Kimia Alizadeh ha fatto la storia dello sport iraniano, da qualsiasi prospettiva: sette anni fa, a Nanchino, è stata portabandiera della sua delegazione ai Giochi Olimpici giovanili, edizione conclusa con la medaglia d’oro vinta nel Taekwondo -63 kg; cinque anni fa, ai Giochi di Rio 2016, è diventata la prima donna iraniana a conquistare una medaglia olimpica, grazie al bronzo conquistato nel -57 kg. A gennaio 2020, però, Alizadeh ha preso la decisione di lasciare il suo Paese, definendo se stessa come «una delle milioni di donne oppresse» e spiegando che il governo iraniano non avrebbe più utilizzato i suoi risultati sportivi «per fare propaganda». Si è stabilita in Germania, nella città bavarese di Aschaffenburg, e ha ottenuto lo status di rifugiata.
Quest’ultimo aspetto è fondamentale, perché a Tokyo 2020, proprio rappresentando la squadra olimpica dei rifugiati, Alizadeh ha fatto di nuovo la storia dello sport, anche di quello iraniano: nel torneo di Taekwondo -57 kg, ha affrontato e battuto Nahid Kiani, una sua ex compagna di Nazionale, in uno scontro del 16esimi di finale. È stato un momento storico, per tanti motivi: Alizadeh è entrata sul tatami del Makuhari Messe «mostrando che la sua vita è molto cambiata rispetto a cinque anni fa: camminava con sicurezza, teneva sciolti i capelli, proprio lei che in passato aveva protestato perché costretta a indossare lo stesso velo che incorniciava il volto della sua avversaria e della sua allenatrice», ha raccontato il New York Times. L’incontro si è concluso con il risultato di 18-9, e ha permesso ad Alizadeh di accedere agli ottavi di finale, dove ha compiuto un’altra impresa, battendo la favorita Jade Jones. Dopo un altro successo, contro la cinese Lijun Zhou, la corsa di Alizadeh si è arrestata in semifinale, contro Tatiaana Kudasova, e in seguito non è stata coronata con il secondo bronzo consecutivo. Sarebbe stata una medaglia dal valore immenso: la squadra olimpica dei rifugiati, istituita per la prima volta alla vigilia di Rio 2016, non ha ancora conquistato un podio.
Il risultato resta comunque straordinario, e non solo perché è arrivata una vittoria dal profondo significato politico contro un’altra atleta iraniana: dal 2018 a poche settimane fa, infatti, Alizadeh ha dovuto fare i conti con numerosi infortuni che l’hanno anche costretta a operarsi; inoltre, il suo trasferimento in Germania – dopo un breve soggiorno nei Paesi Bassi – è coinciso con un totale stravolgimento delle sua abitudini, anche dal punto di vista culturale. Ciò che non è cambiato è il suo approccio ai media: Helena Stanek, portavoce della Federazione tedesca di Taekwondo, ha spiegato che «Kimia non vuole parlare con i giornalisti finché non conquisterà un’altra medaglia olimpica: è molto ambiziosa, per lei essere a Tokyo non era abbastanza, voleva arrivare almeno sul podio e non ci è riuscita». Ovviamente in questo atteggiamento pesa il fatto che abbia lasciato l’Iran, che voleva dimostrare di essere in grado di vincere anche da apolide e rifugiata, non ci è riuscita, e infatti non ha rilasciato alcuna dichiarazione. Ma ci è andata molto vicino, e dopo tutto quello che ha passato, è un gran risultato.