Tre minuti e quaranta secondi. Tanto era durata l’avventura di Manuel Lombardo ai Masters di Doha, lo scorso gennaio: il numero uno al mondo si era dovuto arrendere al primo turno contro la mina vagante del torneo, il macedone Denis Vieru. È stato un passo falso, per Manuel: non ci sono molti altri modi per definire una sconfitta del genere, soprattutto se sei il primo del ranking nella categoria 66kg. Da quel momento in poi il 22enne di Torino, membro del gruppo sportivo dell’Esercito, è diventato impeccabile, una macchina che non conosce errore. Non solo in gara, ma ogni singolo giorno, in ogni allenamento, a ogni passo sul tatami.
Non è un esercizio di retorica sul rialzarsi dopo una caduta, sul non farsi abbattere da un risultato negativo o sul carattere dei vincenti: quella sconfitta è entrata nella mente del judoka più forte di tutti e lo ha spinto ad accelerare, a riprendersi quell’aura di imbattibilità che per una volta sembrava aver perso. «Sono arrivato a quella gara fuori allenamento, per gli infortuni e il tempo fermo a causa del lockdown, ma non lo sapevo: ero tranquillo, sapevo di essere il numero uno al mondo come prima della pandemia e della pausa, quindi immaginavo che non fosse cambiato niente», dice Manuel. Invece quella sconfitta è stata rivelatoria: «Mi ha messo davanti alla verità e mi ha fatto capire che non ero in condizione. È stata la molla che mi ha aiutato s a ripartire: ho avuto la spinta per allenarmi di più, per allenarmi ancora meglio, perché sapevo di dover fare non solo un lavoro di mantenimento, come si fa di solito, ma anche di recupero della forma».
Il Masters di gennaio è il seme da cui sono germogliati i successi di Manuel Lombardo nel 2021: prima il titolo di campione europeo conquistato in primavera, che ha messo tutte le cose al loro posto, che ha rimesso il campione sul gradino più alto del podio; poi è arrivato l’argento ai Mondiali di Budapest. Dopo quattro vittorie per waza-ari, Manuel si è dovuto arrendere nella finalissima, perdendo per waza-ari a sua volta contro il giapponese Joshiro Maruyama – già campione nel 2019. Per qualunque osservatore esterno, il secondo posto è il riconoscimento di un percorso brillante in cui Manuel ha mostrato lucidità, carattere, capacità d’interpretare e gestire ogni situazione e ogni difficoltà.
Solo in due occasioni, prima di lui, un judoka azzurro aveva conquistato l’argento mondiale, e in più questo risultato vale la soddisfazione di aver confermato al primo posto nel ranking olimpico e la qualifica ai Giochi con tanto testa di serie numero uno. Ma per Manuel ancora non basta. Perché adesso c’è Tokyo 2020. E alle Olimpiadi l’obiettivo può essere uno solo: «L’asticella si mette alla medaglia d’oro, come del resto faranno tutti gli avversari che saranno là. Quello che devo fare io è arrivare ai Giochi al 100% della condizione, così sono certo di poter raggiungere il risultato. Dopotutto mi preparo per questo appuntamento da tutta la vita e penso l’oro olimpico sia alla mia portata, devo solo lavorare nel modo giusto». Quando dice «tutta la vita», Manuel intende letteralmente tutta la vita: il fratello maggiore ha messo piede sul tatami per la prima volta a sei anni, e quando Manuel ha avuto l’età per seguire le sue orme non ci ha pensato due volte: «Da quel momento in poi non mi sono mai fermato», dice.
La carica agonistica di chi non vuole accettare un risultato diverso dall’oro olimpico si alimenta con il lavoro quotidiano, spiega Manuel, un lavoro che inizia e finisce con la testa, con la forza di volontà. Ne parla come se fosse una condizione innata, la sua: «Dove non arriva il fisico arriva la mente, dove non arriva la mente non arriva niente. Per me è il mio grande punto di forza: quando sono in gara riesco ad essere il più naturale possibile, ho la testa libera, la vivo come se fosse un allenamento, con disinvoltura, e questo mi aiuta a stare sotto controllo». Per essere davvero naturale anche quando si gioca tutto, Manuel sa di dover lavorare solamente su di sé, ricercare la perfezione in ogni momento, in ogni singolo movimento che potrebbe essere richiesto sul tatami, senza fare troppi calcoli: «Fino a poche ore prima della gara non voglio nemmeno sapere chi sarà il mio avversario. È vero, in questo modo non ho materialmente il tempo per studiare una strategia a tavolino. Ma io provo sempre a prepararmi per battere chiunque, qualunque tipo di judoka, che sia alto, basso, destro o mancino. Anche perché la gara è sempre in evoluzione e non sai mai chi dovrai affrontare dopo. Il processo che ti porta ad essere al top passa dal poter vincere sempre con tutti».
Adattarsi a qualunque avversario, poter essere sempre migliore di chi si ha di fronte: è un principio fondamentale del judo, un’arte marziale che si può tradurre dal giapponese con “via dell’adattabilità”. Per arrivare in alto Manuel Lombardo ha dovuto interiorizzare questo concetto, ne ha fatto una pietra angolare della sua quotidianità, del suo lavoro, del suo judo. A Tokyo dovrà soltanto assicurarsi di essere la miglior versione possibile di sé, con tutta la naturalezza del mondo. Allora sarà pronto per battere chiunque, per vincere con tutti.