Ho perso il primo aereo della mia vita il 21 novembre 2015, e non per un ritardo o una cancellazione improvvisa: la mia compagna di volo e di vita si rese conto di aver smarrito la sua carta di identità una volta arrivati al controllo bagagli, e a quel punto fummo costretti a non imbarcarci, a trovare una soluzione e a rimandare la partenza al giorno successivo. Quel sabato mattina in aeroporto, dopo aver vissuto le fasi della disperazione, delle imprecazioni e della consolazione, devo ammettere di aver pensato: vabbè, c’è di buono che non mi perdo il Clàsico. Da amante del calcio, avevo ragione a voler vedere quella partita: nel tardo pomeriggio, al Bernabéu, il Real Madrid di Cristiano Ronaldo, Benzema, Bale, James Rodríguez, Bale, Modric e Kroos (schierati tutti insieme da quel pazzo di Rafa Benítez) avrebbe perso 0-4 contro il Barcellona di Messi, Suárez, Neymar, Iniesta, Rakitic, Busquets e Dani Alves. Quel giorno c’erano molti altri appassionati come me che hanno seguito o che avrebbero voluto seguire in diretta quella partita: secondo le stime, eravamo circa 600 milioni sparsi in 170 Paesi del mondo. Spero che nessuno di loro abbia mai perso un aereo, perché è un’esperienza davvero frustrante.
Oggi sarei ugualmente felice di perdere un aereo e di rinunciare a un giorno di vacanza ma, almeno, di poter guardare il Clásico? Forse no. Anzi: decisamente no. E non lo dico perché nel frattempo il mio amore per il calcio è cambiato o scemato, ma perché il Clásico è cambiato e scemato. Perché sono cambiate e scemate Real Madrid e Barcellona, e si sono trascinate con loro l’intera Liga. Qualche dato a supporto di questa tesi: dal 2009 al 2019, 21 dei 24 giocatori che sono arrivati sul podio del Pallone d’Oro giocavano in una tra Barça e Real; nel 2020 il premio di France Football non è stato assegnato per via della pandemia, allora un riferimento alternativo d’eccellenza potrebbe essere il FIFPro World XI 2020, vale a dire la squadra dei migliori calciatori dell’anno eletta dagli stessi calciatori: ebbene, in quell’undici dei sogno c’erano solo Sergio Ramos e Lionel Messi che giocavano nella Liga, e oggi giocano entrambi al Paris Saint-Germain. Nelle 15 edizioni precedenti del FIFPro World XI, inoltre, Barcellona e Real Madrid e Barcellona avevano accumulato 54 e 49 nomination, rispettivamente. La Juventus, terza in questa speciale classifica, è ferma a quota 14.
La crisi – economica e di attrattività – della Liga si è manifestata compiutamente nel corso del calciomercato estivo 2021. Non solo perché proprio Messi e Sergio Ramos siano andati via tre anni dopo Cristiano Ronado, ma perché non sono stati davvero sostituiti. Perché Kylian Mbappé non è arrivato al Real Madrid. Quello di Mbappé è un nome a caso ma non tanto a caso: tantissimi giornali e giornalisti prestigiosi, a cominciare dal New York Times e da Jonathan Wilson (sul Guardian) hanno sottolineato come il mancato – o solo rimandato? – acquisto del fuoriclasse francese da parte di Florentino Pérez vada interpretato come un segnale eloquente di declino, anzi è la certificazione che il calcio europeo sta scoprendo nuove gerarchie. Il caso-Mbappé non è isolato, va oltre Mbappé, si espande a macchia d’olio. E allora diciamola tutta: la Liga è in crisi perché il Real non prende Mbappé, ma anche perché il Barcellona, di fatto, ha sostituito Messi con Depay e Griezmann con Luuk De Jong; perché l’acquisto più costoso in assoluto è stato quello di Rodrigo De Paul, arrivato all’Atlético Madrid per 35 milioni di euro; perché la somma di tutto il denaro investito dalle 20 squadre partecipanti è di 737 milioni, la più bassa delle cinque leghe top in Europa. La Ligue 1, quarta in questa particolare classifica, ha accumulato affari in entrata per 100 milioni in più; le società della Premier League hanno investito 3,26 miliardi di euro per rilevare nuovi calciatori. Più di quattro volte la cifra spesa dai club della massima divisione spagnola.
Il vero problema non è tanto il crollo degli investimenti, quanto il fatto che questo crollo sia il frutto di un’evidente carenza di idee, e/o di una pessima gestione finanziaria nelle stagioni precedenti. Secondo la Deloitte Football Money League 2021, infatti, Real Madrid e Barcellona sono ancora le due squadre con il fatturato più alto al mondo, circa 715 milioni di euro ciascuna. Solo che il Barça è reduce da anni vissuti senza attuare alcun tipo di controllo o strategia finanziaria, al punto che è stata costretta a perdere Messi nonostante l’accordo raggiungo per il rinnovo del contratto; il Real, invece, ha perso molti soldi causa Covid e ha anche deciso di ristrutturare il Bernabéu, rinunciando così a potenziare la squadra. Anzi, sul mercato si è privato di Varane, Sergio Ramos e Odegaard e ha acquistato il solo Camavinga, oltre al free agent Alaba. Insomma, nella Liga i soldi girano ancora – e non a caso l’Atlético Madrid, con i suoi 331 milioni di introiti, è 13esimo nella graduatoria di Deloitte. È solo che ora sono leggermente meno rispetto al passato, mentre le spese – folli, enormi – di Barça e Real Madrid sono rimaste lì, intatte e pesantissime.
