Tre cose sulla 22esima giornata di Serie A

Un super Lukaku, la Juve sospesa, lo Spezia e la forza delle idee.

 

La Juve sospesa tra passato e futuro

Dal Napoli al Napoli, sette partite con sei vittorie e un solo gol subito. La Juventus di Pirlo sembrava aver trovato la sua strada e la sua dimensione a partire dalla vittoria in Supercoppa, ma la gara dello stadio Maradona ha di nuovo evidenziato il grande problema di questa stagione, almeno in campionato: l’allergia alla continuità. Certo, il calendario congestionato non aiuta, ma il punto è che non aiuta nessuno: nel 2021, l’Inter di Conte ha giocato soltanto una gara in meno rispetto ai bianconeri, eppure in campionato ha accumulato quattro punti in più nelle ultime cinque partite. Chissà, forse Pirlo e i suoi uomini non hanno dovuto/voluto scegliere su quali partite o competizioni concentrarsi, hanno provato a dividere le proprie puntate, mentre i nerazzurri hanno fatto all-in sul campionato. Tornando per un attimo alla Juventus, la sensazione è che i bianconeri abbiano iniziato a gestire troppo le partite, a iniziarle in maniera eccessivamente blanda. Certo, è una strategia che può pagare, e che può far risparmiare energie, quando c’è un grande divario con le avversarie di turno (Bologna e Sampdoria), oppure quando i campioni sono in vena e/o sfruttano bene le disattenzioni degli avversari (Ronaldo contro la Roma, contro il Napoli in Supercoppa e contro l’Inter in Coppa Italia); allo stesso tempo, però, questo approccio risulta essere troppo rischioso quando gli episodi non sorridono. A Napoli è andata proprio così: la Juve ha fatto pochissimo per sbloccare il risultato nel primo tempo, Chiellini ha commesso un errore e Insigne ha trasformato il rigore dell’1-0; a quel punto, la Juventus ha dovuto cambiare marcia per aggiustare il risultato, l’ha fatto bene e avrebbe anche meritato di raggiungere il pareggio, solo che però gli avversari – Meret su tutti – non hanno sbagliato nulla e gli attaccanti bianconeri non hanno trovato la giocata risolutiva. Lo scenario attuale, in casa-Juve, è sospeso tra passato e futuro: molti analisti e lo stesso Pirlo avevano sottolineato come il ritorno a un gioco più solido e forse anche più speculativo avesse permesso alla Juventus di reagire bene alla sconfitta contro l’Inter, ma la sensazione è che questo passo indietro abbia finito per limitare un po’ gli esperimenti in senso offensivo, di dominio del gioco. Ovvero, proprio l’aspetto per cui Pirlo era stato scelto, dopo il tentativo dall’esito incerto fatto con Sarri. In vista delle gare decisive in Champions e in campionato, bisognerà prendere una decisione: ricominciare a rischiare oppure puntare tutto sulle certezze costruite negli ultimi anni. Dalla risoluzione di questo rebus passa il resto della stagione della Juve, che ha vinto la Supercoppa ed è ancora in corsa per tutti gli obiettivi, ma che mai, negli ultimi nove anni, aveva accusato un distacco così ampio dal primo posto a questo punto del campionato.

