Marco van Basten e il più bel gol nella storia degli Europei, riletti da Federico Buffa

Con l'uscita su Sky di #SkyBuffaRacconta – Van Basten ’88, Federico Buffa ci porta dentro la storia di un gol entrato nel mito degli Europei.

“Tra qualche centinaio di anni una nuova civilizzazione rovisterà tra le rovine, alla ricerca dei fatti e dei nomi di quelle passate. È probabile che gli storici si imbatteranno in nomi di artisti, politici, astronauti e anche sportivi, ma non sempre sarà facile collocarli con certezza. Per esempio, Marcello da Utrecht, classificato come olandese, di conclamate doti artistiche. Pittore? Un atleta di uno sport chiamato calcio? Riusciremo mai a fargli sapere che è stato tutti e due?”. Così Federico Buffa apre il suo nuovo racconto, disponibile su Sky e su Now anche in streaming, dedicato a Marco van Basten: campione leggendario, concentrato di grazia ed eleganza come raramente è capitato di vedere su un campo da calcio, ma pure un uomo tormentato, con i guai fisici che lo hanno accompagnato durante e dopo la carriera, costringendolo ad alzare bandiera bianca nel pieno della sua maturità calcistica.

Ma fortunatamente Marco van Basten si è compiuto, in tutti i modi: vincendo e, soprattutto, ammaliando. Come fece in quel pomeriggio di trentatré anni fa a Monaco di Baviera, quando, nella finale degli Europei contro l’Unione Sovietica, segnò uno straordinario gol al volo per regalare alla sua Olanda il primo titolo della storia. È attorno a quella prodezza che si innesca #SkyBuffaRacconta – Van Basten ’88, dove Buffa, come al suo solito, confeziona una storia unica nel suo genere, raccogliendo aneddoti e sensazioni che ricostruiscono la storia calcistica e personale del campione olandese fino alla magia realizzata in quell’Europeo. Abbiamo raggiunto Federico Buffa per approfondire, con lui, l’epica di questo racconto.

Ⓤ: Quel gol, dunque. Van Basten, ad anni di distanza, lo ha ricordato così: «Era il secondo tempo ed ero un po’ stanco. Arnold Muhren mi ha lanciato ed io stavo pensando, ok, posso stoppare e cercare di superare tutti questi difensori oppure fare la cosa più facile, prendermi un rischio e tirare. Con un tiro del genere ci vuole tanta fortuna. A volte cose del genere succedono. A me è andata bene». Ma tu nel tuo racconto sottolinei un fatto incredibile: con una caviglia sana, quel gol non sarebbe stato possibile.

FB: È un calcio che non si può effettuare: il gol è talmente bello perché è innaturale. Lui ha la caviglia praticamente “ingessata”, perché non la può muovere: se provi a calciare col gesso la palla prende una traiettoria diversa rispetto a un calcio normale, con il collo del piede. Quando sta tornando a metà campo sta pensando “Oh Dio, cosa ho fatto, da quel che mi dicono i miei compagni di squadra ho fatto qualcosa di veramente particolare!”.

Ⓤ: È il gol che racchiude al meglio quello che è stato Van Basten?

FB: No, direi che il gol che lo rappresenta di più lo ha segnato sempre in quell’Europeo, contro l’Inghilterra. Un distillato di calcio vanbasteniano: un giocatore con un baricentro molto alto, perché è alto 1,86 metri, ma con una mobilità orizzontale che di solito i giocatori con quella corporatura non hanno. Siccome è totalmente ambidestro, se ti metti in quella condizione lì da difensore obiettivamente puoi farci molto poco, sei sicuro che ti salta, è troppo rapido orizzontalmente e troppo tecnico.

Ⓤ: Qual è secondo te la definizione che più si addice al Van Basten calciatore?

FB: È essenziale. Non fa mai una cosa gratis, fa solo cose che servono. È stato un calciatore veramente molto atipico, umanamente, per la sua carriera, e atipico è stato anche il suo modo di giocare. Credo abbia ispirato tantissimi giocatori di 1,85 metri che hanno giocato davanti: sono sicuro che ci saranno tanti giocatori che sono cresciuti vedendolo e che hanno cercato di ispirarsi a lui e a questo suo modo di essere così efficace, elegante, ma pure agonista, da competitor motivatissimo.

Ⓤ: Un nome su tutti?

FB: Lewandowski è un giocatore con quelle caratteristiche: si gira molto in fretta, calcia bene, con gran tempismo. Dei giocatori contemporanei mi sembra il più vicino.

Ⓤ: Abbiamo detto: atipico anche umanamente.

