Franco Battiato era un difensore elegante

Da giovane era stato un giocatore dilettante, da adulto ne ha sempre parlato pochissimo. Tranne in alcune interviste, in cui veniva fuori una visione intima, antica, del gioco.

Franco Battiato è morto questa mattina, nella sua casa di Milo (provincia di Catania), all’età di 76 anni. Da tempo circolavano voci sul fatto che le sue condizioni di salute fossero peggiorate negli ultimi anni, ma queste indiscrezioni non sono mai state confermate dalla famiglia o dai collaboratori di Battiato. Il cantautore siciliano è stato uno dei più grandi avanguardisti e sperimentatori della musica italiana: nella sua vasta produzione discografica – 30 album in studio, otto registrati dal vivo, cinque opere liriche/teatrali – e autoriale ha spaziato in tutti i generi, dalla canzone di protesta fino all’elettronica, con influenze provenienti da tutte le culture del mondo. Ha avuto esperienze anche come pittore e regista, ed è stato per un breve periodo – a cavallo tra il 2012 e il 2013 – Assessore al turismo della Regione Siciliana. Una delle sue passioni più profonde, anche se poco conosciute, è stata il calcio. Da giovane, in Sicilia, Battiato è stato giocatore di alcune squadre locali; in seguito, nel corso della sua carriera artistica, si è espresso poche volte sul calcio e sullo sport in generale, ma in quelle rare occasioni l’ha fatto con il suo solito stile, con la sua solita profondità, mostrando un’attenzione profonda negli aspetti più intimi e umani del gioco.

Come in questa intervista alla Gazzetta dello Sport, rilasciata nel marzo del 1997, in cui parla della sua esperienza come calciatore: «Io interista? No. Simpatizzo per le squadre che giocano bene: formazioni senza fuoriclasse, ma che hanno un’anima. Da ragazzo giocavo nel Riposto, espressione di un paese tra Catania e Taormina. Arrivammo in Promozione, ma la società rinunciò per motivi economici. Tutti parlavano del centravanti della Massiminiana di Catania. Dicevano: “Farà grandi cose”. Si chiamava Pietro Anastasi. Ero mediano e mi ritrovai ad agire come libero. Un ruolo nuovo, per l’epoca. Credo di essere stato uno dei primi liberi siciliani. In senso temporale, intendo». In un’altra intervista, rilasciata nel 1986, Battiato calciatore si autodefiniva così: «Ero un difensore d’intuito, d’anticipo; non toccavo mai l’avversario. Un Facchetti. E i tifosi spaventavano gli attaccanti rivali gridando ‘posa a pipa’, cioè ti conviene lasciare la palla». Sulla sua ultima partita: «Il 6 giugno 1985. Libero della nazionale cantanti. Contro la rappresentativa di Lega femminile. Subito dopo essere sceso in campo l’ala sinistra avversaria mi è scappata via. Così per inseguirla, ci ho messo uno sforzo in più: ho visto il campo ruotarmi attorno e ho deciso di rientrare negli spogliatoi. Non giocavo da 22 anni».

Due racconti della sua vita da calciatore, sempre tratti dall’intervista alla Gazzetta. Ecco il primo: «Ad Acireale, ultima partita di campionato. Noi primi in classifica, senza la macchia di una sconfitta. Inchiodammo gli avversari nella loro area, ma non c’era verso di segnare: pali, traverse, deviazioni. Io passai il tempo a grattarmi le caviglie sulla linea di centrocampo. All’ultimo minuto l’ala destra dell’Acireale partì in contropiede ed effettuò un cross per l’ala sinistra. Intercettai maldestramente il passaggio e spedii la palla all’incrocio. Un autogol meraviglioso. E rammento un attaccante del Taormina, specialista nel fare gol dalla bandierina del calcio d’angolo. Impressionante: il colpo gli riusciva una volta a partita». Il secondo: «Al calcio “devo” il mio naso pronunciato. Avevo 12 o 13 anni e un giorno, durante una partita, sbattei contro un palo della porta. Restai svenuto a lungo. Quando tornai in me, il naso era lievitato. Mio fratello suggerì: ‘Vai a casa e fila a dormire senza farti vedere’. Il mattino dopo la nonna venne a svegliarmi e alla vista della mia faccia prese ad urlare. Era una Sicilia distratta, accadevano cose tribali. Mia madre si preoccupò, ma aspettò una settimana prima di portarmi dal dottore. Il medico sentenziò: “Se l’avessi visto subito, gli avrei ridotto la frattura. Ora non posso fare più niente”».

Sulle differenze tra il calcio di oggi e il calcio di una volta: «Seguo le partite internazionali e l’Italia. Mi sembra che il calcio di un tempo possa definirsi statuario se paragonato al football di oggi. Vedo tiri incredibili, giocate ad altissime velocità. La competizione sta guastando la purezza dello sport. Falli brutti, tensioni. Un tempo c’era più gentilezza: chi commetteva una scorrettezza si scusava immediatamente. L’aspetto commerciale predomina. Ovunque, non solo nel calcio».  Anche in un’intervista televisiva rilasciata a Gianni Minà (visibile su Youtube), Battiato ha parlato dei momenti vissuti come giocatore: «Il calcio mi ha trasmesso sensazioni metafisiche: quando andavamo in trasferta nei vari paesi siciliani, avevo l’impressione che ogni Paese fosse avvolto da una specie di personalità, che dava un sapore diverso a ogni luogo. Ho smesso di giocare a 17 anni, subito dopo ho deciso di lasciare la Sicilia, perché mi ero accordo che non ci fosse niente per me. E allora mi sono trasferito a Milano, sono passato all’azione».

Foto tratta da Franco Battiato Archive, su Facebook