Paola Egonu, schiacciare i pregiudizi

La pallavolista più forte del mondo è nata a Cittadella, ha vinto tutto quello che poteva con i club ed è un simbolo anche oltre il volley.

Il corpo nero per eccellenza è quello dell’atleta, e quello femminile. Entrambe le caratteristiche convergono nella figura slanciata di Paola Egonu, la donna che sempre più persone definiscono come la più forte giocatrice di pallavolo al mondo. Un metro e ottantanove, 22 anni, arriva a Tokyo 2020 per giocare la seconda Olimpiade della sua carriera. «Penso che i Giochi siano arrivati nel momento perfetto», dice riferendosi al rinvio che la manifestazione ha subito a causa della pandemia, «nel senso che abbiamo avuto un anno in più per prepararci. Quindi secondo me faremo un bellissimo lavoro». A Tokyo l’Italia di volley femminile arriva in cerca di una medaglia: sembra assurdo, ma non l’ha mai vinta. «L’esperienza con la Nazionale», aggiunge lei, «sta andando molto bene. Diamo il cento per cento, ma ci divertiamo anche — e in questo periodo difficile, divertirsi è anche un modo per svagarsi». Prima di Tokyo per Paola c’è stata la Champions League che l’ha vista trascinare l’Imoco Volley sul tetto d’Europa per la prima volta nella sua storia. Ma a Conegliano Egonu ha anche vinto tutto ciò che era possibile vincere: Supercoppa, Coppa e Scudetto. Battere a Verona il Vakifbank Istanbul è stata la ciliegina sulla torta.

È quasi la prima volta che un’italiana non bianca veste i panni della più forte del mondo, era successo prima solo con Fiona May nel salto in lungo. La britannica naturalizzata italiana aveva guadagnato due argenti ai Giochi olimpici, alla cui edizione di Tokyo 2020 ha dovuto rinunciare a partecipare, a causa di un infortunio, la figlia Larissa Iapichino, che ha già battuto i record della madre ed è considerata una stella in ascesa. Entrambe però hanno gareggiato in una specialità individuale e in una disciplina, l’atletica leggera, in cui – almeno nella percezione comune – l’eccellenza degli sportivi e delle sportive afrodiscendenti non è una sorpresa per nessuno. Il carattere individuale si rileva anche nel fatto che, nell’eventualità di sconfitte o di periodi non al massimo della forma, la responsabilità è per forza di cose del singolo. Le cose si fanno meno ovvie negli sport di squadra: calciatori come Balotelli sono passati molto velocemente dall’essere campioni all’essere capri espiatori. Per quanto riguarda il calcio italiano, l’eccellenza negli atleti non bianchi è di nuovo femminile: una delle più forti giocatrici è afrodiscendente, la capitana della Juventus e della nazionale Sara Gama. Per metà di origini congolesi, è stata anche la prima donna a entrare in consiglio Figc — «e non sono lì per fare bella presenza», ha detto.

All’indomani dei Mondiali del 2018, Egonu era già considerata la miglior opposto del mondo. La grazia con cui si eleva al di sopra della rete maschera la potenza con cui poi schiaccia il pallone a terra. Il suo gioco è forte: lancia bolidi che sfiorano i 100 km/h; è fisico: schiaccia a 3 metri e 44 dal parquet; ma non manca di qualità, precisione e intelligenza. Suo è anche il record di punti per una giocatrice in Serie A1, 47 in una partita. Quando inizia a portare a casa un punto dietro l’altro, i telecronisti dicono: «È inarrestabile». Difende questa metà del campo come se le appartenesse, quasi non fosse a casa da nessuna parte come su quel parquet. «In campo il colore della pelle, da dove vieni, non è quello che conta», ha detto nel 2018 durante un’intervista a Che tempo che fa. «Conta quanto cuore metti in quello che fai, l’anima, quanto ci tieni, quanto vuoi far bene, per te stessa e per tutta la squadra». A vederla giocare, Paola Egonu dà l’idea di sapere esattamente chi è e che giocatrice vuole essere: la consapevolezza dell’uno e la determinazione dell’altro sembrano essere tra gli elementi che l’hanno portata nell’Olimpo dello sport.

Il corpo di Paola Egonu, nella narrazione mediatica, è stato accostato a quello di una pantera — forte, veloce, agile, resistente, e in ultima analisi nero, appunto. Nata a Cittadella, in provincia di Padova, da genitori di origine nigeriana, Egonu in un’altra intervista aveva detto che «il colore della pelle è la prima cosa che noti». Lo sport italiano però, un po’ ingenuamente, cerca ancora di estraniarsi dalla politica, dall’attualità e dalle identità sociali. Lo dimostra la recente adesione di alcune squadre alle proteste #BlackLivesMatter e, di contro, l’impreparazione di alcune federazioni sportive nel gestire giocatori che si inginocchiavano, che restavano in piedi, che non sapevano cosa stesse succedendo o in nome di cosa si stesse protestando.

