Cosa c’è di meglio della Superlega? La Champions League

Una competizione che metta di fronte, ogni weekend, le migliori squadre sul pianeta sarebbe garanzia di spettacolo assoluto? No, e la certezza ci arriva dai quarti di finale della più bella competizione per club al mondo.

A un certo punto, era impossibile decidersi per cosa strabuzzare maggiormente gli occhi: se per quel tracciante di Di Maria, se per il tempismo in chiusura di Lucas Hernandez, se per la sterzata di Neymar o per la giocata intelligente di Muller. I centottanta minuti tra Paris Saint-Germain e Bayern Monaco sono stati più di una partita di calcio qualsiasi: sono stati la rappresentazione più alta, sopraffina e deliziosa del gioco. Centottanta minuti che hanno prodotto “oooh” di stupore a ogni tocco, giocata, invenzione, a ogni attimo potremmo dire: non poteva essere altrimenti, visto che eravamo al cospetto di alcuni dei migliori giocatori del pianeta.

A dirla meglio, stavamo ammirando il meglio che il calcio mondiale può offrire: al di là di predilezioni e seduzioni personali, in scena stava andando lo scontro tra due migliori squadre al mondo. Si è trattato stavolta di Psg e Bayern, ma poteva trattarsi benissimo di Manchester City o Real Madrid o altro ancora: quando in campo assistiamo a partite tra superpotenze calcistiche, è difficile non rimanerne estasiati. E se questo è possibile, lo dobbiamo, in larga parte, al processo economico che ha scaturito la polarizzazione, sempre più netta, tra le big del calcio europeo e tutto il resto.

Se il Psg può schierare contemporaneamente Mbappé, Neymar, Di Maria, Draxler, Paredes, Verratti, Kean, Icardi o il Manchester City può farlo con De Bruyne, Aguero, Sterling, Foden, Bernardo Silva, Gundogan, è perché il calcio mondiale ha prodotto questo effetto: super-team in grado di concentrare il talento tutto insieme, conseguenza del fatto che ci sono società che concentrano il grosso della ricchezza a discapito di tutte le altre. Una dozzina di club che rappresenta l’aristocrazia del calcio, e una mezza dozzina che racchiude l’élite della stessa: se negli ultimi dieci anni di Champions hanno vinto appena cinque squadre, il motivo è sotto i nostri occhi. Anche se ogni tanto spunta fuori l’Ajax o il Lione di turno (e indubbiamente ci fa piacere), alla fine a contendersi realmente le chance di vittoria rimane, appunto, l’élite. E in un certo modo, la cosa non ci dispiace: un Psg-Bayern di certo stuzzica più di un Porto-Chelsea (alzi la mano chi ha visto quest’ultima partita).

Piaccia oppure no, è la realtà del calcio moderno, ed è anche la premessa da cui partono poi le argomentazioni di chi spinge per la creazione della Superlega: un torneo elitario, a invito, che reiteri la bellezza di un Psg-Bayern ogni weekend, possibilmente. Anche se, e questo non è un mistero e non è nemmeno il caso di scandalizzarsi, le motivazioni di un siffatto torneo sono principalmente economiche: le migliori squadre del mondo organizzano un torneo tutto per loro, potendo decidere in autonomia assoluta, spartendosi l’audience globale calcistica (e ovviamente la ricchezza derivante) e lasciando le briciole a quello che ne sta fuori.

Non sappiamo se sarà questo il futuro del calcio, ma che i club più ricchi e potenti abbiano sviluppato uno status differente è fuori discussione: ci sarà un motivo se la stessa Uefa, per ovvie ragioni la principale antagonista al progetto Superlega, è dovuta scendere a patti per salvare il proprio prodotto di punta – prima assicurando una fetta maggiore di ricavi ai club con il ranking più alto, poi decidendo di adottare, a partire dal 2024, un nuovo format, una super-Champions che quantomeno assicurerà più partite.

Non per forza queste riforme sopiranno le ambizioni “autarchiche” dei principali club europei, ma se circoscriviamo il discorso all’aspetto meramente sportivo una Superlega, forse, non raggiungerebbe mai l’apice emotivo della Champions League. Semplicemente, non è ipotizzabile che un Bayern-Psg ogni weekend possa replicare quanto visto nelle ultime due settimane tra Allianz e Parco dei Principi. L’idea che uno spettacolo del genere possa attivarsi automaticamente, semplicemente facendo incontrare le due squadre a piacimento, semplicemente, non ha senso: quello che abbiamo ammirato appartiene a un contesto, sportivo ed emotivo, che proprio nella Champions League ha la sua possibilità di prosperare.

Il sottilissimo filo su cui camminavano le due squadre, con l’eventualità di un gol da una parte o dall’altra che avrebbe potuto cambiare tutto, ha aumentato il pathos, la tensione, il fremito al cui interno poi hanno trovato posto le meravigliose interpretazioni del calcio dei protagonisti in campo: era un quarto di finale di Champions League, era in definitiva, una partita eccezionale. Se il carattere di “eccezionalità” viene meno, siamo sicuri che Psg e Bayern potrebbero regalare lo stesso spettacolo? Probabilmente no. A quel punto, potrebbe bastare una qualsiasi tournée americana giocata ad agosto.

Se i Bayern-Lokomotiv o gli Olympiacos-Manchester City possono sembrare noiosi, stagnanti, o addirittura superflui, di certo hanno una funzione: quella di preparare le maggiori squadre al momento culminante della stagione, quando è necessario esibirsi in una veste scintillante – al di là del fatto che il calcio, almeno come è concepito in Europa, conserva una filosofia importante: quella dell’inclusività, permettendo a tutte le squadre di partecipare e di “sognare” di vincere. Non riserviamo mai a una partita della fase a gironi l’attenzione posta in un quarto o in una semifinale di Champions. Ma perché dovremmo? È proprio l’unicità di certe sfide a costruire il mito, e lo spettacolo.

Per questo, ben vengano una super-Champions, una maggior quantità di partite, più Psg-Bayern o più Manchester City-Real Madrid: la verità, però, è che il calcio non è un videogame, e che certe sensazioni non possano essere replicate in serie. Serve un palcoscenico di un certo tipo, e un’emozione che lo surriscaldi. E calciatori che ci facciano saltare sulla sedia. Abbiamo già tutto, fortunatamente.