È iniziata una guerra del ketchup nel calcio inglese

I divieti imposti da Conte e Gerrard hanno fatto riemergere una vecchia e profonda divisione culturale.

Abbiamo saputo subito, praticamente in tempo reale, che uno dei primi provvedimenti presi da Antonio Conte al Tottenham ha riguardato l’eliminazione del ketchup dalla dieta della prima squadra. Il gusto tipicamente italiano per le notizie laterali che raccontano storie di severità e di rigore, evidentemente, appartiene anche ai giornali anglosassoni: pochi giorni dopo Conte, anche Steven Gerrard si è seduto su una panchina di Premier League – quella dell’Aston Villa – e ha deciso di seguire l’esempio del manager salentino, impedendo ai suoi giocatori di mangiare la salsa agrodolce di pomodoro più famosa al mondo. Sia Conte che Gerrard ci hanno tenuto a spiegare e motivare la loro decisione: per Conte, un appassionato storico di ascetismo calcistico, «essere professionisti significa prendersi cura del proprio corpo: allenamento e partite sono solo la parte finale del lavoro, devi preparare il tuo fisico, la tua mente, il tuo cuore»; Gerrard gli ha fatto da eco, spiegando che «i giocatori devono mostrare di avere la mentalità giusta, devono sforzarsi di essere élite».

In realtà il dibattito – anzi, possiamo dirlo: la guerra – intorno al ketchup va avanti da molto tempo. Ogni volta che arriva un nuovo allenatore nel Regno Unito, i giornali indagano sul suo atteggiamento nei confronti della salsa più amata dagli inglesi, quindi anche dai calciatori. Uno dei primi casi storici risale al tempo di Fabio Capello e Roy Hodgson: il primo, arrivato sulla panchina della Nazionale nel 2008, proibì il ketchup ai pasti durante i ritiri, generando un bel po’ di dissenso tra i calciatori convocati; al suo addio, nel 2012, seguirono l’arrivo dell’ex allenatore dell’Inter e del Liverpool e la reintroduzione del ketchup, con inevitabile apprezzamento nei confronti del nuovo ct. Come avvenuto in seno alla Nazionale, anche nei club gli avvicendamenti tra i vari allenatori hanno fatto entrare e uscire il ketchup dai pasti: al Manchester United, per esempio, Moyes l’ha cancellato e poi Van Gaal lo ha reintegrato; al Tottenham è successa la stessa cosa con Juande Ramos e Redknapp.

Secondo Jonathan Liew, firma del Guardian, «questo continuo e insistente dibattito sul ketchup riflette un’evidente divisione culturale all’interno del calcio: per qualcuno deve essere un gioco di sofferenza e sacrificio, e per questo i calciatori devono rifiutare non tanto il ketchup in sé, quanto la voglia, il desiderio, la tentazione stessa; per altri, invece, la priorità dovrebbe essere la ricerca del piacere, dei buoni sentimenti. È una vera e propria guerra di religione, non molto distante da quella tra puritani ed edonisti». Per Liew è anche una questione profondamente inglese, che «illustra la nostra confusione in merito alla nostra identità come nazione: ci sogniamo libertari ma in realtà vogliamo essere guidati dagli autoritari; santifichiamo le regole come la libertà di ignorarle; vogliamo che il ketchup sia bandito, ma combatteremo fino alla morte per il nostro diritto di mangiarlo». Quando diciamo che il calcio è cultura, esattamente come il cibo, pensiamo proprio a dei collegamenti di questo tipo.