Questa è l’alba di una nuova Scozia?

Il ritorno della Tartan Army alla fase finale degli Europei ha dato grande impulso al rapporto storicamente complesso tra calcio e indipendentismo. Un risultato positivo nella gara contro l'Inghilterra potrebbe avere un impatto politico ancora più profondo.

In Scozia, il gol da centrocampo di Patrick Schick l’hanno visto anche nelle scuole, ma non per imparare a segnare in modi assurdi al portiere della propria Nazionale (sarebbe una storia bellissima): un’alunna di 10 anni della St. Stephen’s Primary School di Clydebank ha scritto una lettera al preside del proprio istituto per convincerlo a far vedere a tutte le classi, tutti insieme, la partita d’esordio a Euro 2020 contro la Reepubblica Ceca. Il preside ha fatto un sondaggio online tra genitori e insegnanti, poi ha dato l’ok e alla fine lunedì scorso gli alunni sono andati in classe con le maglie di Robertson, McTominay, Tierney, Christie. L’iniziativa è stata poi ripresa anche in altre scuole, in altre città. Poco importa che poi il risultato finale sia stata una sconfitta: la Scozia non viveva un momento del genere da 23 anni, e allora tutti devono aver pensato che, in fondo, ne valeva e ne sia valsa la pena.

Questa storia – raccontata nel dettaglio anche dalla BBC – dice soprattutto due cose riguardo la presenza della Scozia agli Europei. La prima è che nel Paese c’è più di una generazione che non vedeva l’ora di poter tifare per la Nazionale di calcio, e del resto la Tartan Army mancava a una grande manifestazione internazionale dai Mondiali di Francia ‘98; insieme ai bambini, agli adolescenti e ai post-adolescenti di oggi, c’è una generazione più anziana che desiderava solo poter tornare a tifare come trenta, quaranta, cinquant’anni fa. Il New York Time, pochi giorni fa, ha celebrato la Tartan Army – ovvero i tifosi della Scozia, che portano lo stesso soprannome della Nazionale – che fra gli anni Settanta e Ottanta «sono diventati un’attrazione turistica a sé stante, un’allegra orda itinerante al seguito della squadra», che si è distinta in un periodo in cui le tifoserie organizzate del Regno Unito erano famose soprattutto per la violenza e i danni provocati.

La seconda cosa va ancora più in profondità nella società scozzese, e ci dice che la questione sportiva è viva nell’opinione pubblica, anzi forse è viva come mai prima d’ora, e quindi si riflette inevitabilmente anche nel dibattito politico e sociale. Ovunque nel mondo lo sport delle rappresentative nazionali si tira dietro un po’ di sentimento patriottico, è nella logica delle cose. In Scozia vuol dire soprattutto soffiare sul fuoco dell’indipendentismo rispetto a Londra, al Regno Unito della Brexit, alla Famiglia reale, al governo di Boris Johnson. Solo che, nella storia recente del Paese, non è così scontato trovare un legame tra sport e politica. Nel 1992 Jim Sillars, deputato e numero due dello Scottish National Party – il partito per l’indipendenza della Scozia – pronunciò una frase che gli sarebbe rimasta appiccicata addosso praticamente per sempre: definì gli scozzesi «patrioti da 90 minuti», per dire che il loro nazionalismo iniziava e finiva con le partite della Nazionale. È stato l’inizio della fine della sua carriera politica, una discesa verso l’oblio piuttosto ripida.

Da allora lo sport, e il calcio in particolare, difficilmente è entrato direttamente nel dibattito politico scozzese come leva a disposizione di questo o quel candidato. Perché, banalmente, la Scozia non vince mai. E allora diventa difficile far leva sui risultati, sulla Nazionale, per esaltare gli elettori e consolidare il consenso. Nella storia dello sport scozzese l’indipendentismo è più che altro una sfumatura. È sicuramente un modo per sentirsi sia dentro sia fuori dal Regno Unito: non a caso va ricordato il fatto che gli atleti scozzesi rappresentano la Croce di Sant’Andrea o la Union Jack in base alle discipline, quindi nel calcio e nel rugby sono “Scozia”, nella stragrande maggioranza degli altri sport sono “Regno Unito”. Insomma, il rapporto tra sport e politica a Edimburgo è molto vago, mai approfondito per davvero. «Nel corso dei decenni, lo sport scozzese è stato definito sempre meno dallo sciovinismo e sempre più dal pessimismo, dalla malinconia e dall’autoironia. Quando la Scozia raggiunse i Mondiali di calcio del 1998, la canzone ufficiale che accompagnava la squadra si intitolava “Don’t Come Home Too Soon” (cosa che, ovviamente, fecero)», ha scritto Jonathan Liew su NewStatesman subito dopo la qualificazione a Euro 2020.

