Com’è nata la nuova generazione di talenti inglesi

Foden, Sancho, Mount, Greenwood e tanti altri potenziali fuoriclasse del futuro sono il frutto della grande forza economica della Premier, ma anche di un grande progetto pluriennale della Football Association.

A un quarto d’ora dalla fine della partita con il Borussia Dortmund, il Manchester City  gioca un calcio d’angolo corto. Mahrez tocca il pallone per Bernanrdo Silva, che non vuole triangolare nello stretto. Gira velocemente il pallone al vertice dell’area, dove lo aspetta Phil Foden. Quando il centrocampista inglese riceve, nessun avversario può accorciare su di lui in poco tempo, e con il senno di poi quello che sarebbe successo dopo era quasi scontato. Foden ha bisogno di un solo tocco per sistemare il pallone e orientare il corpo, pianta la gamba destra nell’erba, lascia andare la sinistra con la compostezza con cui Matsuyama ha vinto l’Augusta Masters tre giorni prima. Ma il suo swing è potente come quello di un battitore di baseball e corre all’angolino. È il gol che, di fatto, qualifica il City alle semifinali di Champions. Proprio in quei minuti decisivi, a Liverpool, i Reds si affidavano al loro miglior giocatore nell’attacco a difesa schierata, con maggiori qualità nel passaggio e nel gioco lungo, per aprire la difesa del Real Madrid. Alexander-Arnold ha speso novanta minuti a esibire un campionario di filtranti, cross tagliati, sterzate e triangolazioni, ma non ha trovato nessun compagno pronto per l’ultimo tocco.

Alexander-Arnold è il prototipo del terzino-regista moderno a cui si possono affidare le chiavi del palleggio per trovare le migliori linee di passaggio possibili. Lo stesso Foden è molto distante dall’ideale del centrocampista box-to-box inglese: sembra un ibrido tra un enganche sudamericano, un esterno pensante e una mezzala di possesso spagnola. I due sono la migliore espressione del calcio degli anni Venti, in grado di controllare il pallone e il flusso del gioco anche a velocità esagerate. Soprattutto, sono entrambi inglesi, formati nel sistema di Academy riorganizzato dalla Football Association che negli ultimi anni ha prodotto vagonate di calciatori di altissimo livello: nella classifica di Trasnfermarkt dei giocatori con il valore più alto in assoluto ci sono cinque inglesi nelle prime 15 posizioni. Sono Kane, Sancho, Alexander-Arnold, Sterling, Rashford. Foden segue poco distante. Di questi, solo Kane e Sterling hanno più di 25 anni (27 e 26, rispettivamente). Ma ce ne sono molti altri: il quarto di finale tra Chelsea e Porto era stato stappato da un gol di Mason Mount (classe 1999), poi con Mason Greenwood e Tom Davies, Bukayo Saka e i due laterali Reece e Justin James, e ovviamente gli emigrati Jamal Musiala (che però ha scelto di giocare con la Nazionale tedesca) e Jude Bellingham (che aveva sbloccato Borussia Dortmund-Manchester City), il talento a disposizione dell’Inghilterra è diviso in tutti i ruoli, sempre ritagliato su un modello di calciatore estremamente tecnico, moderno, polivalente, associativo.

Negli ultimi anni la Premier League è cambiata sotto i nostri occhi. Il gioco si è fatto più raffinato, più ricercato, più attuale. Si è allontanato dalla tradizione del calcio britannico, dall’intensità a tutti costi, dai calzoncini sporchi e i palloni che viaggiano in aria senza un padrone. Un cambiamento che non sarebbe stato possibile senza l’innesto dei tecnici stranieri, che hanno portato in Inghilterra nuovi stili di gioco, metodi di allenamento e know-how: una mescolanza di usi, abitudini e culture che ha permesso alla Premier di aggiornarsi tatticamente e produrre giocatori più pronti per il calcio di oggi. L’esempio più evidente è ovviamente Guardiola che, pur adattando la sua idea di gioco, è riuscito a vincere e a dominare partendo dai principi del gioco di posizione – che probabilmente qualche vecchio Brexiteer deve considerare magia nera o una blasfemia. Prima di lui aveva fatto lo stesso anche Pochettino al Southampton e al Tottenham. E poi, in misura diversa e a un altro livello, anche Conte e Sarri al Chelsea, Michael Laudrup con lo Swansea, adesso Marcelo Bielsa al Leeds. Tutti questi allenatori hanno contribuito a rendere la Premier sempre più varia e interessante. Soprattutto perché si tratta di allenatori il cui successo non si legge solo nei risultati, ma anche nella capacità di sviluppare il talento a disposizione e di esaltare le qualità migliori dei loro giocatori.

