Sogno di un’Europa scomparsa — Germania Est

Dove potrebbe arrivare, oggi, la Nazionale della DDR?

Nel calcio, la Nazionale della Germania veste come una sposa: tutta (o quasi) di bianco. C’è anche un vestito di scorta, la maglia da trasferta, nata verde e poi “scolorita” nel grigio, fino al rosso inserito in tempi più recenti. E c’è stata anche una Germania in abito blu: quella dell’Est, che oggi non esiste più.
Partiamo, ancora una volta, dal 25 marzo 1957. Quel giorno gli stati europei fondarono la Comunità Economica Europea (CEE), che sarebbe poi diventata l’odierna Unione Europea. Tre anni dopo, nel 1960, si disputarono i primi campionati Europei di calcio, su suolo francese come il primo ideatore della competizione (Henri Delauney).

Il podio di quella prima edizione parla al passato remoto, racconta un’Europa che non c’è più: primo posto all’Urss, secondo alla Jugoslavia, terzo alla Cecoslovacchia che sconfisse la Francia (unica superstite fra le prime quattro) nella finalina di consolazione. Ai nastri di partenza di quell’Europeo c’era anche la Germania Est, con la sua casacca blu e i pantaloncini bianchi. Non partecipò alla fase finale ma ai turni di qualificazione, in cui fu sconfitta dal Portogallo in gare di andata a ritorno. I lusitani si imposero 0-2 nel primo round disputato a Berlino, e poi 3-2 nel return match casalingo in quel di Porto, in cui ai tedeschi non bastarono i gol degli attaccanti Gerhard Vogt e Horst Kohle. Sono queste le prime tracce ufficiali della vecchia DDR (Deutsche Demokratische Republik, Repubblica Democratica Tedesca) nel mondo del calcio. Non furono le ultime, né le più profonde.

Fino al 1974, la Germania Est non è riuscita a qualificarsi per nessuna grande competizione internazionale. Fino a quando, però, fu proprio il territorio tedesco a ospitare la decima edizione dei Mondiali. All’epoca la Germania era ancora divisa in due parti, secondo gli accordi maturati dopo la Seconda Guerra Mondiale: la zona a Est filo-sovietica, inglobata dall’influenza dell’Urss, e la zona Ovest legata invece al resto del blocco europeo e agli Stati Uniti d’America. Nel 1974 siamo dunque nel pieno della “guerra fredda”: un contrasto di cui la Germania si poneva come simbolo emblematico, con la sua doppia identità politica. Con il suo doppio campionato di calcio: Bundesliga a Ovest e Oberliga a Est. E con la sua doppia Nazionale di calcio, una vestita di bianco e l’altra di blu. La Germania dell’Est aveva superato il girone delle qualificazioni mondiali mettendo in riga Romania, Finlandia e Albania: 5 vittorie su 6 partite, 18 gol segnati e solamente 3 subiti. La Germania dell’Ovest invece venne ammessa di diritto alla fase finale, in quanto nazione organizzatrice del torneo.

Il torneo cominciò il 13 giugno 1974: sedici squadre partecipanti suddivise in quattro gruppi. Nel primo dei quali, per uno scherzo del sorteggio, si ritrovarono di fronte proprio le due Germanie. Il 22 giugno, al Volksparkstadion di Amburgo, andò in scena il clamoroso derby tedesco. Di qua i tedeschi bianchi (favoriti dal pronostico), di là i tedeschi blu. Prima del fischio d’inizio, al centro del campo, i capitani – Franz Beckenbauer per l’Ovest, Bernd Bransch per l’Est – si scambiarono un fugace sorriso prima di stringersi le mani. Poi fu primo tempo e fu 0-0. Poi fu ripresa e fu Jurgen Sparwasser, allora 26enne e da allora eroe nazionale, ma solo a metà. L’attaccante del Magdeburgo firmò il gol-partita al 77esimo minuto: incursione centrale e destro appena dentro l’area piccola, pallone sotto la traversa e poi in rete. Risultato finale: 1-0 per l’Est. Una macchia grossa così sul vestito bianco dei “cugini”. Alla fine, per la verità, fu proprio l’Ovest a vincere la Coppa del Mondo. Ma alla vecchia DDR rimase il ricordo del “momento Sparwasser”.

Torniamo per un attimo sul campo del Volksparkstadion, poco prima di quello storico match, alla stretta di mano tra i due capitani. Blocchiamo l’immagine e stringiamo l’obiettivo sul calciatore in blu. Bernd Bransch, difensore. La sua maglia ha un che di semplice e di elegante insieme: tinta unita blu scuro, ampio scollo a V bianco così come i dettagli delle maniche. Sempre in bianco, cucita all’altezza del cuore, la sigla DDR con appena sotto lo stemma della Repubblica Democratica Tedesca: martello e compasso raffigurati tra due spighe di segale circolari. A simboleggiare l’unità di operai, intellettuali e contadini. Bianchi i calzoncini, blu i calzettoni. Così il calcio ricorda la Germania dell’Est. E così comincia la nostra storia impossibile, o meglio ucronica, realisticamente ipotetica.