In realtà, il legame è stato più profondo e articolato in alcuni momenti. Si dice, per esempio, che il voto per la devolution scozzese del 1979 sia stato un fallimento perché l’anno prima la Nazionale aveva deluso ai Mondiali in Argentina. Il Guardian racconta che, prima di partire per il Sud America, il ct Ally MacLeod si disse sicuro di poter vincere il torneo, e lo fece con una tale faccia tosta che la spedizione iniziò con un sostegno popolare incredibile. Solo che poi la Scozia fu eliminata ai gironi, dopo tre partite, e la delusione fu totale. Forse questo è il turning point nei rapporti tra calcio e politica, forse davvero l’eliminazione di 43 anni fa ha cambiato l’approccio, determinandolo fino ai giorni nostri: ancora oggi lo Scottish National Party – che è il terzo partito politico più grande nel Regno Unito, e anche quello con il maggior numero di seggi nel parlamento scozzese – si appoggia al football con molta parsimonia. Prendiamo ad esempio la campagna elettorale per il referendum per l’indipendenza del 2014: tra i nomi degli sportivi coinvolti nella campagna “Sport for Yes” in occasione del referendum sono stati un judoka e un pugile peso piuma. Nessun nome altisonante. Tra l’altro anche quel referendum si sarebbe chiuso con una maggioranza per il “No” (55,3%).

La Scozia si è qualificata a Euro 2020 dopo aver raggiunto il terzo posto nel Gruppo I, dietro Belgio e Russia, e poi nei playoff ha battuto Israele e Serbia; l’ultima partecipazione agli Europei risaliva all’edizione 1996, quando la Tartan Army uscì al primo turno, finendo terza in un girone con Inghilterra, Olanda e Svizzera (Stu Forster/Getty Images)

A pochi anni di distanza, però, il panorama sembra cambiato completamente. La Scozia del 2020 sembra un posto diverso rispetto alla Scozia del 2014, politicamente, culturalmente e caratterialmente. Scrive ancora Jonathan Liew: «La Brexit e la crescente causa dell’indipendenza hanno accettato e introiettato l’idea che una piccola nazione possa prosperare nel mercato globale con un po’ di ottimismo e la volontà di rompere con il suo passato. Il nazionalismo non è più una preoccupazione da “90 minuti”, ma l’ideologia dominante». Insomma, se lo sport degli anni Venti è permeato di attivismo politico, anzi di politica vera e propria, ed è proprio così, si può dire che la Scozia stia assecondando e voglia assecondare questa nuova era. La questione più visibile e palese è nel gesto di inginocchiarsi prima delle partite a sostegno di Black Lives Matter, che ha acceso il dibattito in tutto il Paese. La Nazionale è stata criticata da molti politici per aver scelto inizialmente di non inginocchiarsi, gli uomini di Steve Clarke sono stati accusati di mandare il messaggio sbagliato nella lotta contro il razzismo. Allora dopo la partita con la Repubblica Ceca c’è stata subito l’inversione di rotta e stasera a Wembley per Inghilterra-Scozia si inginocchieranno anche i giocatori della Tartan Army.

Oggi c’è un orgoglio diverso, un sentimento diverso e un grado di partecipazione più alto da parte degli atleti alla vita politica del Paese, e sembra che la politica possa provare a cavalcare l’onda in qualche modo: dopotutto in questo momento la spinta indipendentista è ai massimi livelli, e allora unire tutto sotto l’ombrello del patriottismo è più facile. Lo scorso 6 maggio, lo Scottish National Party è uscito vincitore dalle elezioni per rinnovare il Parlamento scozzese: la leader del Snp, Nicola Sturgeon, cercava la maggioranza assoluta, l’ha mancata di un solo seggio; ha fatto il record storico di voti e di collegi conquistati; ha migliorato il risultato del 2016, con un deputato in più che porta a 64 (su 129) i fedelissimi della prima ministra a Holyrood. Oggi, in occasione della sfida che più di tutte alimenta il fuoco del nazionalismo scozzese, da Sturgeon in giù tutti hanno un motivo valido per pensare che un’impresa epica da parte di Robertson, McTominay e compagni avrà una ricaduta di qualche tipo sulla politica. O magari è solo un’illusione, come è un’illusione il fatto che la Scozia possa davvero uscire esultando da Wembley.