Quando a fine marzo 2020 la pandemia e il lockdown arrivano infine in Inghilterra, non ci vuole molto prima che il governo provi a mettere in mezzo i calciatori, e del tutto prevedibilmente. Matt Hancock, Segretario di stato per la salute incapace e inappropriato, cerca di sfruttare la discussione tra la Premier League e l’associazione dei giocatori sulla possibilità del taglio agli stipendi per i propri calcoli politici: «Visti i sacrifici di molte persone, compresi alcuni miei colleghi del National Health Service, penso che la prima cosa che i calciatori di Premier League debbano fare sia dare un contributo: tagliarsi lo stipendio e fare la propria parte», dichiara. Si aspetta, così facendo, un facile uno a zero per i Conservatori, con i ministri di gabinetto che, probabilmente, già stanno esultando. E invece il Var del buonsenso lo classificherà come un maldestro autogol.
Si scopre, infatti, che i 20 capitani delle squadre di Premier League si stanno già dando da fare in questo senso: hanno promosso in prima persona l’iniziativa di creare il fondo di beneficienza “Players Together”, che ha donato quattro milioni di sterline al NHS. Sono stati ingiustamente etichettati come insensibili, ma i bersagli del cinismo di Hancock hanno invece la situazione saldamente in mano. Scopriamo così che i calciatori sono spesso molto più in grado dei politici nell’organizzare e coordinare risposte significative ai problemi sociali. E nessun calciatore incarna questa dimensione meglio di Marcus Rashford, che è stato recentemente insignito del titolo di MBE (membro dell’Ordine dell’Impero Britannico) come riconoscimento per l’impegno nei confronti dei bambini inglesi più a rischio durante la pandemia. L’attaccante del Manchester United sta seguendo da casa il telegiornale, quando la notizia di alcuni scolari rimasti senza cibo attira la sua attenzione. Nel momento in cui tutte le scuole devono chiudere in ossequio alle restrizioni per il virus, il governo continua a insistere, a sorpresa, nel negare i buoni pasto agli allievi. È un atteggiamento che, nella testa di Rashford, risuona in modo straordinariamente familiare.
Oggi che ha 23 anni, i ricordi su come quei buoni pasto fossero così importanti per lui – cresciuto in una famiglia con un solo genitore, nella periferia a sud di Manchester – sono ancora vivi: non è passato poi così tanto tempo, ed è molto sensibile al significato di quel sussidio. Il giorno dopo una partita dello United contro il Midtjylland, nel febbraio del 2016, Rashford torna nella sua scuola. Non ha dimenticato come erano quei giorni: sua madre, Melanie, lasciava casa alle 8 del mattino per uno stipendio minimo che sperava potesse bastare per sostenere la famiglia. Ma non sempre era sufficiente.
Uno dei grandi motivi di imbarazzo, per un Paese del Primo mondo come la Gran Bretagna, è il numero di persone che ogni giorno devono fare affidamento su banchi alimentari e mense per i poveri. Un’indagine condotta dall’Independent ha rilevato che quasi quattro milioni di adulti nel Regno Unito, nel 2018, sono stati costretti a ripiegarvi, a causa dei livelli impressionanti di indigenza. La Joseph Rowntree Foundation ha stimato in 365mila i bambini denutriti – su 66 milioni di abitanti. In un contesto di questo tipo, colazioni e pranzi sovvenzionati dalle scuole statali non sono uno sciocco spreco di risorse governative: ci sono vite che dipendono da tutto questo.
Rashford ricorda la sua esperienza: «Non importa quanto duro mia madre lavorasse: il sistema semplicemente non era fatto per famiglie come la mia. Facevamo affidamento sui pasti gratuiti a scuola, e sui gesti solidali dei vicini e degli allenatori». Oppure, erano i bambini più benestanti ad aiutarlo, chiedendo ai loro genitori dello yogurt e dei biscotti per Marcus. «Conoscevamo bene il mondo delle mense dei poveri e dei banchi alimentari», racconta anche. «Ricordo molto chiaramente le nostre visite a Northern Moor per raccogliere ogni anno le cene di Natale». Rashford ha appena undici anni quando il suo talento attira l’attenzione dello United, ed entrando a far parte dell’academy riesce a soddisfare i suoi bisogni nutrizionali in modi che sono a quel punto impensabili per i suoi compagni di scuola. «Soltanto adesso», dice, «capisco davvero l’enorme sacrificio di mia madre nel mandarmi via di casa a undici anni, una decisione che nessuna madre avrebbe preso a cuor leggero». L’adolescenza lo mette alla prova molto più di qualsiasi difensore si sia trovato ad affrontare nella sua carriera tra lo United e l’Inghilterra: non può naturalmente rimanere indifferente a una ricerca secondo cui 1,3 milioni di bambini sono idonei ad accedere ai pasti gratuiti, di cui un quarto è rimasto senza un adeguato supporto finanziario nel corso del primo lockdown.