Il Coronavirus, dunque, ha “sbloccato” e alimentato una crisi che già bruciava sotto la cenere. E che non riguarda solo il Real Madrid e il Barcellona, ma l’intero lotto di squadre iscritte al campionato spagnolo. Non si spiega in altro modo l’accordo raggiunto da Javier Tebas, presidente della Liga, col fondo Cvc per l’iniezione immediata di circa due miliardi di euro in cambio di una percentuale sugli incassi futuri del club (qui una spiegazione dettagliata a cura di Calcio&Finanza), un’operazione che ha fatto arrabbiare il Real Madrid e il Barcellona, ma anche l’Athletic Club e l’Oviedo. Non si spiega in altro modo un altro provvedimento di Tebas, che ha inasprito le regole sul rapporto tra fatturato e stipendi – un club della Liga non può spendere più di una parte prestabilita dei propri introiti per pragare gli ingaggi dei giocatori e dello staff tecnico – e in questo modo ha causato, più o meno indirettamente, l’addio di Messi. L’obiettivo di Tebas era ed è il taglio dei costi per contenere l’emorragia economica, nonché la creazione di un maggior equilibrio competitivo, perché «le leghe sono al di sopra dei giocatori e dei club». Allo stesso tempo, però, l’addio di stelle così luminose ha rappresentato un duro colpo per la sostenibilità del sistema, semplicemente perché la cifra attrattiva di un campionato dipende inevitabilmente dai grandi giocatori che vanno in campo, soprattutto dal punto di vista di chi guarda le partite, quindi anche di chi investe sul prodotto.
E torniamo di nuovo al punto di partenza, ovvero all’assenza di fuoriclasse planetari. All’evidente mancanza dei Messi, dei Ronaldo e dei Neymar che furono, degli Haaland e dei Mbappé che sono e che saranno. In questo momento, secondo i dati Transfermarkt, la Liga è dietro la Serie A per valore complessivo dei giocatori tesserati in tutte le squadre (4,98 miliardi di euro contro 4,97); i calciatori più preziosi che militano in Spagna sono un mediano di governo (Frenkie de Jong), una seconda punta atipica che segna molto poco (João Felix), una raffinata mezzala 18enne (Pedri) e un tuttocampista che a volte gioca anche come esterno di difesa (Marcos Llorente), tutti ruoli e nomi che non accendono troppo la fantasia. A coloro che non amano queste valutazioni scientifiche, e che vogliono comunque tracciare i reali e drammatici contorni dell’impoverimento della Liga, basta formulare la stessa domanda – provocatoria, ma veritiera – posta da un agente di mercato anonimo in questo articolo di di The Athletic: «In tempi normali, il Barcellona avrebbe mai acquistato Memphis Depay?».
Certo, va anche detto che ci sono dei club-progetto che funzionano, che hanno una visione e alla fine riescono anche a raggiungere grandi risultati: l’Atlético Madrid, il Siviglia, il Villarreal. Ma sono realtà diverse, inevitabilmente più piccole e più limitate, che non possono fare da traino, essere guida del movimento. Anzi, il fatto che proprio l’Atlético – una squadra che, per scelta ideologica del suo allenatore, pratica un calcio basico e di sofferenza – abbia vinto l’ultimo titolo nazionale con relativa facilità è un ulteriore segnale del decadimento generale, di una stagnazione che si manifesta soprattutto nella qualità della proposta di gioco: in questo lungo articolo pubblicato da El Confindenciál, sono gli stessi calciatori e allenatori spagnoli ad accusare sé stessi di «aver adottato sistemi tutti uguali che non hanno profondità né ampiezza» (Jorge Otero, ex giocatore della Nazionale iberica), di «aver dimenticato l’importanza del dribbling e della libertà creativa (Carles Martínez, ex allenatore giovanile di Barcellona ed Espanyol), «aver creato allenatori convinti che le partite si vincano solo col possesso palla» (Joan Capdevila, campione del mondo con la Roja nel 2010).
Insomma, in questo momento storico sembrano non esserci reali motivazioni nel seguire la Liga, se non il tifo per una delle squadre che vi partecipano, o magari una certa nostalgia per ciò che è stato in passato. E il primo turno di Champions League ha confermato la sensazione di crisi: una sola vittoria su cinque partite, quella del Real Madrid a Milano, arrivata tra l’altro al termine di una partita a folate in cui l’Inter ha mostrato spesso di poter essere più organizzata e pericolosa rispetto agli avversari; il Villarreal ha pareggiato in casa con l’Atalanta, una squadra del suo stesso livello, l’Atlético e il Siviglia si sono fatte bloccare da Porto e Salisburgo, il Barcellona è uscito con le ossa rotte dal (presunto) big match contro il Bayern Monaco. Proprio dopo la passeggiata dei bavaresi al Camp Nou, uno 0-3 netto e senza appello, Ronald Koeman ha fatto una fotografia impietosa ma realistica del momento del Barcellona: «Il Bayern in questo momento è più forte di noi e l’ha dimostrato. Noi oggi siamo una squadra giovane, abbiamo un grande futuro, ma sappiamo anche che fino a un anno fa avevamo a disposizione altri giocatori, soprattutto in attacco». È un discorso che va oltre il Barcellona senza Messi: il Real Madrid ha ancora Benzema (e Modric, e Kroos), ha sbagliato l’acquisto di Hazard e sta provando a costruire un nuovo fuoriclasse partendo da Vinícius, da Rodrygo, in attesa di Mbappé; l’Atlético Madrid si affida a Luis Suárez e non ha ancora visto all’opera il vero João Felix, e così ha provato a riciclare Griezmann. Insomma in Liga è tutto fermo, in attesa di una scossa. Doveva essere Mbappé, e non è andata così: forse anche questo è un segnale chiaro, evidente, che qualcosa è cambiato, non proprio in meglio.