Tre cose sulla 27esima giornata di Serie A

Ronaldo, Vlahovic, l'esempio di Sassuolo e Verona.

 

Sassuolo e Verona sono la borghesia migliore del calcio italiano

Sassuolo e Verona sono due squadre che hanno progetti (manageriali, tattici, tecnici) strutturati, chiari, riconoscibili. Lo dice la classifica, in maniera chiara. L’ha detto lo scontro diretto, una partita bellissima, aperta, emozionante, che è finita 3-2 per la squadra di De Zerbi ma che in realtà avrebbe potuto concludersi con qualsiasi risultato, e nessuno sarebbe rimasto troppo insoddisfatto. Se al calcio italiano degli anni Duemiladieci è mancato qualcosa, è stato – ed è ancora – proprio quello che caratterizza le ultime stagioni di Sassuolo e Verona: una visione a lungo raggio su cui fondare tutte le scelte, un’idea di presente costruita nel passato come ipotesi di futuro che è stata rispettata fino in fondo. E che ha pagato. Per capire cosa intendiamo, basta leggere i nomi dei protagonisti della sfida al Mapei Stadium: Locatelli, Lazovic, Djuricic, Dimarco e Traoré, ovvero giocatori acquistati e (ri)valorizzati all’interno di un sistema di gioco pensato e costruito per loro, oppure giovani a cui è stata data un’identità fisica, tecnica, tattica; oltre agli autori dei cinque gol, c’erano anche tanti ragazzi perfettamente integrati nelle loro squadre, elementi che grazie a De Zerbi e Juric hanno trovato la loro dimensione, si tratta dei vari Berardi, Kiriakopoulos, Zaccagni, Barák, Marlon, Salcedo; mancavano Boga, Rogério, Ilic, Lovato, ovvero atleti molto forti che in qualche modo daranno continuità al progetto, permetteranno a De Zerbi e a Juric – oppure a chi li sostituirà – di proseguire sulla stessa strada, oppure alle loro società di fare cassa. Ed è proprio questo il punto centrale del nostro discorso: Sassuolo e Verona hanno dimostrato e stanno dimostrando che è possibile raggiungere un livello superiore, che il gap con le migliori squadre di Serie A è molto ampio – lo dice la classifica – ma che è possibile fare buon calcio, e quindi buon business, partendo da un’idea, o meglio da una serie di concetti in grado di sopravvivere al tempo che passa e cambia le cose.

Ronaldo, la miglior risposta possibile

Non è stata una settimana facile, per Cristiano Ronaldo e la Juventus. Il portoghese è stato individuato come uno dei giocatori che hanno reso di meno nel doppio confronto contro il Porto, quindi tra i più colpevoli dell’inattesa eliminazione negli ottavi di finale di Champions League. Come se fosse stato punto e poi ferito nell’orgoglio, a Cagliari Ronaldo ha reagito con una prestazione che è un saggio delle sue qualità in questo preciso momento storico, che poi sono le stesse che l’hanno esaltato negli anni del Real Madrid: efficacia ed efficienza realizzativa che diventano fonte di bellezza, capacità di portare da solo, sulle sue spalle, il peso del reparto offensivo portato, con determinazione feroce – anche eccessiva, se rivediamo l’intervento duro su Cragno quando il risultato era ancora sullo 0-1– e concentrazione massima. I tre gol della tripletta perfetta (di testa, di destro e di sinistro) nascono tutti dal suo strapotere, dalla sua fisicità debordante, dalla capacità di trovare in un istante, anche meno di un istante, la soluzione migliore per mettere in difficoltà il portiere. La consapevolezza di saper fare tutto questo, di poterlo fare sempre ed essere quindi decisivo, ha portato spesso Ronaldo a esagerare con la ricerca della soluzione personale: anche nelle sfide contro il Porto la Juventus e il suo attaccante-principe hanno sfruttato male alcune azioni in parità o superiorità numerica con la difesa avversaria. Alla lunga, però, questo approccio al gioco paga i suoi dividendi, se sei Cristiano Ronaldo: 95 gol in 122 partite con la maglia della Juve, 16 in 23 partite di Champions League, 23 in 23 gare disputate in questo campionato; cifre incredibili, a cui si aggiunge la particolare statistica per cui Ronaldo ha segnato in tutti gli stadi italiani che ha visitato in bianconero, 18 su 18. Gli mancava giusto quello di Cagliari, laddove doveva rispondere alle critiche piovutegli addosso. L’ha fatto nel miglior modo possibile, dimostrando che gli errori contro il Porto sono stati una parentesi, e che i problemi della Juventus non possono dipendere da lui, che resta fortissimo, determinante, non solo nella rosa di Pirlo ma in senso assoluto.

Cagliari-Juventus 1-3

Vlahovic, la nota lieta

L’immagine di Dusan Vlahovic che resta negli occhi dopo Benevento-Fiorentina, inevitabilmente, è quella del terzo gol, una meravigliosa conclusione-arcobaleno che si è spenta all’incrocio dei pali. Vlahovic, però, ha dimostrato – non solo a Benevento – di essere un attaccante che va oltre giocate accecanti, che sa essere essenziale, quando è il momento di fare gol. Anzi, è proprio questo l’aspetto in cui è migliorato di più: in molte occasioni, durante la sua esperienza alla Fiorentina, il serbo è stato criticato per la sua mancanza di freddezza sotto porta, per la tendenza a sciupare occasioni piuttosto semplici; ora, invece, la regolarità – dieci gol messi a segno da dicembre a oggi – è la sua caratteristica più evidente, come si è visto anche a Benevento, fin dai primi minuti di gioco. In una stagione mediocre per la Fiorentina, la crescita esponenziale di Vlahovic laddove serviva, laddove era necessaria per lui e per la squadra, è una delle poche note liete, anche in vista della rifondazione (l’ennesima) che attende la società viola al termine del campionato. Proprio in questi giorni, anche grazie al miglioramento netto delle sue prestazioni, si sta discutendo molto del rinnovo del suo contratto, in scadenza nel 2023, e del fatto che il nuovo progetto di Commisso (con quale allenatore?) debba passare necessariamente dalla valorizzazione dell’attaccante serbo, che ha 21 anni e ha dimostrato di avere ciò che serve per salire di livello. Se potrà farlo con la Fiorentina, c’è bisogno di una squadra che giri intorno a lui, che gli dia maggiori possibilità di essere decisivo; altrimenti, la cessione sembra inevitabile, anche perché nessun giocatore classe 2000 ha segnato così tanto in Serie A (12 gol), e negli altri campionati europei c’è un solo attaccante della stessa età in grado di tenere certi ritmi, e si chiama Erling Haaland.

Benevento-Fiorentina 1-4