Fa riferimento a un episodio in particolare Paola Egonu per spiegare che invece alcuni «si stanno impegnando molto per contrastare i casi di razzismo»: Rimini, secondo tempo di Serbia-Thailandia, la serba Sanja Djurdjevic si rivolge a una compagna facendo il segno degli occhi a mandorla, gesto razzista e considerato profondamente offensivo dalle comunità asiatiche. La giocatrice serba avrebbe poi affidato le sue scuse a un messaggio su Instagram. Nel caso specifico, è stata aperta una un’indagine, la giocatrice è stata sospesa per due partire, e la federazione serba è stata multata per 22mila dollari. Lo screenshot del gesto e delle relative scuse hanno però fatto il giro del web, come giustamente succede con una tifoseria sempre più attenta alle dinamiche razziali: lo sport in fin dei conti è seguito anche da soggetti di minoranza etnica che non vogliono essere ridotti a delle macchiette. Gli italiani di seconda generazione comprano i biglietti per lo stadio, praticano attività sportive e guardano chi veste la maglia azzurra come si ammirerebbe un mito: hanno cioè un potere economico che può far leva su un settore che pensa di essere impermeabile alle lotte sociali. Per loro, vedere Paola Egonu — ma nella pallavolo, fortunatamente, non è l’unica: Miriam Sylla, Terry Ruth Nkemdilim Enweonwu — significa «avere dei modelli e rendersi conto che non sono da soli», come commenta Egonu. Significa anche dare alle bambine e alle ragazze nere il sogno di una pallavolo che è accessibile anche per qualcuno con la loro pelle, i loro stessi capelli, con tratti somatici in cui possano rispecchiarsi.

Se da un lato le squadre locali e le giovanili sono sempre più popolate da italiani di minoranza etnica, da italiani di seconda generazione, lo stesso non si può dire delle Nazionali, dove l’attuale legge sulla cittadinanza miete ancora molti talenti. Un esempio è Danielle Madam, che in queste settimane abbiamo visto insieme a Marco Lollobrigida alla conduzione di Notti Azzurre — anche la co-presentazione di Madam dei post-partita degli Euro 2020 è un altro passo avanti in una migliore rappresentazione di genere e di etnia. La pesista di origini camerunesi, nonostante viva in Italia da quando era bambina, ha ottenuto la cittadinanza italiana solo pochi mesi fa, un passaggio senza il quale non avrebbe potuto vestire la maglia azzurra e rappresentare l’Italia, magari alle Olimpiadi di Parigi 2024.

Secondo un’indagine condotta da RunRepeat, basata sulla raccolta di commenti a 20 partite della stagione calcistica 2019/20 della Premier League, Serie A, La Liga e Ligue 1, i giocatori neri venivano lodati per la loro fisicità, la resistenza, la forza; invece i calciatori bianchi erano esaltati per la tecnica, l’intuizione, l’analisi del gioco. Nella ricerca è stata analizzata solo la telecronaca in lingua inglese (dove solo il 5% dei commentatori è di colore), ma nel contesto italiano è rilevabile la stessa tendenza. Certo, quello è il calcio e questa è la pallavolo, quello è lo sport in cui la Champions League femminile è approdata l’altro ieri nel palinsesto televisivo, questo è uno sport in cui le donne hanno uno spazio mediatico, indipendente e parallelo a quello delle squadre maschili. E come dice la stessa Egonu, «in questo momento si sta lavorando molto per eliminare tutte le differenze tra uomini e donne», e forse è anche vero che, soprattutto nel mondo sportivo italiano, «non c’è una differenza tra donne di colore e non di colore», perché nella copertura mediatica dominano prima di tutto le prime squadre maschili. Eppure, nonostante queste premesse, è impossibile non notare una continuità nel modo in cui il commento sportivo descrive le atlete nere.

Giorgia Mecca nel suo esordio Serena e Venus Williams. Nel nome del padre ci ricorda che della tennista più forte di tutti i tempi un giornalista disse che «somiglia a un animale», che la vedrebbe meglio «su una copertina di National Geographic che su una di Playboy». Ecco, razza e genere, sessismo e razzismo: per combatterli dobbiamo riconoscere i pregiudizi e gli stereotipi che circondano, e talvolta definiscono, lo sport. Si possono decolonizzare anche i campi da gioco e gli spalti dai quali seguiamo i nostri idoli — e proprio loro potrebbero promuovere la decontrazione di un immaginario stereotipato. Lo fa Paola Egonu, un’incredibile schiacciatrice, afrodiscendente, italiana, che indossa la maglia azzurra. 

Da Undici n° 39
Foto di Luca Anzalone
Tutti i look di Emporio Armani