L’Atalanta dei giovani italiani non esiste più

I grandi risultati e le nuove ambizioni dell'era Gasperini hanno modificato le strategie: ora il talento arriva grazie al calciomercato.

Gli straordinari risultati dell’Atalanta nelle ultime stagioni hanno cambiato radicalmente la storia del club, e forse hanno anche un po’ cancellato ciò che era l’Atalanta prima del suo attuale splendore: per gran parte della sua storia, infatti, la squadra bergamasca ha rimbalzato tra una posizione e l’altra nella seconda metà della classifica di Serie A; ha sempre prodotto giovani in quantità, talenti di qualità, ma apparentemente non aveva molte possibilità di elevare il proprio status oltre una certa soglia. Poi è cambiato tutto: con Gasperini sono state gettate le basi per un progetto da sviluppare nel tempo, legato alla valorizzazione dei giocatori tramite un sistema di gioco peculiare, modellato sui principi moderni del calcio europeo. Quando il tecnico piemontese è arrivato a Bergamo, nei piani della dirigenza e della proprietà forse c’era il – solito – percorso di crescita graduale, fatto di attenzione ai bilanci e continuità tecnica e valorizzazione dei giovani. Solo che poi le cose sono andate molto più velocemente, soprattutto sono andate benissimo. E allora si è resa necessaria un’altra rivoluzione, che ha modificato il secolare rapporto dell’Atalanta con il suo settore giovanile, il legame profondissimo tra il vivaio e la prima squadra, ed è proprio questo il cambiamento che, forse più di tutti gli altri, restituisce la misura della crescita vissuta dal club bergamasco.

La premessa necessaria a questa analisi è che l’Atalanta non ha smesso di lavorare con i ragazzi, di cercare lo sviluppo del talento partendo da una profonda cultura giovanile. Anzi, ha vinto le ultime due edizioni del campionato Primavera (l’ultima è stata dichiarata conclusa l’8 marzo 2020, a causa della pandemia), dimostrando di avere ancora capacità di costruire in casa dei calciatori/asset di grande qualità. Semplicemente, però, quelli della Primavera e delle altre squadre giovanili sono giocatori che non è detto arrivino automaticamente in prima squadra: se tre o quattro anni fa il vivaio era il principale bacino di giocatori a cui il club attingeva per rinforzare e allungare la rosa a disposizione dell’allenatore di turno, adesso lo è in misura molto minore. E di sicuro non è più la fonte prioritaria per il reclutamento.

In un’intervista a Repubblica del 2016, nel corso del suo primo anno a Bergamo, Gasperini parlava così del vivaio atalantino: «La vera forza del nostro settore giovanile non sta solo nel numero di ragazzi in gamba che lanciamo nel grande calcio, ma nel fatto che elementi come Caldara, Gagliardini, Conti, Grassi e Sportiello giochino insieme da più di dieci anni. Kessié, per esempio è cresciuto qui. So che ho visto molti stranieri scarsi, so che si preferisce portare soldi all’estero, ma questi non sono affari miei. Credo che lavorando così sia più facile, quasi naturale, allestire un buon vivaio, trasmettere il senso d’appartenenza». Nella stagione 2016/17, effettivamente, in rosa c’erano Gagliardini, Caldara, Kessie, Conti, Sportiello, Grassi, poi arrivò in prima squadra anche Bastoni: oltre la pura quantità, va sottolineato come tutti questi calciatori, o quasi, siano stati elementi fondamentali del sistema di Gasperini.

L’anno successivo, però, le strategie dell’Atalanta hanno iniziato a essere diverse: le cessioni di Conti, Bastoni, Gagliardini e Kessié – secondo la tradizione per cui i pezzi pregiati allevati in casa vanno venduti per fare cassa – sono arrivati De Roon (di ritorno a Bergamo dopo un anno di “esilio” in Inghilterra, al Middlesbrough), Gosens, Castagne, Ilicic, Cornelius, Palomino. Tutti dall’estero, tutti a costi relativamente bassi. Da allora, questa è diventata la tendenza: Caldara, anche lui tornato a Bergamo dopo una pessima esperienza al Milan, e poi Ruggeri, Sportiello e Radunovic sono i giocatori della prima squadra allevati nel vivaio; l’unico con un ruolo di rilievo nelle rotazioni è proprio Caldara, per quanto non sia un titolare inamovibile. In pratica, nessuno è un elemento imprescindibile, nessuno dà forma e valore al sistema come Gosens, Ilicic, Zapata, ma anche giocatori che spesso partono dalla panchina, come Muriel e Malinovskyi.

