Guida ragionata alla Nba 2020/21

I temi più interessanti della nuova stagione, che inizia questa notte.

Si riparte, 71 giorni dopo. Con dieci gare di regular season in meno e con le immagini della “bolla” di Orlando ancora vive negli occhi a restituire quella che è stata, che è e che sarà l’Nba ai tempi del Covid. Il più grande spettacolo del mondo o, forse, l’ennesima ricerca di quella normalità che sembra sempre troppo lontana e che, però, ritroviamo nei discorsi sulla caccia ai Lakers campioni, sulla rinascita degli Warriors, sulla legacy di LeBron James e su Luka Doncic e Giannis Antetokounmpo, eredi al trono nemmeno tanto futuri. E siccome oggi “The League” viene vista, raccontata e vissuta anche attraverso la lente dei social network, abbiamo chiesto a quattro tra le community italiane più attive e seguite di raccontare e raccontarci la Nba 2020/2021 attraverso i suoi temi chiave: spazio, quindi, a Luca Mazzella (Overtime – Storie a Spicchi), Giuseppe Bruschi (Passione Basket USA), Cosimo Sarti (The Shot) e Giacomo Manini (Crampi Sportivi).

Che Nba sarà quella post-bolla? Ci sarà spazio per le sorprese o dobbiamo aspettarci dei valori cristallizzati?

Luca Mazzella: Durante la stagione regolare chi ha giocato gli scorsi playoff potrebbe pagare qualcosa, soprattutto all’inizio, a vantaggio di quelle squadre giovani e pimpanti che non vengono dal carico fisico ed emotivo della bolla. Mi aspetto qualche sorpresa in regular season, ma se parliamo di lotta al titolo non vedo grosse novità all’orizzonte.

Giuseppe Bruschi: Non sarà una stagione post lockout, ma non sottovaluterei il netto distacco di preparazione fisica tra le squadre impegnate nella bolla e le altre. Oggi più che mai vincerà chi sarà in grado di gestire le energie in vista dei playoff.

Cosimo Sarti: Alla lunga i valori reali emergeranno comunque, anche se si tratta di una sfida nuova e intrigante per tutti: l’augurio è di non assistere a troppe assenze programmate in chiave di risparmio delle energie e di avere uno spettacolo all’altezza anche prima di maggio.

Giacomo Manini: All’inizio le 72 gare potrebbero avvantaggiare leggermente le squadre più rodate ed esperte. La curiosità riguarderà quelle franchigie lontane dai campi per quasi un anno. Tanti giocatori hanno avuto tempo a disposizione per poter migliorare e sarà interessante vedere se e come lo avranno fatto.

In questo senso cosa ci ha detto l’ultima Free Agency?

LM: Molto bene i Lakers ma, se parliamo di upgrade, la firma di Paul porterà i Suns almeno al livello dei Thunder della scorsa stagione. I Sixers hanno aggiunto tiratori al quintetto, mentre i Bucks partono con le stesse incognite dello scorso anno. Boston si è “salvata” con Thompson dopo due mesi in attesa di Hayward che è il secondo “max player” perso in cambio di nulla dopo Irving.

GB: Qualche trend si sta invertendo. I giocatori forti sono rimasti nei rispettivi mercati (anche se piccoli) per poi provare ad attirare altre stelle in futuro. Non sono convinto che sia la scelta vincente, ma ce ne accorgeremo tra un paio d’anni, non certo in questo.

CS: Tutto il mio apprezzamento va a Giannis per la scelta coraggiosa di legarsi a un mercato piccolo come Milwaukee. Per il resto credo che non ci siano stati movimenti tali da stravolgere la gerarchia cristallizzatasi negli ultimi playoff.

GM: I Lakers si sono rinforzati ma, a mio avviso, è Phoenix ad aver fatto un gran salto in avanti: Chris Paul è l’uomo che senza infortuni può davvero rendere possibile l’impossibile. A mio avviso chi poteva fare di più è Milwaukee, così come Philadelphia che non ha risolto ancora alcune carenze strutturali. Ho molto apprezzato la lucidità dei Celtics che si sono liberati del contrattone di Hayward e hanno consegnato a Tatum le chiavi della franchigia.

Chris Paul ha esordito in Nba nel 2005, con i New Orleans Hornets; i Phoenix Suns sono la sua quinta squadra nella lega dopo i Los Angeles Clippers, gli Houston Rockets e gli Oklahoma City Thunder (Skip Bolen/Getty Images for PBA)

Quindi chi può ambire al ruolo di contender dei Lakers?

LM: Miami ha tutto per bissare i playoff dello scorso anno, Milwaukee potrebbe avere qualche problema contro le difese da playoff, i Nets con Durant sono tutti da scoprire, i Clippers hanno qualche lacuna nel roster ma possono puntare alle Finali di Conference se George alzerà il livello del suo gioco da aprile in poi.

