È l’Europeo di Raheem Sterling

Southgate ha costruito l'Inghilterra intorno a lui (e a Harry Kane), e così l'attaccante del Manchester City ha saputo riprendersi la scena.

Ci sono autogol e autogol: quello di Kjaer, quello che ha portato Inghilterra e Danimarca sull’1-1, è solo un fatto statistico, non è un errore grossolano o il frutto di un tocco maldestro da parte del capitano danese, piuttosto un tentativo disperato di evitare una rete praticamente già fatta. Un tentativo non riuscito. Certo, magari Sterling avrebbe anche potuto sbagliarlo, quel tiro da zero metri con la porta spalancata davanti a sé. Del resto è successo praticamente a tutti gli attaccanti, anche a quelli più forti, di sparare fuori una conclusione del genere. Ed era già successo anche a lui: rewind veloce a dieci mesi fa, a un inconsueto Manchester City-Lione d’agosto, quarto di finale in gara unica di una Champions League azzoppata dalla pandemia; azione di rabbia e tecnica di Mahrez in area di rigore, passaggio perfetto al centro, pallone che supera il terzino avversario e arriva sul piede destro di Sterling, con il portiere Lopes già abbondantemente superato; tiro di prima, a porta libera, con la linea a due metri e mezzo. Palla alta.

Fu un errore incredibile, che costò al City la sconfitta per 3-1 (se avesse segnato, la squadra di Guardiola avrebbe raggiunto il 2-2 a pochi minuti dalla fine) e che, anche simbolicamente, è stato il preludio alla stagione più cupa di Sterling a Manchester, non tanto nei numeri (41 partite da titolare e otto da subentrato in tutte le competizioni del 2020/21, con 14 gol e 12 asssit totali) quanto nell’importanza rivestita all’interno del City, del sistema di Guardiola. Il tecnico catalano, per assecondare le richieste della rosa e le necessità imposte da di un calendario mai così compresso, ha reso più cerebrale e meno ossessiva e verticale la fase offensiva della sua squadra, e così ha fatalmente depotenziato Sterling, lo ha fatto retrocedere nelle gerarchie (dietro Foden, De Bruyne, Mahrez, accanto a Ferrán Torres e prima del desaparecido Agüero), salvo poi ripescarlo per la finale di Champions League contro il Chelsea. A Porto, l’ex attaccante del Liverpool ha offerto una prova a dir poco incolore, anzi il fatto che sia stato schierato dal primo minuto, e che il suo ingresso al posto di Rodri/Fernandinho abbia inciso troppo – e in maniera negativa – sulla squadra che aveva raggiunto la finale, ha fatto piovere enormi critiche su Pep Guardiola.

Insomma, Sterling si è presentato agli Europei in una condizione molto particolare: l’allenatore che era riuscito a trasformarlo in un attaccante esterno sempre molto creativo, ma anche letale sotto porta (79 gol in tutte le competizioni dal 2017 al 2020), gli ha tolto la centralità che aveva saputo costruirgli intorno, e questo lo ha privato di molte certezze. Southgate, però, non ha mai smesso di credere in Sterling, di pensare all’Inghilterra come una squadra che va in campo per esaltare il suo gioco elettrico, la sua capacità di svariare su tutto il fronte offensivo e poi di inserirsi negli spazi aperti dai suoi compagni di reparto. Uno su tutti: Harry Kane. Ecco, forse è questa una discriminante, anzi la discriminante: Sterling si è un po’ smarrito proprio nella stagione in cui Guardiola ha iniziato a fare a meno di una prima punta classica, in moltissime gare – soprattutto quelle decisive in Champions League – Pep ha tenuto in panchina non solo Agüero, ma anche di Gabriel Jesus, ha preferito disegnare un tridente più mobile, più fluido. Una condizione che, per Sterling, non è ideale, perché lui preferisce svariare e muoversi accanto a un perno, a un uomo di riferimento, come una giostra che gira vorticosamente intorno al fulcro. Harry Kane è perfetto per questo ruolo. Non a caso, viene da dire, il centravanti che ha detto di voler lasciare il Tottenham è il primo obiettivo del Manchester City per il mercato estivo 2021.

