La fotografia e l’etica nel caso Eriksen, secondo un fotografo a bordocampo

Lars Ronbog ha raccontato la sua esperienza – professionale e personale – vissuta a pochi metri dal centrocampista della Danimarca.

Il mondo del calcio – e non solo – ha tirato un sospiro di sollievo enorme nel momento in cui si è saputo che l’arresto cardiaco occorso a Chrsitian Eriksen, 29enne centrocampista della Danimarca (e dell’Inter), nel corso della partita tra la sua Nazionale e la Finlandia, non ha avuto conseguenze fatali. Tutto ciò che è avvenuto al Parken Stadium di Copenaghen era in diretta televisiva globale, quindi è stato inevitabilmente visto e rivisto: l’istante in cui Eriksen è caduto di peso al suolo, mentre cercava di raggiungere un pallone servitogli dopo una rimessa laterale; l’arbitro e i compagni che chiamano a gran voce i sanitari; il primissimo intervento di Simon Kjaer, capitano della Danimarca; il massaggio cardiaco, le manovre di rianimazione, i giocatori della Nazionale danese che fanno scudo intorno al loro compagno per proteggerlo da tutto, anche dagli occhi dei tifosi e delle telecamere; la compagna di Eriksen in lacrime, consolata dallo stesso Kjaer e dal portiere Schmeichel; e, infine, l’uscita dal campo con Eriksen in barella – cosciente, per fortuna – scortato sempre dai compagni e coperto da due teli bianchi, anzi da un telo bianco e da una bandiera della Finlandia.

Come detto, tutto questo è stato documentato dalle regie televisive internazionali, e poi dai media di tutto il mondo. In tanti si sono interrogati sull’opportunità di mostrare certe immagini, del limite – professionale, ma anche etico e morale – che passa tra giornalismo e rispetto della privacy di un essere umano, per di più in un momento così doloroso e drammatico. Si tratta di una riflessione di enorme portata, su cui ognuno ha il diritto di avere una propria opinione. Forse, però, uno dei contributi più interessanti, significativi e anche condivisibili è quello fornito da Lars Ronbog, fotografo danese che ha seguito la partita di Copenaghen a bordo campo, e che in un thread sul suo profilo Twitter ha raccontato la sua esperienza– non solo lavorativa, ma anche profondamente personale – e le sensazioni provate nei momenti più delicati, quando Eriksen è stato male in campo. Ronbog parte da un assunto fondamentale: «Una partita di calcio è a tutti gli effetti un reportage. Saresti un cattivo fotoreporter se non scattassi tutte le foto che puoi. Scatta, scatta, scatta. Solo alla fine ci si interroga su cosa è venuto fuori da quegli scatti». In occasione di Danimarca-Finlandia e di quanto capitato a Chrsitian Eriksen, però, «siamo arrivati a un livello di riflessione che non avrei mai voluto sperimentare».

In questa che viene definita «Fase 2», l’etica assume un peso cruciale: «Una volta che hai le foto», scrive Ronbog, «devi decidere: inviare oppure eliminare? Io ero a quindici metri da Eriksen, e ho tantissime foto dei momenti più drammatici: Eriksen che cade a terra, Maehle che si avvicina per primo, poi Kjaer, i soccorsi, il massaggio cardiaco “violento” dei medici, gli elettrodi, i giocatori che piangono, la faccia inorridita della fidanzata qualche metro più in là. In certi casi, noi fotografi ragioniamo col pilota automatico: scattiamo panoramiche, primi piani dei compagni di squadra, dei medici, dei tifosi, dell’allenatore, reazioni del principe ereditario e della principessa ereditaria a 80 metri di distanza, ecc. Solo dopo, arrivano le considerazioni. Le nostre macchine sono collegate direttamente con i server di Getty Images, in pochi istanti le nostre foto possono essere disponibili per il download da parte dei nostri clienti.  Quindi sono io a dover decidere se, come e quando inviare le fotografie. In 9999 partite su 10mila, tutto questo avviene normalmente, e rapidamente. Danimarca-Finlandia, però, è stata la partita numero 10mila».

Qui inizia il racconto “etico” di Ronbog: «Inizialmente ero indeciso, poi per errore ho inviato una foto di Eriksen privo di conoscenza a terra. Dopo pochi secondi, mi sono pentito della mia decisione perché era chiaro che, se a Eriksen fosse andata male, allora quella sarebbe stata un’immagine troppo violenta. Per fortuna la rete aveva segnalato errori su quella particolare foto. Anche i colleghi accanto a me avevano i miei stessi dubbi. Ho iniziato a fare un po’ di selezione, anche perché non sapvo come stesse Eriksen: noi fotografi eravamo in campo, quindi non sentivamo ciò che veniva detto e raccontato in tv. E quando Eriksen è stato portato via in barella, non potevamo essere certi se fosse ancora vivo o meno. I tifosi sopra di noi  hanno avuto la possibilità di guardare in basso e di capire ciò che abbiamo potuto vedere in seguito, vale a dire che Eriksen era cosciente quando è stato portato fuori dal terreno di gioco. Però, ripeto, io non lo sapevo. Controllando su internet, ho visto diversi siti che mostravano l’immagine di Eriksen vivo e cosciente mentre veniva portato fuori dal campo. Si trattava di un’immagine forte, drammatica, però almeno mi ha sollevato e ha reso un po’ più semplice il mio lavoro di selezione delle immagini. E qui devo dire che il limite che mi sono auto-imposto non è stato superato da alcun collega accanto a me: le foto che sono circolate raccontavano ciò che era successo senza essere morbose». Ronbog è stato indeciso anche sulla foto della compagna di Eriksen: «Ho avuto molti dubbi sulla foto della ragazza di Eriksen insieme a Kjaer e Schmeichel, e alla fine ho scelto di pubblicare quella in cui non si vede il suo volto. L’ho fatto perché pensavo fosse giusto che il mondo intero potesse vedere cosa significa essere empatici, anche in un caso limite come questo. Non ho ancora caricato la foto in cui si vede la ragazza, ma su Getty e su altri media posso posso vedere che ci sono degli scatti che la ritraggono in quei momenti».

La riflessione di Ronbog si conclude così: «Questa vicenda è e resterà importante, soprattutto per quanto riguarda le modalità di scelta delle immagini pertinenti a un evento. Quando mi sono confrontato con altri colleghi dopo la partita, ho visto che anche loro hanno non hanno diffuso gli scatti più violenti, o li hanno cancellati. Ho visto alcuni media e dei fotografi stranieri che hanno scattato e diffuso foto che io ritengo siano al confine. Altri per me hanno varcato questo confine. Ma ognuno di noi ha il suo limite. C’entra il fatto che io sia danese e quindi in questa circostanza mi sentissi più coinvolto? Non lo so. Però so solo che anch’io ho pianto molto, ieri, durante quei minuti così drammatici. E so che anche per me non è stato facile. Di certo, però, la mia era una situazione meno pesante rispetto a quella vissuta da Eriksen, dalla sua famiglia, dalla Nazionale danese».