GB: Credo sarà ancora una questione tra Lakers e Clippers. Milwaukee ha compreso i limiti di Giannis ed è intervenuta per provare a risolvere le sue carenze, anche se nutro ancora qualche dubbio. Gli Heat sono una realtà solida da quando c’è Pat Riley, e Spoelstra ne sa una più del diavolo: lotteranno per arrivare in fondo.

CS: I Bucks hanno il dovere di essere la seconda finalista e ne hanno tutti i mezzi. Stesso discorso per i Clippers alle Western Conference Finals. Denver, Portland, Dallas, Brooklyn, Miami e Boston le mie candidate a potenziali sorprese.

GM: Questa è la stagione in cui ci si aspetta il salto di qualità da Bucks, Celtics e Clippers, mentre i Nets per ora sono da titolo solo sulla carta. In ogni caso molto dipenderà dalle condizioni, anche ambientali, in cui si arriverà ai playoff: per questo non escluderei un’altra stagione ad altissimo livello degli Heat che hanno costruito una delle culture più invidiate della lega.

Questa doveva essere la stagione del ritorno degli Warriors ma l’infortunio di Klay Thompson rischia di complicare tutto: che margini di competitività hanno Curry & co?

LM: Hanno provato a mettere una pezza puntando su un giocatore molto interessante come Oubre e hanno aggiunto un giovane dal grande potenziale come Wiseman. Prima del crack di Klay erano una delle due/tre favorite, ora partono più indietro. C’è margine per fare un’ottima stagione ma temo non sufficiente per arrivare in fondo.

GB: Steph Curry rimane un giocatore eccezionale e Steve Kerr è un allenatore fantastico. Mi aspetto facciano una stagione oltre le aspettative (basse) dei media.

CS: Credo che ci divertiremo comunque a rivedere Steph in campo: da lui passa l’obiettivo, ambizioso, di rivedere i Dubs fra le prime quattro ad Ovest anche se bisognerà valutare anche la possibilità di una ricostruzione in tempi brevi. Joe Lacob non può continuare a spendere così tanto tra luxury tax (147 milioni) e stipendi (175).

GM: I margini per fare una bella stagione ci sono, magari rientrando tra le contender di “seconda fascia”. Certo avere o non avere Klay Thompson fa tutta la differenza del mondo sui due lati del campo e magari l’anno per provare a rivincere sarà il prossimo.

Il rinnovo a cifre mostruose di Antetokounmpo (228 milioni per cinque anni) ha chiuso l’era dei “superteam” e ha fatto tornare di moda l’idea di franchise player che prova a vincere “da solo”?

LM: Giannis sembra molto diverso da tante altre star e per almeno un’altra stagione avrà spalle sufficienti a reggere eventuali critiche in caso di sconfitta. Purtroppo, la cultura “anello-centrica” potrebbe far vacillare anche il suo desiderio di tentare la scalata con la squadra cui deve tutto.

GB: Mi scuso se rispondo con un’altra domanda, ma chiedo: cosa ha significato per la città di Cleveland vincere un titolo con LeBron James? Ecco, è tutto lì.

CS: L’idea di vittoria come unico metro di valutazione di una squadra e di un giocatore è sbagliata in tutti gli sport: certe volte conta anche il come si vince, non solo il quanto si vince. E per qualcuno l’amore e la gratitudine di una città può essere importante come e più del successo sportivo.

GM: Oggi non c’è una formula magica per vincere: i “dynamic duo”, i “big three” o l’uomo franchigia esistono ma sono concetti più mediatici che reali. Di certo vincere in uno small market ha sicuramente un sapore e un peso diverso per quello che riguarda la legacy successiva: lo abbiamo visto con LeBron a Cleveland.

Giannis Antetokounmpo è stato selezionato come quindicesima scelta assoluta al Draft NBA 2013 dai Milwaukee Bucks; è stato nominato Mvp della stagione nelle annate 2018/19 e 2019/20 (Maddie Meyer/Getty Images)

Harden “prigioniero” dei Rockets in attesa di una trade, Westbrook primo MVP della storia a essere stato scambiato in stagioni consecutive. Riusciranno mai a legittimarsi vincendo un titolo?

LM: Per me legare il concetto di consacrazione a un titolo vinto è sbagliato. Entrambi hanno giocato le Finals e Westbrook è andato a un nulla dal piegare gli Warriors nel 2016. Questo non finirà negli annali, ma se entriamo in una prospettiva diversa dalla rings culture riusciremo a goderceli senza troppi assilli. Poi, se Harden finisce ai Nets, questa consacrazione potrebbe essere più vicina.

GB: Nella storia del basket ci sono i “perdenti” leggendari, quelli che hanno forzato il proprio percorso pur di indossare un anello e quelli che non ci sono riusciti pur avendoci provato. La legacy è importante, anche se tra 50 anni potrebbe essere difficile ricordarsi di Harden e Westbrook. A meno che non riescano a vincere un titolo.

