Nelle ultime due partite della Roma si è acceso, anche se solo per pochi lampi, il talento di Nicola Zalewski. Nella partita contro il Manchester United, all’esordio assoluto in prima squadra, ha trovato il gol con un destro al volo dall’interno dell’area di rigore; domenica scorsa, nel match contro il Crotone ha servito un assist che ha mandato in porta Borja Mayoral in occasione del gol che ha chiuso il risultato sul 5-0. Zalewski è un ragazzo cresciuto dalle parti di Roma e nelle giovanili della società giallorossa, ma ha scelto di rappresentare le Nazionali della Polonia, Paese d’origine dei suoi genitori. La sua storia descrive perfettamente lo stato del movimento calcistico polacco: c’è un forte legame tra l’Italia e quella terra che divide l’Europa occidentale da quella orientale, c’è un fil rouge che conduce direttamente alla Serie A, oltre ovviamente a un modo di saper stare in campo, e di fare la cosa giusta con il pallone, che sembra davvero un’ottima speranza per il futuro della Polonia.
È per questo che la Nazionale polacca si avvicina a Euro 2020 – e ai Mondiali dell’anno prossimo – con grandi aspettative. Non è una favorita, ma è subito dietro il blocco di prima fascia composto da Portogallo, Belgio, Spagna Francia, Inghilterra, Italia. Nel girone eliminatorio affronterà la Spagna, la Svezia e la Slovacchia, ma poi diventerà un avversario scomodo, che nessuno vorrà incrociare sul proprio cammino – anche perché nessun calciatore o allenatore sano di mente vorrebbe giocare contro la squadra di Robert Lewandowski in un torneo a eliminazione diretta, in cui ogni partita è inevitabilmente quella decisiva. L’attaccante del Bayern, però, non è solo sull’isola, anzi è supportato da una squadra di buon livello, con talento diffuso in ogni reparto. Può sembrare strano, perché il campionato nazionale polacco è piuttosto scarso – i club dell’Ekstraklasa fanno fatica a presentarsi ai gironi di Champions League o a fare figure dignitose in Europa League –però i giocatori che ha a disposizione Paulo Sousa sono tutti in giro per l’Europa, e la maggior parte milita in squadre che giocano nei cinque grandi campionati più importanti.
Negli ultimi 15 anni la Polonia ha intrecciato un paio di generazioni di grande qualità. I veterani sono arrivati ai massimi livelli sono Lewandowski, Piszcek, Krichowiak, Szczesny, Blaszcikowski. Ma il loro talento non è caduto dal cielo in maniera casuale, anzi in realtà i club dall’Ekstraklasa hanno continuato a produrre moltissimi giocatori di buon livello, che fanno pensare a uno sviluppo sistemico del movimento, a una crescita più ordinata – e quindi riproducibile nel tempo – rispetto a quella degli anni Settanta, che culminò con due medaglie di bronzo in Coppa del Mondo, nel 1974 e nel 1982, e poi sparì completamente nei due o tre cicli successivi. C’è un dato su tutti che aiuta a spiegare questo cambiamento, e riguarda proprio la Coppa del Mondo: nel 2006, nella rosa che ha partecipato alla fase finale in Germania, c’erano solo cinque giocatori legati a club dei cinque campionati europei più importanti. A Euro 2020, le previsioni sulla lista di Paulo Sousa dicono che ci saranno una ventina di giocatori di Premier League, Liga, Serie A, Bundesliga e Ligue 1.
L’evoluzione del calcio polacco negli ultimi quindici anni è frutto di contingenze diverse. E non tutte hanno a che fare direttamente con lo sport. «Lo stato di salute di un movimento calcistico va di pari passo con l’economia reale», racconta a Undici Giannandrea De Micco, agente Fifa che lavora sul mercato polacco e risponde al telefono da Cracovia. «E quella della Polonia ha retto meglio di tante altre alla crisi del 2007/08 che ha travolto l’intera Unione Europea». Nel 2009, mentre l’economia del Vecchio Continente si contraeva del 4,5%, la Polonia è cresciuta dell’1,6%, e da quel momento in non ha più conosciuto recessione (almeno fino al 2020). Nel 2013, Bloomberg definiva quella della Polonia come «l’economia più dinamica d’Europa». Almeno in termini relativi, questa situazione deve aver avuto un ruolo, un peso, soprattutto rispetto ai Paesi che, invece, hanno accusato i colpi della recessione.
Il fattore economico si mescola con tanti altri aspetti: nel 2004, l’ingresso nell’Unione Europea, quindi nel mercato comunitario, ha reso i giocatori polacchi più appetibili rispetto al passato, considerando le restrizioni sugli extracomunitari della maggior parte delle leghe continentali. Poi influiscono sicuramente anche hanno inciso un fattore demografico e uno geografico: la Polonia è una Repubblica di quasi 40 milioni di abitanti, cioè ha una popolazione più vasta di Ungheria, Croazia, Slovenia, Slovacchia e Repubblica Ceca messe insieme; di conseguenza, ha un bacino molto più grande in cui pescare rispetto ad altre nazioni. E poi confina con la Germania ed è attraversata dall’Oder, cioè il fiume che divide simbolicamente il lato occidentale da quello orientale del continente: insomma è proprio lì, a due passi dalla regione che domina il calcio mondiale.Il confine condiviso con la Germania, però, non basta a rendere la Bundesliga la meta preferita dei calciatori polacchi. Loro preferiscono l’Italia: «Con il nostro Paese c’è un legame particolare», spiega De Micco, «per molti polacchi trasferirsi in Italia è un sogno che si realizza, sono stati bambini cresciuti con il mito dell’Italia, e non solo per l’aspetto economico. Si può dire che, a parità di condizioni, un giocatore polacco sceglierà sempre di accettare l’offerta di squadra di Serie A». Oggi i polacchi in Serie A sono solo dieci, ma l’anno scorso erano 19, praticamente il doppio. Solo Brasile e Argentina avevano una rappresentanza maggiore.