FB: La sua è una personalità molto dominante, con una buonissima percezione di se stesso, ma anche sofferente per la sua situazione familiare: la sua famiglia è costruita in maniera molto particolare, come spesso succede in Olanda, con un genitore protestante e un altro cattolico. Due genitori che hanno confessioni diverse, e poi si lasciano andare e si perdono, con questo modo in cui le emozioni sono gestite, molto nordico, che lo segna molto. La sua non è nemmeno una famiglia particolarmente benestante: non ha neanche il letto, è il terzo figlio e il più giovane, e quindi è costretto a dormire su una brandina. È un uomo frugale sotto molti punti di vista: il suo modo di giocare è tipico di chi non ha bisogno di tanto.

Ⓤ: E poi c’è la sofferenza fisica.

FB: Tanta. Alla fine sconta il fatto che il professor Marti non ha avuto il coraggio di dire davanti a Cruijff, ai tempi allenatore dell’Ajax, che continuando a giocare con la caviglia in quelle condizioni non avrebbe giocato più, o quasi. Invece Van Basten nel suo libro dice proprio questo: il professore era talmente succube della personalità di Cruijff che non ha detto niente, limitandosi a dire che la situazione poteva essere gestita. Ma non era vero: quando passò al Milan, lo venne a scoprire. E lui nella sua autobiografia lo ha scritto: “Qualcuno si è divertito a fare Dio con la mia caviglia”.

Ⓤ: Cruijff, ad ogni modo, è stato una stella polare nel cammino calcistico di Van Basten. Da un lato c’è la suggestione del debutto con l’Ajax: Marco che prende proprio il posto del 14, a nemmeno 18 anni, e che riesce subito ad andare a segno. Dall’altro l’incontro con il Cruijff allenatore, con cui c’è una omogeneità di pensiero straordinaria. Anzi: nel documentario racconti come, all’inizio di Euro 88, Cruijff lo prenda da parte e gli dica: non seguire Michels (il ct olandese), non giocare a sinistra. E Michels di lì a poco abiurerà il classico 4-3-3 olandese per il 4-4-2, con Gullit e Van Basten davanti. E Van Basten con Michels non era stato nemmeno troppo tenero: ci faceva giocare in allenamento undici contro undici, ma stava in piedi senza dirci niente…

FB: Van Basten ha avuto conflitti con tutti gli allenatori tranne due: Cruijff, l’uomo che lo forma, e Capello. Con Sacchi invece non era andata bene. In Italia si tende a considerare Sacchi un allenatore offensivo, ma per un olandese è il contrario: la forza del Milan di Sacchi è la fase difensiva, ma per poter giocare così si sacrificava tanto calcio offensivo, e Van Basten, da attaccante naturale, lo soffriva tantissimo. In più tu non puoi dire a Van Basten “devi fare questo” e basta: gli devi spiegare perché, e se non è convinto della spiegazione tende a rifiutarsi.

Ⓤ: Con Capello invece?

FB: Capello è considerato un allenatore all’italiana, ma non nella visione di Van Basten: lui dice che Capello ha dato tutt’altra dimensione offensiva, e soprattutto da ex calciatore di livello sa perfettamente qual è la parte che devi allenare e qual è la parte che devi lasciare al pensiero del grande giocatore. E questo è fondamentale per uno come Van Basten. Lui aveva delle doti, come il senso in anticipo della giocata, che non si possono insegnare: fanno parte dei cosiddetti intangibles, o ce l’hai o non ce l’hai. Cruijff lo ha allenato in quel modo: le cose che ti posso insegnare te le insegno, ma sono quelle che hai già che fanno la differenza.

Ⓤ: Cosa c’è di Van Basten che sarà per sempre inarrivabile per qualunque altro calciatore?

FB: Non c’è un singolo tratto, ma se metti insieme la capacità di calciare in acrobazia, il tempismo che ha sulle verticalizzazioni, la capacità di mettere il corpo contro il difensore, la mobilità orizzontale, il più che discreto stacco di testa, la bellezza della sua corsa… Cruijff gli aveva fatto giocare un po’ il calcio alla Platini, perché sarebbe stato anche un grande dieci offensivo, ma lui è egoista, e dice: “Bello, posso farlo, ma io voglio essere quello che a fine partita i compagni ringraziano perché ha fatto gol”. E gioca centravanti.

Ⓤ: Prima di Van Basten, per Sky, avevi raccontato altre due bellissime storie: Pelé e I diavoli di Zonderwater. C’è un fil rouge che le accomuna tutte?

FB: La sofferenza umana. La sofferenza e l’utilizzo delle proprie risorse. Una volta che pensi che sia finita, riuscire a trovarne delle altre. Sono storie di esseri umani sofferenti, che hanno una loro modernità, indipendentemente da quando accadono.