CS: Il tempo stringe. Sono due grandissimi ma finora sono stati incapaci di scendere a compromessi sul loro stile di gioco. Ma in fondo li capisco: la furia di Russ e la metodicità di Harden sono ciò che li rende straordinari, anelli o meno.

GM: Westbrook credo abbia esaurito i suoi bonus, Harden ha ancora qualche possibilità ma Houston non sembra una contender credibile. Credo che per lui sia un discorso di contesto (e allenatore) giusto al momento giusto.

Luka Doncic sarà MVP? Se non oggi, tra quanto?

LM: Se dovesse giocare tutto l’anno come i primi mesi di quello passato, potrebbe essere già questa la stagione giusta. Il record farà molto e Dallas è tra le 10-11 reali pretendenti ai playoff: se penso a un’altra eccezione, sia statistica che come “investitura” della lega, non mi viene in mente nessuno migliore di lui.

GB: Sì. E presto anche.

CS: Ogni anno da qui al 2030 potrebbe essere quello buono. Le chiavi? Stringere qualche vite in difesa e spingere i Mavs al top della Western Conference.

GM: Credo che nelle prossime due stagioni ci siano tutte le condizioni perché accada: la scelta dell’MVP va spesso sull’onda del momento e Luka, oggi, ha il vento in poppa. E a Dallas sembra esserci l’humus giusto anche dal punto di vista tecnico.

Nato a Lubiana, Slovenia, nel 1999, Luka Doncic è passato ai Dallas Mavericks nel 2018 dopo quattro stagioni al Real Madrid (Ronald Martinez/Getty Images)

Tra gli italiani gli occhi sono puntati su Mannion e Gallinari. In attesa di capire cosa sarà di Nico, come va letta la scelta di Danilo di firmare per gli Hawks un triennale da oltre 60 milioni di dollari?

LM: Immagino che Danilo avesse poche offerte allettanti sul tavolo e Atlanta gli ha offerto il giusto compromesso tra l’aspetto economico e quello tecnico. Nico è nel contesto migliore per lui: Kerr e i veterani sono ben predisposti verso i rookie. Non so quanto spazio avrà, ma sono sicuro che gli Warriors lo metteranno in condizione di mettersi in mostra.

GB: Tutti avrebbero voluto vedere coronata la carriera del miglior giocatore italiano con una “title run”. Ma magari il Gallo ha preferito “accontentarsi” di diventare il punto fermo, il veterano di una futura top a Est. Mannion, invece è capitato nel miglior momento storico per essere una quarantottesima scelta al Draft in una Nba attenta allo sviluppi dei talenti, anche quelli più acerbi. È tutto nelle sue mani.

CS: Mannion lo sto seguendo da vicino: è un giocatore unico nel roster degli Warriors, un playmaker brillante e costante. È un two-way player, quindi condiviso con i Santa Cruz Warriors di G-League, ma il talento sta venendo a galla di pari passo con il bisogno di Golden State di avere un backup di Curry: una circostanza che potrebbe aiutarlo. Per Gallinari parlerà il tempo e il campo.

GM: Non entro nel merito di scelte di vita e carriera di professionisti, prendo atto della scelta e delle dichiarazioni di Gallinari che è stato convinto dal ruolo e dal progetto giovane e futuribile proposto da Atlanta. Mannion ha avuto la fortuna di capitare in un contesto stimolante e positivo che può aiutarlo a formarsi indipendentemente dal minutaggio che avrà.

Con l’addio di Trump alla Casa Bianca è ipotizzabile un tipo di rapporto tra la politica e la Nba simile a quello dell’era Obama?

LM: Non è più Trump/Biden il punto, non deve esserlo. La società americana è fortemente divisa, a maggior ragione dopo l’ultima campagna elettorale e le elezioni vinte da Biden nel modo in cui sappiamo. L’obiettivo di migliorare e migliorarsi nel guidare il cambiamento non deve essere perso di vista, deve essere un qualcosa di superiore che prescinde dalla semplice elezione o rielezione del Presidente.

GB: La Nba ha toccato picchi di influenza sulla società mai raggiunti da qualsiasi altra lega o sport. Fare quadrato contro il “cattivo” di turno ha certamente aiutato a costruirsi una certa immagine. Per questo credo vedremo una grande calma nei prossimi anni.

CS: Se ne facciamo una questione meramente anagrafica dubito, ma i rapporti torneranno rispettosi come lo erano già prima del 2016. In ogni caso una bella boccata d’aria fresca, auspicando unità d’intenti sui problemi reali delle comunità di riferimento.

GM: Credo sia un bene non polarizzare la questione. Di certo l’Nba ha valutato come, quanto e quando entrare nei discorsi elettorali, mantenendo saldo il rapporto con i giocatori soprattutto in vista delle trattative per il nuovo contratto collettivo. E se appare verosimile un riavvicinamento alla Casa Bianca, questo avverrà anche per ragioni commerciali ed economiche.