Se ci mettiamo nella prospettiva opposta, quella delle squadre italiane, scopriamo che il mercato polacco rappresenta un’ottima opportunità. Per motivazioni principalmente economiche: negli ultimi anni, i reparti di scouting di tutti i club europei sono stati ampliati e perfezionati, lavorano in maniera più approfondita, non a caso gli investimenti nel settore sono una voce sempre più consistente nei bilanci delle società. I campionati storicamente più produttivi – quelli che si giocano Brasile, Argentina, Olanda, Belgio e Portogallo – sono sempre molto seguiti, ma le squadre di Serie A non possono competere finanziariamente con i club inglesi o le big di Spagna e Germania, e quindi la media borghesia del campionato A è costretta a scandagliare gli altri mercati. In un contesto del genere, l’Ekstraklasa si è rivelata una valida alternativa, considerando anche gli affari – tecnici ed economici – fatti con Zielinski, Milik, Piatek. E quelli che verranno, che in realtà sono già annunciati: Dragowski, Walukiewicz, Dawidowicz.
Nel frattempo il campionato polacco si è giovato di questa crescita congiunturale, si è sviluppato grazie agli investimenti dei club europei. Non a caso, i due trasferimenti in uscita più ricchi nella storia dell’Ekstraklasa risalgono al 2020, il terzo al 2017, e hanno riguardato giocatori Under 21 al momento della cessione. «Adesso sembra che la strategia dei club polacchi stia leggermente cambiando», spiega De Micco. «Preferiscono trattenere un giovane uno o due anni in più in prima squadra per vendere a un prezzo più alto anziché cederlo come un diamante grezzo, e incassare subito. Di questo passo il mercato potrebbe diventare un po’ meno conveniente, ma il campionato potrebbe diventare più competitivo e migliorare il livello generale. È una scelta che potrebbe pagare buoni dividendi sul lungo periodo».
In tutto questo, la Federazione non è rimasta a guardare, anzi ha cercato di guidare lo sviluppo del movimento calcistico dall’alto. La figura di riferimento è inevitabilmente Zbigniew Boniek – ancora il legame con l’Italia – che dopo essere stato a lungo vicepresidente della Federazione polacca, a ottobre 2012 è stato eletto presidente. E ha lasciato l’incarico solo tre settimane fa, per diventare vicepresidente Uefa. Mentre il resto del continente annaspava nella recessione economica, la Polonia ha co-ospitato gli Europei. «Era il 2012, e l’evento è stato un’occasione strabiliante per dare visibilità al Paese», racconta a Undici un agente polacco che preferisce restare anonimo. «Molti club hanno avuto la possibilità di costruire nuovi stadi in quell’occasione, e altri ne sono arrivati dopo. Questo ha permesso di portare anche nuove entrate dal marketing e dagli accordi tv. Però presto hanno capito che, per crescere davvero, devono investire anche in altre infrastrutture: così per un periodo si è fatta la corsa per costruire centri sportivi grandi e moderni, dove far allenare e giocare anche le giovanili».
Per assecondare questo nuovo contesto, nel 2013 la federazione ha creato la Central Youth League, una sorta di lega divisa tre categorie – Under 15, Under 17 e Under 18 di 32 club diversi – e che è nata per avere un coordinamento, per stendere un filo conduttore all’interno del sistema giovanile. Il sito della Fifa descrive l’iniziativa con queste parole: «L’influenza della Central Youth League sullo sviluppo del calcio in Polonia è di due tipi: in primo luogo, intensifica lo sviluppo del calcio giovanile organizzando competizioni in tre categorie di età, consentendo di migliorare le abilità dei giovani calciatori vedendoli confrontarsi regolarmente contro i loro coetanei provenienti da tutto il Paese. Inoltre, consente anche agli allenatori delle singole squadre nazionali di monitorare e identificare i migliori giocatori nei rispettivi gruppi di età». Il percorso delle giovanili deve culminare nelle prime squadre di ogni club, e allora dalla stagione 2019/20 ogni squadra deve avere almeno un giocatore dell’Academy in campo; nelle serie inferiori, inoltre, la Federazione riconosce dei bonus economici ai club in cui i giovani hanno accumulato più minuti di gioco.
Non può essere un caso, dunque, che la Nazionale guidata da Paulo Sousa – di nuovo il legame con l’Italia, anche se più flebile – abbia talento giovane in tutti i ruoli: nell’ultima lista dei convocati, quella per le partite di qualificazione ai Mondiali gioca a marzo contro Ungheria, Andorra e Inghilterra, c’erano nove giocatori nati dopo il primo gennaio 1998. Se il ricambio generazionale della Polonia difficilmente porterà un altro fenomeno del calibro di Lewandowski, la qualità media dei giocatori polacchi è assolutamente in crescita. Agli Europei che inizieranno tra un mese, i biancorossi non arrivano solo come una squadra in versione The Last Dance, come un gruppo che cerca il miglior risultato possibile con una generazione irripetibile, ma con la concreta possibilità di fare bene oggi e acquisire esperienza per le grandi manifestazioni che verranno. Nel 2018, in un articolo pubblicato sul Financial Times, Simon Kuper ipotizzava per il calcio polacco uno sviluppo simile a quello del movimento greco, spagnolo o, portoghese – le cui Nazionali, non a caso, hanno vinto tre Europei tra il 2004 e il 2016. Certo, immaginare che Lewandowski e compagni oppure eredi possano vincere un titolo è piuttosto azzardato. Ma in realtà potrebbe potrebbe essere solo questione di tempo.