Quali sono le squadre costruite meglio (e peggio) in Europa?

Il nuovo rapporto del CIES boccia i modelli attuati in Serie A, e promuove quelli di Premier e Bundesliga.

La grande stratificazione economica del calcio contemporaneo ha modificato l’idea di “squadra vincente”: il raggiungimento dei traguardi sportivi è il grande obiettivo di tutte le società, ma per riuscirci è necessaria una programmazione che va al di là di una singola stagione, che sia ad ampio respiro, altrimenti si corre il rischio che quello stesso successo possa rimanere un fatto isolato, un caso difficilmente replicabile – se non irripetibile. La continuità ad alto livello, dunque, è un valore importante quasi quanto i trofei, solo che non può essere misurato in maniera oggettiva come i titoli. O meglio: è un parametro che non si può misurare se non sommando tanti dati, ed è proprio quello che ha provato a fare l’osservatorio calcistico CIES nel suo ultimo report mensile, che si è preposto di individuare le squadre costruite meglio, più sostenibili nel lungo periodo, nei cinque campionati top in Europa.

Ma cosa significa costruite meglio? Nei suoi calcoli, il CIES ha tenuto conto di tre aspetti fondamentali per valutare la sostenibilità a lungo termine delle varie squadre: struttura anagrafica delle rose, politica di reclutamento e gestione dei contratti da parte dei club. Per struttura anagrafica delle rose, si intende l’età media divisa per fasce in base al ruolo, per cui una squadra che concede maggior minutaggio a giocatori giovani (un portiere sotto i 33 anni, dei difensori sotto i 32, dei centrocampisti sotto i 31 e degli attaccanti sotto i 30 anni) ha un indice di sostenibilità più alto. Per politica di reclutamento, si intende la stabilità del gruppo: una squadra composta da giocatori che hanno già maturato esperienze comuni con la stessa maglia, che dunque non utilizza troppi nuovi acquisti, è più sostenibile rispetto a una che deve costantemente ricorrere al calciomercato, attraverso acquisti a titolo definitivo o temporaneo, per integrare/potenziare la propria rosa. La gestione dei contratti, infine, riguarda il rapporto tra utilizzo in campo e durata del legame lavorativo: ovviamente, un club che può mettere in campo giocatori legati da accordi pluriennali avrà più stabilità rispetto a una squadra che, invece, deve schierare giocatori con il contratto in scadenza oppure in prestito da altre società. La somma di dati numerici determina il cosiddetto rating di gestione della squadra sostenibile (SSM), che quindi non identifica le squadre più forti o più vincenti, piuttosto quelle assemblate in maniera più lungimirante, che quindi hanno la maggior possibilità di raggiungere i propri obiettivi sportivi per più stagioni.

La classifica finale, quella che tiene conto del solo rating composito SSM, non è assolutamente positiva per i club di Serie A: nessuna società italiana è nella top ten, che invece è dominata dalle squadre inglesi (cinque su dieci) e spagnole (quattro su dieci), a cui va aggiunto il Lipsia decimo in graduatoria. Sul podio ci sono Manchester United, Real Sociedad e Athletic Bilbao. Nel caso dei Red Devils, è determinante il fatto che molti giocatori anche molto giovani (Rashford, McTominay e Greenwood, e pure Pogba) siano cresciuti nell’Academy e poi siano stati lanciati in prima squadra, quindi in pratica giocano insieme da sempre; anche la Real Sociedad e l’Athletic Bilbao applicano una politica basata sulla valorizzazione del talento interno, anzi nel caso dell’Athletic si tratta di una precisa scelta identitaria e politica (solo giocatori baschi e/o cresciuti nell’Athletic, quindi baschi d’adozione e formazione, vengono inseriti nella prima squadra). Il resto della top ten è composto da Tottenham Hotspur, Manchester City, Liverpool, Southampton, Barcellona, Atlético Madrid e il già citato Lipsia. Il primo club italiano a comparire in classifica è il Sassuolo, al 29esimo posto – tra Bayer Leverkusen e Chelsea. Al 31esimo posto, poi, c’è il Napoli. In fondo alla graduatoria c’è il Genoa di Preziosi, ma nelle ultime dieci posizioni (sulle 98 totali) ci sono anche Spezia, Verona e Benevento – insieme a Huesca, Elche, Union Berlin, Arminia Bielefeld, Eibar e Dijon.

È evidente come i club più ricchi, e quelli storicamente più stabili nei campionati maggiori, siano avvantaggiati per la loro capacità di spesa sul mercato, rispetto invece a società che ogni anno devono lottare per mantenere la categoria, tra l’altro con budget inferiori. Il problema, però, è che le squadre di Serie A sono risultano meno sostenibili rispetto a quelle degli altri campionati top perché hanno un’età media decisamente più alta – Lazio, Benevento, Parma, Genoa e Sampdoria sono tra le dieci società peggiori nella graduatoria del minutaggio riservato ai giocatori over – e dipendono troppo dalle operazioni di mercato. Anche le grandi del nostro campionato pagano le stesse mancanze progettuali: l’Inter concede ampio spazio a giocatori dall’età avanzata, la Juventus ha concluso molti trasferimenti negli ultimi anni, mentre il Milan – una squadra dall’età relativamente bassa, e che nell’ultima stagione si è mossa poco sul mercato – sta utilizzando diversi giocatori con il contratto in scadenza, a cominciare da Donnarumma e Ibrahimovic. In questo modo, diventa difficile costruire programmi a lungo termine, progetti che vanno oltre l’orizzonte limitato di una stagione. Al contrario, invece, le società di Premier League e Bundesliga hanno saputo creare dei modelli resistenti al tempo, anche alla volatilità dei risultati. Certo, i grandi ricavi in questo senso sono un punto di partenza fondamentale, ma i soldi bisogna saperli spendere bene per poter aspirare a crescere, per andare oltre la pura e semplice sopravvivenza.