Le presentazioni dei nuovi giocatori negli stadi, quelle in stile spagnolo con tante persone sugli spalti e il calciatore appena acquistato che entra in campo indossando la divisa da gioco, subito dopo le visite mediche e la conferenza stampa, le ho sempre trovate un po’ forzate: i tifosi esultano perché la loro squadra del cuore ha concluso un’operazione di mercato, non perché abbia vinto un trofeo; gli stessi giocatori devono sorridere e devono palleggiare, alcuni non riescono a fare né l’una né l’altra cosa, spesso baciano la maglia o lo stemma di una società che fino a due o tre giorni prima, per contratto, dovevano ignorare, se non detestare, o per lo meno cercare di battere. Insomma, sono feste premature e pericolose, perché celebrano un legame che è appena iniziato. E che non si sa come potrà evolvere.
Ho pensato a tutto questo quando ho cominciato a scrivere di Eden Hazard, e allora ho ripescato su Youtube il video della sua presentazione come nuovo acquisto del Real Madrid. Parlo a posteriori, è ovvio, ma le immagini di Hazard che tira su il pollice accanto alle Champions League vinte dal Real, che si presenta salutando in spagnolo e poi parla in francese, che non è proprio scaltrissimo quando gli viene detto di farsi un po’ di selfie davanti al pubblico del Bernabéu, mettono un po’ di tristezza, visto com’è andata, visto come sta andando, la sua esperienza in Spagna. La sicurezza dei suoi movimenti, delle sue parole, delle strette di mano con Florentino Pérez, la certezza manifesta di aver preso la decisione giusta, persino il suo vestito grigio chiaro – tagliato bene ma forse un po’ troppo vistoso per un uomo di 28 anni – e la sua abbronzatura brillante, che mi ha ricordato la cromatura di certi componenti motoristici, ecco tutto questo stona tantissimo con tutto quello che è successo dopo, con quello che sta ancora succedendo.
Eden Hazard è arrivato a Madrid per mettere un timbro definitivo sotto la sua tessera di iscrizione al club dei fuoriclasse, del resto parliamo di un calciatore che al Chelsea era stato per anni determinante, intelligente, bellissimo da veder giocare, e oggi quel calciatore sembra scomparso, inghiottito da una spirale di involuzione e inconsistenza e malinconia. In un anno e mezzo vissuto a Madrid, Hazard ha saltato 44 partite su 76, praticamente tutte per infortunio; in quelle che ha giocato, per un totale di duemila minuti di gioco o giù di lì, ha segnato solo tre gol, di cui uno su rigore; il Real Madrid ha vinto l’edizione 2019/20 della Liga, sì, ma in pochi ricordano che in quella squadra c’era anche Hazard, perché il suo contributo è stato veramente impalpabile anche andando oltre i numeri, ogni volta che è andato e che va in campo il belga sembra essere diventato un atleta lento, senza guizzi, incapace non solo di trascinare la squadra, ma anche semplicemente di incidere sulle partite attraverso il suo talento. Il punto è proprio questo, ripensandoci: allora è vero che certi calciatori possono perdersi completamente? Possono fare dei passi indietro così netti, così inattesi, rispetto a quanto ci hanno mostrato in passato?
Sì, tutto questo può succedere. E succede molto spesso, anche se nel calcio di oggi sembra impossibile, forse in questo c’entra il fatto che i giocatori guadagnano tantissimi soldi, e allora l’epica tragica di un trasferimento sbagliato e/o di un calo di rendimento devono avere sempre una motivazione tecnica o comportamentale. Non è sempre così, la storia – anche quella recente – è piena di calciatori che all’improvviso sono regrediti, sono diventati improvvisamente tristi, proprio come Hazard. È proprio quest’ultimo aspetto – la tristezza trasmessa da Hazard, e dalla sua vicenda – a colpire più di ogni altra cosa: se vai su Youtube e scrivi “Hazard Real Madrid” nella barra di ricerca, l’algoritmo ti suggerisce di aggiungere la parola “gol” e poi subito dopo la parola “fail”, come se il fallimento del suo trasferimento in Spagna fosse stato ormai storicizzato, e allora il suo racconto può, anzi deve stare accanto a una compilation di gol, di assist, di belle giocate; sempre su Youtube, ci sono anche contenuti di altro tipo, alcuni video in cui Hazard gioca bene nel Real Madrid, supera avversari e serve ottimi passaggi ai suoi compagni, ma si tratta di azioni spesso incompiute, che la maggior parte delle volte non portano a niente di concreto. Mancano i gol, le esultanze, gli urli di gioia, le scivolate sulle ginocchia a pochi metri dalla bandierina e dai tifosi, mancano quel tipo di sorrisi che siamo stati abituati a vedere al Chelsea, per anni, e mancano anche nel suo profilo Instagram, dove ci sono pochissime immagini al Real Madrid in cui Eden sorride davvero, sembra sempre corrucciato, sempre preoccupato. Anche il 31 ottobre 2020, quando è tornato al gol dopo oltre un anno di astinenza, la sua gioia è stata contenuta, intrappolata in una faccia contrita e tutt’altro che sollevata.