Agli Europei, si è visto quanto possa essere una buona idea. Perché Kane è fortissimo, ma anche perché Sterling diventa molto più forte e decisivo quando gioca accanto a lui. I due gol con cui l’Inghilterra ha vinto la fase a gironi, quello contro la Croazia e quello contro la Repubblica Ceca, sono frutto di azioni in cui Sterling va a inserirsi in uno spazio che Kane ha lasciato libero perché era venuto a legare il gioco, e la stessa idea è alla base della manovra con cui Saka ha bucato la difesa danese e ha forzato l’autogol di Kjaer; la bellissima giocata corale che ha portato Sterling ad aprire le marcature contro la Germania nasce da una percussione dell’attaccante del City e da uno scambio con Kane in posizione di pivot, poi entrambi attaccano l’area di rigore dividendosi perfettamente lo spazio, sintomo di una connessione mentale profondissima; il rigore (generoso) conquistato nei supplementari contro la Danimarca è tutta farina del sacco di Sterling, viene fischiato al termine di una grande azione personale, ma in realtà questa libertà di accendersi all’improvviso deriva proprio dal fatto che le responsabilità di finalizzazione pura appartengano innanzitutto a Harry Kane, poi a tutti gli altri. Il fatto che Kane sia un fenomeno del gol, ma sappia fare benissimo anche tutto il resto, rende tutto ancora più preciso, ancora più perfetto.

Cosa vuol dire avere in squadra Sterling, con Kane accanto a lui

Sterling ha deciso e sta decidendo questo Europeo perché l’Inghilterra è una squadra costruita intorno a lui e alla sua sintonia con Kane. Non a caso, Southgate ha sempre schierato loro due dal primo minuto, in tutte le partite. L’ha fatto quando ha disegnato una squadra più offensiva e ambiziosa – nei primi match contro Croazia e Repubblica Ceca, l’Inghilterra si è schierata con la difesa a quattro e con Foden, Mount, Grealish vicini alla coppia offensiva  – ma anche quando è passato alla difesa a tre. La risposta di Sterling è stata sempre in linea con le sue enormi doti, con una tradizione recente che l’ha visto riconciliarsi in maniera definitiva con la Nazionale inglese dopo un inizio a passo lento – ha segnato 15 gol nelle ultime 22 gare dopo averne realizzati solo due nelle 45 presenze precedenti. Contro la Danimarca, l’attaccante del City ha messo insieme sei tiri (di cui tre in porta), dieci dribbling riusciti e due occasioni create sulla base di 78 palloni giocati, un contributo fondamentale per una squadra che pratica un calcio a strappi, inizialmente ragionato ma che poi si accende nell’ultimo terzo di campo, soprattutto grazie a lui.

L’Europeo di Sterling sembra perfetto anche dal punto di vista narrativo, nel senso che combacia perfettamente con l’identità dell’Inghilterra post-contemporanea e con l’ambientazione londinese, anzi di Wembley: Raheem è nato in Giamaica e si è trasferito nel Regno Unito quando aveva sette anni, quindi rappresenta perfettamente la nuova dimensione etnica e socio-culturale del suo Paese e della rosa della Nazionale; inoltre è stato uno dei primi calciatori di primo livello a esporsi in prima persona nella lotta alle discriminazioni, ed è cresciuto nel sobborgo di Brent, a pochi passi dallo stadio in cui domenica potrebbe raggiungere il più grande successo della sua carriera. Tutti i pianeti sembrano essersi allineati per lui, a pochi mesi di distanza dal momento in cui gli avevano voltato le spalle. Anche questo è un segnale significativo, a pensarci bene.