L’Atalanta è finita per tre volte nelle prime quattro classificate della Serie A negli ultimi quattro anni; ha disputato una finale di Coppa Italia e ha sfiorato l’accesso alla semifinale di Champions League. È evidente che abbia vissuto un’evoluzione rapida e verticale, perciò non può più pensare produrre in casa il numero di giocatori giovani necessari per rinforzare, per allungare la rosa della prima squadra: quando classifica e risultati impongono un certo livello di rendimento, e di ambizioni, diventa difficile – se non impossibile – lavorare secondo un sistema che vuole valorizzare subito giocatori giovanissimi. L’altro punto fondamentale, che in qualche modo giustifica questa nuova politica, riguarda la necessità di accontentare Gasperini nell’assemblaggio della rosa: il gioco del tecnico piemontese richiede elementi di grande fisicità e dinamismo, caratteristiche che non è possibile produrre in serie in un settore giovanile, soprattutto se abbinata a una certa qualità tecnico-tattica. È difficile pensare che il vivaio di un solo club possa allevare due o tre atleti con le misure antropometriche e l’intelligenza di Zapata, Gosens, Hateboer, con la struttura muscolare e la prontezza di riflessi di Palomino e Djimsiti, con la resistenza e la lucidità di De Roon e Freuler. Per quanto un settore giovanile possa essere gestito come una filiera industriale di produzione del talento, certe situazioni non sono controllabili.

Quella che ha portato Muriel a Bergamo è stata l’operazione più costosa in un’unica soluzione, per l’Atalanta: 20 milioni al Siviglia nell’estate 2019. L’acquisto di Duván Zapata è stato invece il più oneroso in assoluto nella storia del club bergamasco, che per averlo ha versato 36 milioni (12 per il prestito, 24 per il riscatto) alla Sampdoria (Marco Luzzani/Getty Images)

Allora il ruolo che era della Primavera e delle altre formazioni giovanili è stato preso dal calciomercato, nuova fonte di talento primaria per la costruzione della prima squadra. In questo senso, il merito più grande del club bergamasco è stato probabilmente quello di lavorare guardando sempre al futuro. È come se i dirigenti avessero intuito la necessità di impostare un cambiamento dall’alto, prima che le cose si complicassero davvero: Percassi e il suo staff hanno intuito che l’Atalanta stava andando verso una nuova dimensione, verso una nuova grandezza, e che il vecchio schema non poteva più funzionare. Era necessario comprare, soprattutto dall’estero, calciatori non ancora affermati e con determinate qualità.

Come detto, però, il grande lavoro impostato a livello giovanile non è stato cancellato, o abbandonato. Piuttosto è cambiata la destinazione d’uso dei giovani del vivaio: oggi la valorizzazione dei talenti dell’Atalanta è una fonte per accumulare ricchezza da investire poi sul mercato, lo suggeriscono le cessioni rapide di Barrow (13 milioni di euro, al Bologna), Diallo (21 milioni, al Manchester United), Kulusevski (35 milioni, alla Juventus). L’ultimo esempio potrebbe essere quello di Ebrima Colley, oggi in prestito al Verona: è stato uno dei giocatori simbolo delle vittorie dell’Atalanta Primavera negli ultimi anni, ma per passare al livello successivo occorrevano e occorrono maggiori certezze, così è stato girato temporaneamente all’Hellas. In attesa di capire se può diventare un giocatore da impiegare nel sistema di Gasperini, oppure se produrrà la prossima plusvalenza.

Una conferma rispetto alla nuova era dell’Atalanta si ritrova nell’annuncio della partnership con il servizio scouting dell’agenzia Wallabies. Giovanni Sartori, il direttore sportivo, lo ha definito una risorsa importante, un servizio che aiuta il club a perfezionare e limare uno strumento – lo scouting, quindi il calciomercato – che oggi è diventato prioritario: «L’accordo ci dà accesso a un programma che permette l’analisi e la scrematura di calciatori provenienti da tutti i campionati in giro per l’Europa, il Sud America e il nord America, un lavoro per il quale ci vorrebbero centinaia di osservatori. In particolare è molto utile nella preselezione dei profili, ovvero la ricerca costante dei giocatori da monitorare per un futuro acquisto. Questa è una fase che richiede molto tempo, dedizione e metodo, e il servizio sarà d’aiuto. Inoltre, abbiamo possibilità di seguire tutti quei campionati che attualmente non stiamo coprendo in maniera diretta con il nostro gruppo, di conseguenza si ampliano in maniera esponenziale le nostre ricerche», ha detto a Calcio & Finanza. Sartori, inoltre, ha precisato che si tratta di un servizio integrativo, per potenziare un settore che l’Atalanta era già in grado di far rendere.

L’Atalanta che è riuscita a superare i gironi di Champions League per la seconda volta consecutiva, che sta lottando per le prime posizioni in Serie A, è stata costruita proprio così: importando in Italia un modello per cui il reclutamento si basa sulle idee e sul sistema di gioco di un allenatore, cercando, individuando e acquistando sul mercato i giocatori migliori possibili, quelli più adatti alle esigenze di Gasperini, non necessariamente quelli cresciuti a Bergamo. È il caso dei vari Gosens, Hateboer, De Roon, Freuler, Palomino, che abbiamo già citato, ma anche chi è arrivato dopo è stato evidentemente inserito in squadra con gli stessi presupposti, da Malinovskyi a Miranchuk, passando per gli ultimi acquisti, Sutalo, Maehle, Mijica e Lammers. Tutte operazioni finanziate con le cessioni dei ragazzi allevati nelle giovanili, tutti giocatori arrivati a Bergamo in una squadra diversa dal passato: più forte, per questo anche più esigente.