Esatto, è riuscito a non fare gol
Sono le stesse sensazioni trasmesse in passato da altri giocatori che hanno vissuto un’esperienza simile: dieci anni esatti prima di Hazard, Kakà era un calciatore che esprimeva gioia e bellezza in ogni partita e finì per declinare in maniera irreversibile, a soli 27 anni, dopo il trasferimento dal Milan al Real Madrid; pochi anni prima era toccato a Shevchenko, uno degli attaccanti più forti dei primi anni Duemila che divenne un fantasma dopo aver accettato l’offerta del Chelsea; sarebbe successo anche a Fernando Torres, che passando dal Liverpool al Chelsea si trasformò nell’ombra di se stesso. Probabilmente le immagini più tristi e famose, in questo senso, sono proprio quelle di Torres al Chelsea: nel caso del centravanti spagnolo esistono davvero i famosi video “Fernando Torres Fail” su Youtube in cui ci sono montati in sequenza i suoi errori più incredibili. Riguardando le immagini, non sono così interessanti i tiri sbagliati a porta vuota o davanti al portiere, i controlli ciccati in area di rigore o i rigori che si infrangono sulla traversa, piuttosto l’insensatezza di alcune giocate, come questo inspiegabile passaggio all’indietro nella finale di Europa League 2012/13 contro il Benfica – una partita in cui Torres ha anche segnato, quindi non proprio negativa. Ciò che è davvero sconcertante, ripensando a ciò che era Torres all’Atlético Madrid, al Liverpool, è quindi l’involuzione mentale che certi giocatori hanno vissuto, è come se tutto il loro talento fosse evaporato all’improvviso, perché sbagliare l’esecuzione di una giocata ci sta, è una cosa che succede a tutti continuamente, ma il riproporsi di certe situazioni al limite dell’assurdo, per campioni così forti, non può che essere considerato una patologia – calcistica, ma pur sempre una patologia.
Un altro aspetto non meno importante di questa patologia è quello che riguarda la sfera emotiva: come nelle manifestazioni pubbliche di Hazard da quando ha lasciato il Chelsea, anche nei video di Torres dopo il passaggio al Chelsea c’è una sensazione di malinconia perenne, la faccia di Fernando è costantemente spaurita, la sua espressione è tesa e poi diventa rassegnata a ogni errore. È evidente che si tratti di un uomo e di un calciatore profondamente irrequieto, che si sente sotto esame, che ha perso la gioia di stare in campo, e che il suo rendimento è il riflesso di una situazione di smarrimento e paura. Se i motivi della crisi di Torres sono stati e restano insondabili, nel caso di Hazard l’incredibile passo indietro è dovuto sicuramente agli infortuni, ma forse anche al fatto che fosse stato preso per diventare calciatore simbolo e più forte del Real Madrid, e che questa si sia rivelata una responsabilità troppo grande per lui; anche il fatto che fosse poco professionale, sempre fuori forma, potrebbe aver inciso, ma in verità la sua carriera racconta tutt’altro – secondo i dati di Transfermarkt, ha saltato solo otto partite per infortunio nel corso delle sue otto stagioni al Chelsea.
La realtà, dunque, è più vicina all’esperienza di Torres: non sempre c’è un motivo scatenante, o comunque più rilevante degli altri; i giocatori, anche i grandi fuoriclasse, possono semplicemente perdersi, per qualche mese, per una stagione o per sempre. I trasferimenti più costosi, ma non solo, negli ultimi anni sono sempre più soggetti ad analisi numeriche e statistiche, alla creazione di scenari probabilistici, all’ideazione iper precisa di nuovi schemi di gioco dopo aver consumato dati e video raccolti dagli osservatori. Eden Hazard, e molti prima di lui, e molti che verranno dopo, sono il granello di polvere che rallenta la macchina della tattica sistematizzata. Mostrano come un cambio di latitudine, una nuova lingua, una città diversa possano annullare tutto, far saltare il banco. Non c’è un Hazard vero che contrasta con un Hazard, alla fine: non sappiamo in fondo con certezza se fosse, al contrario, un miracolato a Londra, dove aveva trovato il suo paradiso, anziché involuto a Madrid.