In un’epoca in cui agli atleti viene spesso consigliato di rimanere nel loro tracciato, Marcus Rashford si mette in gioco per innescare un cambiamento significativo. Inizia arruolando alcuni enti di beneficienza per contrastare la fame, come FareShare. A poco a poco, il suo impegno su una questione che tocca così tante persone in tutto il Paese acquisisce sempre più slancio, incessantemente: la campagna non è ancora finita, e non si fermerà finché i bambini del Regno Unito non avranno regolare accesso al cibo. Dall’inizio fino a giugno, l’iniziativa ha distribuito tre milioni di pasti a settimana alle famiglie più bisognose in tutto il Paese. «Ma so bene che non è abbastanza», aggiunge lui.
In sei mesi, il movimento creato da Rashford cambia le cose più di quanto i governi abbiano fatto in anni. Costringe il Primo Ministro Boris Johnson a mettere da parte il suo orgoglio, prendere il telefono e farsi dare dalla segretaria il suo numero. Ha un messaggio per lui, e nonostante sarebbe facile per questo pallido, incapace emulo di Churchill ammettere che il governo abbia commesso degli sbagli e che avrebbe fatto un’inversione a U per estendere il sistema dei buoni pasto – rinominato “Fondo Covid per la scuola estiva” – sappiamo come sono fatti i politici.
I Conservatori hanno a questo punto perso la faccia. Ma a differenza dei parlamentari, Rashford non è interessato alle questioni politiche. La bolla di Westminster a volte dimentica che ci sono dei problemi che vanno al di là delle loro schermaglie, e concetti come destra o sinistra hanno peso per Rashford soltanto se si trova in campo. La sua priorità è l’imperativo morale. In una lettera emozionante rivolta al Parlamento, scrive: «Non si tratta di politica, si tratta di umanità. Di guardarci allo specchio e sentire di aver fatto tutto per proteggere chi non riesce a proteggersi da solo, qualunque sia la ragione o la circostanza. Al di là delle divergenze politiche, siamo tutti d’accordo che nessun bambino debba andare a letto affamato?».
Con l’avvicinarsi degli Europei (prima che fossero rinviati), non sfugge a Rashford che «lo stadio di Wembley può essere riempito per più del doppio della sua capienza con i bambini che hanno dovuto saltare i pasti durante il lockdown». Se il calcio, come diceva Arrigo Sacchi, è la cosa più importante tra le cose meno importanti della vita, questa svolta è più significativa di qualsiasi gol che Rashford abbia mai segnato. «Oggi voglio dedicarmi a un trofeo che ha un’importanza molto maggiore del calcio», dichiara, «e in questo caso, il trofeo è combattere la povertà infantile». Rashford, gentilmente, ringrazia poi Johnson per averlo ascoltato e aver cambiato la decisione del governo.La Premier League riparte proprio il giorno dell’inversione a U. È pensiero comune che il calcio debba tornare a essere dominante nella testa di Rashford, e che il resto sarebbe a poco a poco scomparso. Lo United deve concludere il campionato tra le prime quattro per qualificarsi in Champions League. Alla fine della stagione, poi, c’è la fase finale dell’Europa League in Germania. Ma la dedizione di Marcus alla causa è totale. Se il governo crede che si possa accontentare di un singolo provvedimento, per quanto di grande importanza, beh, lo sta evidentemente sottovalutando. Con la fine del lockdown e la riapertura delle scuole, i Conservatori si sono rilassati, ma molte famiglie sono ancora in cassa integrazione e si trovano in una situazione economica ancora più complessa che in passato. Con le vacanze di ottobre dietro l’angolo, Rashford è preoccupato dei milioni di bambini che sarebbero rimasti senza cibo, e promuove una petizione perché le scuole statali provvedano ai pasti anche durante la pausa. Il governo la rifiuta, votando contro una mozione del Partito Laburista per estendere i sostegni scolastici durante le vacanze, e sostiene che lo Universal Credit, uno schema di sussidi già esistente, possa bastare alle famiglie per il loro autosostentamento.
Scoraggiato da questa mancanza di compassione, Rashford a quel punto utilizza i suoi social per diffondere una lista dei posti in cui i bambini inglesi possano usufruire di pasti gratuiti. A quel punto, bar e ristoranti di tutto il Paese rispondono positivamente alla campagna, al punto da condividere su Google Maps tutti i luoghi designati per metterli a disposizione dei cittadini interessati nelle rispettive aree. L’impatto dell’iniziativa è incredibile, e la partecipazione dei cittadini di tutto il Regno Unito impossibile da sottostimare. In un momento di grande sconforto attorno allo stato complessivo delle cose britanniche, è commovente vedere così tante persone darsi da fare per aiutare gli altri.
