fondamentale per affermarci e avere credibilità in questo sport», dice Pavanello.
Un po’ come ha rappresentato nell’ambito calcistico il Napoli, che Macron ha vestito tra il 2009 e il 2015. La sponsorizzazione del club azzurro è stata fondamentale da un lato perché ha accompagnato il Napoli negli anni del percorso di ricostruzione fino al vertice («in rapida successione arrivarono pure le firme di Monaco e West Ham», ricorda Pavanello), guadagnandone molto in termini di appeal e visibilità, dall’altro ha espresso in tutta evidenza quella che è la mission di Macron: non limitarsi a fare maglie belle, ma che siano espressione estetica di quei club. «Le maglie camouflage del Napoli ebbero un successo di vendita impressionante», racconta Pavanello, «ma erano perfette per il Napoli e nessun altro. E in effetti furono kit fortemente criticati dagli altri, ma amatissimi dai tifosi azzurri: perché incarnava al meglio quell’ideale di rivincita, di riappropriazione di una storia importante che il club viveva in quegli anni».
È un’idea interessante e al tempo stesso rivoluzionaria: quella di destinare elementi distintivi che siano specifici di un determinato club. «Il lavoro sulle maglie è a quattro mani», dice Pavanello, «e parte dalle indicazioni di chi lavora all’interno dei club: è evidente che sono loro a conoscere meglio le rispettive storie. Noi dobbiamo essere bravi a tradurre quelle indicazioni in prodotto: una maglia non dev’essere solo bella, ma autentica. Scambiare i design non funziona, perché anche un semplice colletto può richiamare un preciso design storico». Qualche esempio di questa stagione: la maglia “Andrea Doria” della Sampdoria, vista in campo contro il Milan e ispirata alle origini del club blucerchiato, la maglia home del Millwall, che si ispira alla divisa indossata dal club nel 1988/89, quella del Deportivo, omaggio all’annata in cui i galiziani vinsero la Coppa del Re. Lo stesso hanno fatto in anni recenti brand come Nike – le terze maglie della scorsa stagione, che riprendevano pattern e motivi cromatici degli anni Novanta di ciascun club, o il ripristino della “maglia ghiacciolo” per la Roma quest’anno – o adidas, soprattutto nel lavoro di ricostruzione di heritage stilistico con l’Arsenal. È un percorso che in questi anni è diventato comune, ma che probabilmente Macron ha intercettato per primo.
Ancora oggi questo aspetto è uno dei principi cardine del brand, conquistando così una propria riconoscibilità e fondando il proprio successo all’interno del mondo del calcio: lo ha fatto in anticipo sui tempi, smantellando l’idea dei template e lavorando su ogni singolo dettaglio per ogni singola squadra, in modo che ciascuna maglia avesse delle particolarità proprie, senza tratti in comune. Le maglie home sono caratterizzate da una pulizia delle linee e da una fedeltà sostanziale all’estetica tradizionale di ciascun club, mentre con le maglie da trasferta e quelle speciali la creatività – che passa da pattern insoliti a accostamenti audaci di colori – ha maggior spazio. Sempre all’insegna di una peculiarità “di appartenenza”: come il fiume stilizzato sulla maglia away del Nottingham Forest, perché il suo stadio sorge sulle rive del fiume Trent. «In sede abbiamo uno spazio», racconta Pavanello, «chiamata “sala dei sogni”, con i kit dei principali club sponsorizzati: si può apprezzare come le creazioni siano tutte diverse in ogni aspetto, nei colletti, nei dettagli, nelle finiture, nei tessuti. Ai club piace molto questo aspetto: lavorare con un’azienda focalizzata sulla ricerca, sulla qualità, su un lavoro non standardizzato».
L’altra particolarità distintiva di Macron sta in una scelta in netta controtendenza rispetto al trend “lifestyle” (maglie pre-gara, collezioni di abbigliamento per il tempo libero, collaborazioni con collettivi artistici) che stanno cavalcando i principali brand sportivi: dedicarsi in maniera netta al segmento performance. «C’è un’enorme differenza», dice Pavanello, «tra un’azienda che produce roba sportiva e roba per fare sport. Noi ci riconosciamo in questa seconda categoria: i professionisti, per noi, sono un po’ come il nostro laboratorio, visto che testano i prodotti che poi vengono messi a disposizione anche per chi fa sport a livello amatoriale». E anche in questo sta il motivo di una diffusione capillare, al fianco di tante realtà europee: la mission di Macron è arrivare proprio a chi pratica lo sport per passione, e in quest’ottica un piccolo club, ma con una fanbase radicata sul territorio, può avere una spinta pari se non più importante rispetto a una big con grande appeal internazionale.
L’obiettivo del brand adesso è continuare a crescere, su una spinta già positiva: il bilancio consolidato del 2019 si è chiuso con un fatturato di 113,1 milioni di euro, pari a un incremento del 15,6% rispetto all’anno precedente. Quest’anno, nonostante le difficoltà legate all’arrivo della pandemia, le stime non sono poi così scoraggianti: «Credo che perderemo non più del dieci per cento del fatturato», dice Pavanello, «che è comunque un ottimo risultato in questo momento. In più, in parallelo, abbiamo affiancato alla nostra normale linea di business una produzione di mascherine e camici». E questo è stato l’anno dell’inaugurazione, tra Crespellano e Valsamoggia, della nuova sede da 22mila metri quadrati, che ospita tutta la parte logistica e gli uffici centrali della società, un quartier generale concepito con una particolare attenzione all’impatto ambientale e che ha ottenuto la BREEAM Very Good Certification (il progetto ha previsto, tra le altre cose, la realizzazione di un impianto fotovoltaico, la predisposizione di ampie vasche per l’accumulo di acqua meteorica, la piantumazione di vegetazione). «La nuova sede è un po’ lo specchio delle nostre ambizioni, visto che è tre volte le dimensioni della precedente. Oggi siamo molto presenti in Europa, e stiamo spingendo molto in Australia, Canada, Emirati Arabi e Qatar. Adesso vogliamo acquisire rilevanza anche negli Stati Uniti e Asia, ma la nostra deve essere una crescita sostenibile e organica», chiude Pavanello.