È in questo contesto che stanno brillando i nuovi talenti del calcio inglese. Che poi sono quelli che arricchiscono la Nazionale di Gareth Southgate, tornata in semifinale ai Mondiali proprio nell’ultima edizione, nel 2018. Quella stessa estate il ct aveva spiegato che «questi allenatori hanno migliorato i giovani, ora anche nelle serie minori si vede giocare il pallone e non lanciare in avanti come ai vecchi tempi». La trasformazione però non è solo quella importata dall’esterno e costruita dalle 20 squadre di Premier League. È stata voluta dalla federazione inglese per sviluppare il talento in una certa direzione in maniera sistemica. Nel 2012 la Premier League ha creato l’Elite Player Performance Plan (Eppp) con l’obiettivo di produrre più giocatori professionisti nei settori giovanili. L’Eppp lavora in tre fasi: “Fondazione” (da Under-9 a Under-11), “Sviluppo giovanile” (da Under-12 a Under-16) e “Sviluppo professionale” (da Under-17 a Under-23). Un progetto che avrebbe rimodellato il sistema delle Academy attraverso il miglioramento delle strutture, la formazione dei giocatori a tempo pieno – mettendo insieme calcio e istruzione – e l’aumento del numero di tornei giovanili.

Nel 2014 è arrivato il cambiamento più importante. La FA ha lanciato il programma “England Dna”, che definisce i nuovi principi cardine per la formazione dei giovani: pone al centro il dominio del possesso, il recupero del pallone nei momenti migliori e la flessibilità tattica. Il programma è stato annunciato in una tre giorni al centro federale di St. George’s Park davanti a 1.500 allenatori della federazione, rivolto alle squadre giovanili inglesi, dagli Under-15 agli Under-21 maschili e agli Under-23 femminili. L’idea alla base è quella di creare prima di tutto un’identità di gioco replicabile a tutti i livelli, partendo dai più giovani. Da quel momento “England DNA” sarebbe diventato il punto di partenza per l’approccio della FA allo sviluppo dei giocatori d’élite.

«La FA riconosce che i club rimarranno sempre la principale influenza sui giovani giocatori, che formeranno il loro gioco in base alle esigenze del loro tecnico. Ma allo stesso tempo la federazione può guidare lo sviluppo e dare la direzione desiderata se condivide visioni simili con le società. I club vogliono buoni giovani giocatori nelle loro Academy e noi vogliamo buoni giocatori nelle Nazionali inglesi. Abbiamo gli stessi obiettivi», aveva spiegato Dan Ashworth, FA director of elite development dal 2012 al 2018. Ashworth ha disegnato quel programma studiando il successo del modello tedesco creato a inizio anni Duemila; osservando la capacità di un territorio piccolo come il Belgio di sfornare una generazione d’oro; riprendendo dalla scuola francese la rete dei centri federali che si dirada a partire dall’hub di Clairefontaine.

Mason Mount e Tammy Abraham sono altri due giocatori formati nell’ambito del nuovo sistema di Academy del calcio inglese: entrambi sono stati lanciati dal Chelsea in prima squadra e hanno esordito in Nazionale con Southgate in panchina (Catherine Ivill/Getty Images)

Ma una delle figure fondamentali del nuovo corso iniziato dalla Football Association nella prima metà degli anni Dieci è Gareth Southgate, l’uomo che ha fatto da collante e da ideologo in questa transizione. Prima del suo incarico federale, Southgate aveva avuto un periodo incerto dopo la carriera da calciatore. Da allenatore si era visto superato dalle difficoltà del Middlesbrough degli anni Duemila; poi un periodo di quattro anni lontano dal campo, speso per lo più nelle vesti di commentatore. Ma a gennaio 2011 è stato nominato capo dello sviluppo d’élite della FA e nel 2013 c’è stato il ritorno in panchina, alla guida dell’Under-21 – tre anni dopo sarebbe arrivato alla Nazionale maggiore con il successo e il consenso che ha ancora adesso.

La sua idea di calcio associativo, moderno, flessibile ma basato sul dominio del pallone è stata il fertilizzante per far germogliare la nuova FA. Una delle priorità su cui ha insistito maggiormente Southgate è l’importanza di assorbire altri stili e altre culture, di mescolare la tradizione inglese con le nuove idee che si stavano imponendo nel calcio europeo: «Vogliamo che la Nazionale inglese giochi con uno stile riconoscibile, ma diverso da quello del passato. Dovremmo mantenere il nostro atteggiamento tipico aggiungendo abilità tecniche, consapevolezza tattica e intelligenza di gioco», disse quand’era allenatore dell’Under-21. Oggi, a diversi anni di distanza dall’inizio della rivoluzione, il progetto della Football Association guidato da Gareth Southgate, nelle vesti prima di dirigente poi di allenatore, sembra essere decisamente sulla buona strada. La nuova filosofia federale e l’abitudine dei giocatori inglesi a giocare secondo principi di gioco lontani da quelli tradizionali ha creato una generazione di talenti moderni, fortissimi, brillanti, spendibili ad ogni livello nel calcio contemporaneo.