Gianluca Mancini, difensore moderno

Difende in maniera aggressiva, è perfettamente a suo agio quando deve impostare il gioco e pure quando può attaccare l'area avversaria: è uno dei migliori centrali italiani per il presente, e soprattutto per il futuro?

La grande crescita di Gianluca Mancini, una crescita che va ben oltre i quattro gol realizzati dall’inizio del 2021, ha diversi significati, tutti importanti. Intanto, cosa fondamentale, conferma che la scuola italiana dei difensori – dopo anni a dir poco boccheggianti in quanto a produzione e valorizzazione di elementi adatti al calcio moderno – è finalmente entrata in una fase di svecchiamento: Rugani e Romagnoli, pur tra alti e bassi, hanno aperto la via, e oggi Bastoni e lo stesso Mancini si stanno affermando come difensori puri che però hanno grandi qualità in tutte le fasi e in tutte le situazioni di gioco. Si tratta di giocatori che hanno la personalità per esprimersi bene in una una fase passiva che chiede tanto a livello concettuale, che accetta i duelli in spazi ampi, aperti; allo stesso modo, sono centrali moderni, che padroneggiano gli strumenti necessari per impostare dal basso, per spingersi in avanti palla al piede e inserirsi in avanti con i tempi giusti, nei momenti opportuni.

Mancini ha sviluppato queste capacità nel suo passato come centrocampista, un passato che anche a Paulo Fonseca, allenatore della Roma, è tornato molto utile: in alcune gare della scorsa stagione – per esempio quelle contro il Gladbach in Europa League, o contro il Milan e il Napoli in campionato – il tecnico portoghese ha risolto le emergenze di formazione schierando proprio l’ex difensore dell’Atalanta nel doble pivote, ottenendo in cambio delle prestazioni mature, convincenti. Nella nuova stagione questa situazione non si è ripetuta, ma Mancini ha avuto modo di giocare andando spesso in avanti, anche perché il nuovo modulo impostato della Roma (un 3-4-2-1 piuttosto fluido) permette ai braccetti difensivi – ovvero i due laterali della difesa a tre – di avere molta più libertà, anzi li invita a portare il pallone, a esercitare compiti di regia. Mancini, in questo contesto, si è sentito (ancora di più) a suo agio, mostrando di possedere un’ottima proprietà di palleggio ma anche la giusta intuitività quando deve sovrapporsi, internamente o esternamente, al laterale di destra – per la maggior parte delle volte si tratta di Karsdorp, un altro giocatore recuperato da Fonseca.

I numeri confermano queste sensazioni: Mancini è il secondo giocatore nella rosa della Roma per passaggi tentati (55,9 per match) dopo Roger Ibañez, così come è il secondo difensore – dopo Smalling, che però ha giocato molto meno di lui – per precisione negli appoggi (90%); inoltre, ha servito due assist decisivi in questo campionato. Tutto questo, senza perdere efficacia in fase difensiva: è uno dei migliori giocatori della Serie A per efficienza nel pressing, anche se a volte il suo modo aggressivo e ambizioso di difendere lo porta a eccedere con la durezza degli interventi – non a caso ha già ricevuto otto cartellini gialli in questo campionato, dopo i 14 del 2019/20, record stagionale in assoluto. Per quanto riguarda questo aspetto del suo gioco, è evidente come la tendenza a difendere in modo impetuoso sia un’eredità della sua esperienza a Bergamo, anzi per dirla meglio con l’Atalanta-di-Gasperini, che ormai è una squadra-brand. Questo è un altro significato importante nel percorso di Mancini, che ha saputo staccarsi da dosso un’etichetta piuttosto ingombrante: non è detto, anzi non è per niente vero che un calciatore formatosi con Gasperini non possa poi eccellere in altri sistemi tattici, anzi per gli elementi di talento – Kessié su tutti, ma anche Castagne e Barrow, se vogliamo – la conoscenza e la pratica di un gioco così dinamico, anche così duro per richiesta fisica e psicologica, ha rappresentato una fonte di arricchimento.

A 25 anni da compiere tra poche settimane (il 17 aprile), Gianluca Mancini è diventato uno dei difensori più moderni e sicuri del campionato italiano. Non a caso, anche un altro Mancini, il ct della Nazionale, lo ha aggregato al suo gruppo in maniera stabile e gli ha concesso quattro gare da titolare, un buon numero considerando la grande concorrenza nel ruolo – Bonucci e Chiellini, ovviamente, ma anche Acerbi, Romagnoli e lo stesso Bastoni. Proprio la coppia Mancini-Bastoni potrebbe rappresentare il futuro dell’Italia dopo la fine dell’attuale ciclo tecnico, quasi a voler confermare che i centrali contemporanei debbano avere caratteristiche diverse rispetto a quelli del passato, debbano essere sempre più aggressivi e proattivi nel loro approccio alla fase di non possesso, e capaci, allo stesso tempo, di offrire appoggi e soluzioni quando c’è da gestire il pallone, da organizzare la manovra partendo dal basso. In questo senso, Mancini sembra davvero essere pronto a raccogliere l’eredità dei suoi predecessori, anzi a essere l’uomo di transizione verso l’evoluzione definitiva del difensore italiano, una specie calcistica che sembrava in via di estinzione e invece doveva solo aggiornarsi, sintonizzarsi sul futuro.