L’Nba non fa più test anti-cannabis sui giocatori, e potrebbe decidere di cancellarli per sempre

La lega sta pensando di rendere permanente la sospensione decisa prima di entrare nella bolla di Orlando.
di Redazione Undici 23 Dicembre 2020 alle 19:05

L’Nba è ripartita con una formula ridotta e con regole speciali, e tutto questo è ovviamente dovuto alla pandemia ancora in corso. Non si gioca più nella bolla di Orlando, in Florida, ma alcuni provvedimenti pensati e attuati per poter chiudere l’ultima stagione sono stati mantenuti. Uno di quelli più significativi riguarda i test anti-cannabis sui giocatori. Al momento di entrare nella bolla, infatti, si era deciso di non inserire questo tipo di analisi nel protocollo antidoping: la scelta era dovuta alla volontà di mantenere una maggior sicurezza sanitaria all’interno del campus, e di concentrarsi «su altre sostanze che alterano il rendimento sportivo o su droghe d’abuso», come specificato da Mike Bass, portavoce della lega. Ebbene, la moratoria – che prevede anche l’interruzione dei test a sorpresa – proseguirà anche per la stagione in corso.

Secondo quanto riportato da The Athletic, questa decisione potrebbe far parte di una chiara strategia politica a lungo termine: è probabile, infatti, che l’Nba decida di cancellare definitivamente i test, allineandosi in qualche modo ai diversi stati che hanno legalizzato o comunque depenalizzato l’utilizzo medico e/o ricreativo della marijuana. Per la lega, la cannabis fa parte dell’elenco delle sostanze proibite fin dal 1983, quando fu istituito il primo protocollo ufficiale antidroga. Secondo molti analisti e gran parte dell’opinione pubblica, questo tipo di divieto è lontano dall’epoca contemporanea. Adam Silver, commissioner della Nba, ha sostenuto questa lettura: «Riconosco che l’opinione pubblica e la società nel suo complesso abbiano una visione diversa dell’utilizzo della marijuana, soprattutto rispetto al 1983. Per certi versi, la sospensione dei test in questa stagione è un riconoscimento rispetto alla trasformazione socioculturale in atto». Anche l’aspetto medico è importante in questo cambio di percezione: è ormai scientificamente dimostrato come la marijuana e il suo derivato CBD – metabolita della Cannabis – siano delle valide alternative ai farmaci oppiacei con cui i medici trattano alcune patologie.

Sulla sospensione definitiva dei test, Silver si è espresso in maniera più vaga: «Abbiamo altre preoccupazioni ora, ma avremo una discussione sul fatto che la marijuana debba ancora far parte delle sostanze proibite». A livello regolamentare, sarà decisivo il confronto per il prossimo rinnovo del contratto collettivo (in scadenza nel 2024): al momento dell’inizio delle trattative, si deciderà come proseguire. Anche il tempo potrebbe essere un alleato del cambiamento: in questo momento, la legge federale non ha depenalizzato l’uso ricreativo della cannabis, ma alcuni stati hanno preso la decisione opposta (15, per l’esattezza, mentre in soli sei stati è ancora illegale). In virtù di tutto questo, Silver ha spiegato come la lega non voglia «creare una trappola per i giocatori che vivono in città di stati diversi». Qualcosa, però, potrebbe cambiare da qui al 2024, anche per quanto riguarda la legge federale. E a quel punto la strada sarebbe segnata per cambiare definitivamente i protocollo Nba.

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