Lo strapotere di Romelu Lukaku

L’immagine che rimane fissa negli occhi, inevitabilmente, è quella del gol del 3-1: lancio in profondità e sulla corsa Parolo spazzato via con facilità irrisoria, tocco semplice che smarca Lautaro Martínez a porta vuota, partita chiusa e primo posto conquistato. Il “problema”– per gli altri, mentre per l’Inter è una manna dal cielo – è che questa azione così dominante, così decisiva, è stata solo una parte della partita di Lukaku: nel primo tempo, il centravanti belga ha trasformato il rigore dell’1-0 e poi ha raddoppiato al termine di un’azione confusa, con un tiro di destro che ha evidenziato grande prontezza di riflessi in area. Due gol e un assist – e che assist – potrebbero bastare a qualsiasi giocatore, perché la sua prestazione possa essere considerata eccellente. Ma per Lukaku tutto questo non vale, perché Conte ha costruito l’Inter intorno a lui e lui si sente gratificato, esaltato, da questa condizione tattica e dell’anima. E allora è presente in tutte le azioni, anzi le determina in prima persona con movimenti e giocate e intuizioni da giocatore superiore; e allora i duetti con Lautaro Martínez diventano un’arma ingestibile per la difesa della Lazio, una squadra che è andata a Milano per fare la partita, che ci è pure riuscita, ma alla fine ha dovuto inchinarsi allo strapotere di Lukaku, senza poter essere accusata di niente. In certe partite, quasi tutte a dir la verità, Lukaku dà proprio questa sensazione di onnipotenza non contrastabile: il suo mix di fisico e intelligenza e tecnica – soprattutto in quest’ordine ma anche invertendo gli addendi – sembra ineluttabile, bisogna solo sperare in una giornata negativa per poter pensare di uscire indenni da una sfida con lui. Il fatto che abbia segnato 300 gol da professionista prima di compiere 28 anni, e che sia arrivato a 56 reti in 80 partite con l’Inter, spiega che è così da sempre, quando gli si costruisce la squadra intorno. Conte l’ha fatto, e ora i nerazzurri sono primi in classifica da soli un anno esatto dopo l’ultima volta, hanno il miglior attacco del campionato – 54 gol in 22 partite – e Lukaku in testa alla classifica dei cannonieri. Tutto questo non è un caso.

Inter-Lazio 3-1

Lo Spezia e la forza delle idee

La vera notizia arrivata al termine di Spezia-Milan 2-0 è che la grande serata degli uomini di Italiano non è una notizia. Piuttosto sono state l’inconsistenza e l’arrendevolezza dei rossoneri a determinare l’andamento – a senso unico – della partita e quindi anche il risultato finale. Sì, perché lo Spezia è questo, è un gruppo che crede ciecamente nella forza del gioco, nella forza delle idee come propellente perché la squadra possa funzionare; è un collettivo che ragiona e si muove e reagisce all’unisono, senza smarrire mai le proprie certezze e le proprie convinzioni. L’allenatore può anche cambiare uomini e schieramento, per esempio contro il Milan ha inserito Agudelo nel ruolo di attaccante di movimento, ma la sostanza non si altera: lo Spezia pressa in avanti per recuperare il pallone e poi cerca sempre di costruire azioni lineari, mai improvvisate, ambiziose, alternando la costruzione dal basso con uno sviluppo più diretto, più verticale. In virtù di tutto questo, i risultati delle partite giocate bene dallo Spezia – che poi sono la maggioranza – si determinano attraverso due parametri che devono anche fondersi tra loro: la qualità assoluta e la qualità delle prestazioni. Proviamo a spiegarci: la squadra di Italiano non ha un organico di prima levatura, e allora può essere sconfitta quando gli avversari sono più forti, quando hanno maggiore esperienza; la gara contro il Milan – così come quelle contro il Napoli, l’Atalanta e la Sampdoria in campionato – ha però dimostrato come una squadra teoricamente più forte debba anche essere veramente in palla per non subire il gioco dello Spezia, per non rischiare di essere dominata, perché il gap tecnico non venga colmato grazie alla forza del gioco, alla forza delle idee. È così che Italiano ha costruito la promozione dell’anno scorso, è così che sta provando a ottenere una salvezza che sarebbe storica, è così che lo Spezia sta costruendo giocatori di alto livello anche in Serie A: contro il Milan hanno brillato Bastoni, Maggiore, Agudelo e Saponara, altre volte è toccato a Pobega, Nzola, Estévez, Gyasi. Sono tutti successi correlati tra loro, tenuti insieme dal lavoro incredibile dell’allenatore e della società, raggiunti senza rinunciare mai alla propria identità, tattica e progettuale.

Spezia-Milan 2-0