La ginnastica ritmica è bellezza. Un valore estetico che esiste sulla superficie delle cose: sono forme e colori, linee e movimenti. È la bellezìza più immediata e comprensibile che ha un peso anche ai punti, nelle valutazioni dei giudici, nei risultati delle competizioni: è un valore indispensabile. Ma la bellezza sa entrare in profondità, va a scandagliare altri momenti di un’esibizione in pedana: è l’armonia dei gesti, la loro consecuzione, quella bellezza che nutre l’intelletto come sa fare l’arte, è la tecnica dell’esecuzione, la sorpresa per l’improvvisazione. Alexandra Agiurgiuculese ha 19 anni ed è la ginnasta azzurra di ritmica più vincente a livello internazionale nella storia della Federazione italiana. Per lei la bellezza può avere diverse forme: «È l’eleganza dei movimenti, è una ragazza che ha linee pazzesche, o magari gambe lunghe e forme sinuose; ma è propria anche di chi ha un fisico meno armonico e magari ha una tecnica sublime. Per me la bellezza è un esercizio che sappia raccontare una storia: un racconto di un minuto e mezzo che trasmette emozioni, o un messaggio. Come il trailer di un film».
La ginnastica ritmica vive in quei novanta secondi tra palla, fune, clavette, cerchio, nastro. E Alexandra quei novanta secondi se li porta dietro da tutta la vita, da quando ha iniziato – in Romania, dov’è nata – a sei anni, e li rivive ogni giorno. «Non solo perché è diventato il mio lavoro vero e proprio da circa tre anni, cioè quando sono entrata nell’Aeronautica militare, o perché mi alleno otto ore al giorno. Mi rendo conto che finisco per giocare sempre con qualsiasi oggetto come fossi in pedana, anche con penne o posate, o frutta e verdura».
È il suo approccio a fare la differenza, a metterla un gradino sopra le altre ginnaste. Alexandra distingue chiaramente il talento dal lavoro quotidiano e dall’approccio mentale. Il talento è indefinibile: «Forse non saprei nemmeno dire qual è il mio talento. Di sicuro ho un’elasticità muscolare eccezionale che si mescola alla manualità e alla capacità di improvvisare anche sotto stress, quando magari qualcosa in pedana sembra andare storto e poi mi invento un pezzo che è giusto, e si vede nelle fiches dei giudici. Direi che ho una serie di superpoteri che mi aiutano». Ne parla con scioltezza, come se fosse la cosa più naturale del mondo: «Il talento è così, ti facilita le cose, conta moltissimo per arrivare a certi livelli». Poi subentra l’allenamento: il lavoro quotidiano che perfeziona, rifinisce i dettagli e permette di dare una forma a quelle doti innate che altrimenti non avrebbero modo di esprimersi in pedana: non ai massimi livelli, non sul lungo periodo. «Ma quello che conta di più», dice Alexandra, «è sempre la testa, lo vedi in quei novanta secondi di esibizione. Molte persone in allenamento sembrano fenomenali, magari lo sono veramente, però in gara non rendono. Ci sono molti motivi per cui una ginnasta potrebbe non riuscire a esprimersi al meglio. Ma è proprio dalla reazione a quei momenti che si vede chi arriva in alto».
Per Alexandra il suo carattere è la sua energia, quella componente indispensabile che l’ha portata a essere la migliore, alle vittorie più belle: la primissima vittoria in Italia, ai campionati nazionali di categoria a undici anni, nel 2012; poi l’anno scorso il primo assoluto, dopo tre anni e tre tentativi; poi il successo ai Giochi del Mediterraneo, «tra i più importanti per me perché ero stata infortunata all’inizio dell’anno, e quando mi sono ripresa le prime gare non erano buone come l’anno precedente, quindi dopo tante batoste e delusioni è stata una conferma che ero ancora la più forte». E poi ovviamente ci sono le medaglie ai Mondiali, «il livello più alto di felicità». Il carattere è anche quello che le apre una finestra sul futuro e che la porta a provare cose sempre più difficili in pedana: non a caso il Comitato tecnico internazionale della Federazione di ginnastica ritmica ha istituito un salto che porta il suo nome: un salto Zaripova che prevede una preparazione in en tournant. È la prima ginnasta italiana individualista ad avere un riconoscimento di questo tipo, ad aver inventato una nuova difficoltà corporea: nel codice dei punteggi è contraddistinto dalla dicitura AG, che sta proprio per Agiurgiuculese.
La sua capacità di lavorare sugli errori, di crescere e migliorarsi dipendendo solo da se stessa è anche il motivo che l’ha spinta a fare l’individualista piuttosto che partecipare alla categoria a squadre. «Capita di perdere una gara, perché magari non sono concentrata, ma ho una capacità particolare nel riuscire a motivarmi, a pretendere sempre qualcosa in più da me stessa. È una reazione quasi rabbiosa: mi infastidisce allenarmi tanto e non essere la migliore. Per questo voglio essere sola in pedana e dipendere solo da me stessa. E se sbaglio torno a casa e lavoro più di prima, mi alleno il triplo».
Saper trovare sempre nuove motivazioni è una capacità essenziale per spingersi sempre più in alto. Trovare l’energia ogni giorno per essere la versione migliore possibile di sé. Non per cercare un’idea di perfezione: quella, nella ginnastica ritmica, per Alexandra, non esiste. «Ci sono troppe componenti da guardare: c’è il fisico, bisogna girare tanto, avere belle linee. Insomma, devi avere troppe cose per essere perfetta. Poi l’esibizione che fai in pedana in quel determinato momento non sarà mai perfetta, c’è sempre qualcosa che si può migliorare. Poi ognuno deve provare ad arrivare al proprio massimo».
Alexandra vuole provare ad arrivare al picco delle sue possibilità alle prossime Olimpiadi di Tokyo, posticipate al 2021 a causa della pandemia, dove sarà brand ambassador del Pulsee Italia Team, al fianco di altri campioni italiani, per rappresentare i colori del Paese e i valori che la squadra condivide con l’energy company. Sui Giochi, però, Alexandra preferisce mantenere un po’ di mistero, senza porsi obiettivi prestabiliti. Non è nemmeno una forma di scaramanzia, «è un modo di lavorare, nella mia disciplina posso permettermi di puntare solo su di me, provare a fare il meglio possibile per poi trarne le conseguenze», spiega. Per il momento non c’è oro, argento, bronzo né altro all’orizzonte. Non perché sia un obiettivo lontano nel tempo, «anzi probabilmente le Olimpiadi sono molto più vicine di quel che penso. Ma so solo che è il sogno di una vita che si sta per avverare: fin quando riesco provo a non dare troppo peso a questi pensieri, provo a concentrarmi sul lavoro quotidiano e sulle gare che verranno prima. Poi mi godrò il sogno».