Uno dei momenti più significativi nella storia dei Mondiali di calcio: i capitani della Germania Ovest e della Germania Est, Franz Beckenbauer e Bernd Bransch, si stringono la mano prima dello storico “derby” vinto dalla DDR (Allsport UK /Allsport)

2021

Sessantuno anni dopo i primi campionati Europei, in cui la Germania dell’Est recitò da comparsa, la Uefa propone i nuovi Europei itineranti, slittati di un anno a causa del Covid-19. Sullo sfondo, Usa e Urss giocano ancora al tiro alla fune con le sorti del mondo. In Germania, il muro di Berlino è ancora tutto intero, coi suoi 160 chilometri di lunghezza e i quasi quattro metri d’altezza. Qualcuno, nell’ormai lontano 1989, aveva provato ad aprirvi una breccia, a lanciare un segnale, a gridare un aiuto, ma le due mura parallele sono ancora circondate da filo spinato, soldati e cani da guardia. Nessuno si azzarderebbe mai a staccarne un pezzo o a disegnarci sopra un murales. La divisione prosegue: di qua la Repubblica Federale, di là quella Democratica. Ciò che accade da una parte non si conosce nell’altra. Quel che supera il confine, difficilmente torna indietro.

C’è un Europeo da giocare e l’orgogliosa DDR non vuole farsi trovare impreparata. Le squadre favorite sono altre, ma le motivazioni non mancano ai tedeschi in blu. A cominciare dal confronto con i “cugini” in bianco: chissà che la DDR non riesca a regalarsi un altro “momento Sparwasser”.
Chi sarebbero gli ipotetici dirigenti dell’Est, immaginando un continente ancora diviso? Ci potrebbe essere Matthias Sammer, ex difensore nonché vincitore del prestigioso Pallone d’Oro nel 1996. È nato a Dresda, in piena Repubblica Democratica, e si è affermato nella squadra della sua città, la Dinamo Dresda. Appesi gli scarpini al chiodo lo immaginiamo scalare, grazie al proprio appeal, i vertici della Federcalcio. E per la panchina della Nationalmannschaft avrebbe scelto una leggenda come Joachim Streich, il miglior marcatore nella storia della Oberliga (229 reti) e della Nazionale dell’Est (53 o 55 a seconda dei conteggi). Ha appena festeggiato i settant’anni e sarà dunque affiancato da un vice più giovane: un altro ex difensore come Robert Huth, ritiratosi da pochi anni e famoso soprattutto per aver vinto la Premier League 2016 con il Leicester dei miracoli. Ora la strana coppia Streich-Huth si ritrova per le mani un’occasione ghiotta: ridare lustro continentale alle casacche blu.

A proposito. La divisa della Germania dell’Est, disegnata dallo sponsor tecnico ZEI, è ispirata alla tradizione con qualche aggiornamento: maglia blu con scollo (non più a V) bianco, pantaloncini bianchi, calzettoni blu. Piccole ma significative modifiche sulle maniche, alle cui estremità troviamo inserti giallo-rosso-neri: i colori della bandiera tedesca. Anche le tre lettere bianche, DDR, non più cucite a mano ma impresse a stampa, si sono spostate sulla manica sinistra, forse perché troppo “ingombranti” per i canoni del design moderno. All’altezza del cuore è rimasto invece l’emblema con spighe, martello e compasso. L’identità della Repubblica Democratica riproposta sulla trama del tessuto, con una texture fatta di piccoli cerchi combinati ad un effetto zig-zag in tono su tono.

Chi indosserebbe questa maglia agli Europei 2021? La formazione titolare potrebbe essere un 4-3-3 che attinge dal bacino di giocatori nati nei Lander della Germania Est. Tra i pali l’esperto Ralf Fahrmann, bandiera dello Schalke 04. La difesa sarà pilotata da Antonio Rüdiger (Chelsea), al suo fianco il mancino Jordan Torunarigha (Hertha Berlino), classe 1997 nato in Sassonia. A completare la retroguardia a quattro, due terzini di grande esperienza: Tony Jantschke (Monchengladbach) a destra e soprattutto Marcel Schmelzer (Dortmund) a sinistra. In cabina di regia il capitano e leader Toni Kroos, stella del Real Madrid, affiancato da un altro centrocampista di talento come Maximilian Arnold (Wolfsburg) e dal faticatore mancino Christopher Lenz (Union Berlino). Nel tridente offensivo trovano spazio il fantasista Leonardo Bittencourt (Werder Brema), ex promessa nata a Lipsia da padre brasiliano; il berlinese Maxilian Philipp (Wolfsburg), in grado di agire sia come esterno che da seconda punta; il centravanti Nils Petersen (Friburgo), passato anche dal Bayern Monaco tra il 2011 e il 2013. Tra le riserve, attenzione a un paio di giovanissimi ben quotati come il difensore Lars Lukas Mai, classe 2000 di proprietà del Bayern e il centrocampista Tom Krauss, 2001 che il Lipsia ha prestato al Norimberga. Convocato anche un altro “italiano”, l’esterno mancino Lennart Czyborra (Genoa) che mosse i suoi primi passi sportivi nella Union Berlino. Una DDR che, così schierata, partirebbe per l’Europeo con l’obiettivo di sorprendere. Alzare al cielo la coppa sembrerebbe una missione impossibile, ma probabilmente ai tifosi basterebbe un altro scherzo ai vicini di patria, un’altra macchia di sugo blu sul vestito bianco della sposa.