Com’è prevedibile, tutto questo pone Rashford al centro di un delicato scontro culturale che si era già intensificato con il maledetto referendum sulla Brexit, nel 2016. Come aveva già sperimentato sulla sua pelle il suo compagno di Nazionale Raheem Sterling, se sei giovane, di successo e nero è solo questione di tempo prima che una parte dei media inglesi ti metta nel mirino. E così accade, quando il Mail on Sunday collega, pretestuosamente, il movimento di Rashford contro la povertà infantile con un suo investimento immobiliare da due milioni da sterline nell’area di Manchester. «La giustapposizione tra “il Rashford dei pasti gratuiti” e “l’impero edilizio da due milioni di sterline”. Il riferimento da dog-whistling alla “stella del calcio attivista”. L’immediata menzione dell’età del calciatore (23 anni). La foto dello stesso Rashford, corrucciato, in una felpa scura. Tutto qui è codice, racchiuso in motivi e sottotesto, la sofisticata colonna sonora del disgusto di destra», scrive il columnist del Guardian Jonathan Liew. Il piano per screditare Rashford non passa inosservato da lui stesso. «Va bene, affrontiamo questo problema», twitta. «Ho 23 anni, arrivo dal nulla. Devo proteggere non solo il mio futuro, ma anche quello della mia famiglia. Per farlo ho deciso a inizio 2020 di cominciare a investire maggiormente nel mercato immobiliare. Per favore, non pubblicate storie di questo tipo mischiandole con il mio attivismo».
Alcuni politici iniziano poi a chiedere a Rashford come si aspetta che il governo paghi per il suo programma. Il parlamentare conservatore Steve Baker lo definisce un danno per l’economia e la valuta. Ma man mano che emergono nuovi dati su come il governo abbia scialacquato i fondi ottenuti dalle tasse dei contribuenti – specialmente in forniture di mascherine di dubbia provenienza, tra cui una del valore di 21 milioni di sterline per un designer di gioielli, per non parlare della diaria di 7000 sterline al giorno versata a consulenti per un programma di tracciamento da 12 miliardi di sterline che non funziona – le resistenze al piano di Rashford si mostrano sempre più meschine. A fronte di quanto speso per attenuare l’impatto della pandemia sull’economia, i soldi chiesti dall’attaccante dello United sono davvero poca roba. L’opinione pubblica è dalla sua parte, e ancora una volta il governo è costretto a un imbarazzante dietrofront. La chiamata sul telefono di Rashford, arrivata dopo la vittoria a novembre dello United sull’Everton per 3-1, non è più da parte di un numero sconosciuto: è direttamente il Primo Ministro. Johnson gli comunica che il governo ha accettato il suo programma, e che avrebbe speso più di 400 milioni di sterline per sostenere i bambini poveri del Paese e le loro famiglie. «Quello che il governo ha detto di voler fare è assolutamente positivo, e va riconosciuto», commenta Rashford. «I passi in avanti che sono stati fatti oggi miglioreranno la vita di quasi 1,7 milioni di bambini inglesi nei prossimi dodici mesi, e vale la pena di festeggiare». Se Johnson avesse un po’ sensibilità in più probabilmente nominerebbe Rashford Segretario all’Educazione o Ministro per le Politiche scolastiche. Ora, la prossima generazione di bambini inglesi avrà migliori occasioni di crescita: diversi studi hanno dimostrato che il nutrimento non è solo vitale per la salute fisica, ma anche per quella mentale. Fino a dicembre, Fare-Share ha distribuito più di otto milioni di pasti gratuiti a settimana. Sir Alex Ferguson ha annunciato che, in un fondo comune fino a due milioni di sterline creato con il suo caro amico Sir Michael Moritz, un filantropo inglese, pareggerà ogni pound delle donazioni dei lettori alla causa nell’ambito di una campagna natalizia lanciata dal Times.
L’impegno e la tenacia di Rashford nel battersi per questa causa e per portare la questione sotto i riflettori possono essere spiegati solo alla luce di quanto tutto questo sia personale per lui. Questo non è un percorso che qualche guru delle pubbliche relazioni o un esperto di branding gli ha consigliato di seguire. È qualcosa di autentico. È qualcosa che gli arriva dal cuore e che continua a guidarlo ogni singolo giorno. Di recente, Rashford ha twittato una frase di Muhammad Ali che la dice lunga su come dovremmo vivere questa vita: «Servire gli altri è l’affitto che paghi per il tuo posto qui sulla Terra». Quando legge su un giornale locale che una bambina di otto anni sta cercando di donare quanti più regali per Natale ai coetanei meno fortunati di lei, per Marcus è una conferma di aver fatto le cose nel modo giusto.
A novembre l’artista di strada Akse ha dipinto un murales su un lato del Coffee House Cafe, vicino al luogo in cui Rashford è cresciuto. Ricalcato su una fotografia di Daniel Cheetham e realizzato in collaborazione con un progetto comunitario, la cosa lo ha profondamente toccato. Passando oltre, il messaggio impresso sulla vernice nera è di quelli che ti rimangono bene in mente: «Sii orgoglioso nel sapere che i tuoi sacrifici giocheranno il ruolo più importante nei tuoi obiettivi». Fatti ispirare. Prendi una posizione.