L’Nba non fa più test anti-cannabis sui giocatori, e potrebbe decidere di cancellarli per sempre

La lega sta pensando di rendere permanente la sospensione decisa prima di entrare nella bolla di Orlando.
di Redazione Undici

L’Nba è ripartita con una formula ridotta e con regole speciali, e tutto questo è ovviamente dovuto alla pandemia ancora in corso. Non si gioca più nella bolla di Orlando, in Florida, ma alcuni provvedimenti pensati e attuati per poter chiudere l’ultima stagione sono stati mantenuti. Uno di quelli più significativi riguarda i test anti-cannabis sui giocatori. Al momento di entrare nella bolla, infatti, si era deciso di non inserire questo tipo di analisi nel protocollo antidoping: la scelta era dovuta alla volontà di mantenere una maggior sicurezza sanitaria all’interno del campus, e di concentrarsi «su altre sostanze che alterano il rendimento sportivo o su droghe d’abuso», come specificato da Mike Bass, portavoce della lega. Ebbene, la moratoria – che prevede anche l’interruzione dei test a sorpresa – proseguirà anche per la stagione in corso.

Secondo quanto riportato da The Athletic, questa decisione potrebbe far parte di una chiara strategia politica a lungo termine: è probabile, infatti, che l’Nba decida di cancellare definitivamente i test, allineandosi in qualche modo ai diversi stati che hanno legalizzato o comunque depenalizzato l’utilizzo medico e/o ricreativo della marijuana. Per la lega, la cannabis fa parte dell’elenco delle sostanze proibite fin dal 1983, quando fu istituito il primo protocollo ufficiale antidroga. Secondo molti analisti e gran parte dell’opinione pubblica, questo tipo di divieto è lontano dall’epoca contemporanea. Adam Silver, commissioner della Nba, ha sostenuto questa lettura: «Riconosco che l’opinione pubblica e la società nel suo complesso abbiano una visione diversa dell’utilizzo della marijuana, soprattutto rispetto al 1983. Per certi versi, la sospensione dei test in questa stagione è un riconoscimento rispetto alla trasformazione socioculturale in atto». Anche l’aspetto medico è importante in questo cambio di percezione: è ormai scientificamente dimostrato come la marijuana e il suo derivato CBD – metabolita della Cannabis – siano delle valide alternative ai farmaci oppiacei con cui i medici trattano alcune patologie.

Sulla sospensione definitiva dei test, Silver si è espresso in maniera più vaga: «Abbiamo altre preoccupazioni ora, ma avremo una discussione sul fatto che la marijuana debba ancora far parte delle sostanze proibite». A livello regolamentare, sarà decisivo il confronto per il prossimo rinnovo del contratto collettivo (in scadenza nel 2024): al momento dell’inizio delle trattative, si deciderà come proseguire. Anche il tempo potrebbe essere un alleato del cambiamento: in questo momento, la legge federale non ha depenalizzato l’uso ricreativo della cannabis, ma alcuni stati hanno preso la decisione opposta (15, per l’esattezza, mentre in soli sei stati è ancora illegale). In virtù di tutto questo, Silver ha spiegato come la lega non voglia «creare una trappola per i giocatori che vivono in città di stati diversi». Qualcosa, però, potrebbe cambiare da qui al 2024, anche per quanto riguarda la legge federale. E a quel punto la strada sarebbe segnata per cambiare definitivamente i protocollo Nba.

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