La prima volta che ho incontrato Erling Haaland sul campo aveva sette anni e io ero il suo primo allenatore. Era un ragazzino piccolo, direi magrolino. Non ricordo con precisione quando l’ho incontrato per la prima volta in assoluto: in una cittadina come Bryne, di circa diecimila abitanti, si conoscono tutti ed è probabile che avessi incrociato Erling anche prima. Era silenzioso, non ha mai parlato molto, ma non sto raccontando nulla di particolare: da queste parti della Norvegia tradizionalmente siamo persone a cui piace lavorare più che parlare, credo sia genetico, più o meno. La prima cosa che mi viene in mente di quegli anni è che Erling ha smesso di giocare con i suoi coetanei molto presto: a otto anni era già in squadra con i ragazzi di nove.
In un certo senso è sempre stato pronto per giocare ad alti livelli perché aveva la testa giusta, l’approccio giusto, anche perché gli piace stare in campo: si allenava con grande serietà ma si divertiva, e ovviamente segnava moltissimo già allora. È sempre stato un vero centravanti, lo stile era simile a quello di oggi. Solo che da piccolo aveva un corpo diverso, non poteva dominare fisicamente, a maggior ragione per il fatto che giocava con i più grandi – quando hai nove, dieci o undici anni la differenza di età si sente a livello atletico. Quindi in quel periodo di formazione ha dovuto affinare il suo gioco, i suoi movimenti, ha dovuto studiare per migliorare il tempismo e il posizionamento in area, altrimenti non avrebbe toccato palla.
È anche per questo che oggi ha delle letture di gioco a livello d’élite: Erling ha imparato presto a entrare nelle pieghe di una partita. Voglio andare oltre il semplice “ha sempre giocato al massimo e si è sempre impegnato”. Poi crescendo ha messo anche massa, centimetri, peso. Alla fine è diventato difficilissimo giocarci contro. Oggi se devi difendere in area contro Erling sai che con un tocco, forse anche mezzo, può segnare. Ma se parte da lontano non sai come fermarlo. È diventato un attaccante incredibile: sembra venuto dal futuro.
Considerando le esigenze del calcio di oggi direi che un grande pregio di Erling è che può giocare e brillare in tanti contesti. Se va in Inghilterra può adattarsi a un gioco molto fisico, se decide di passare ancora qualche anno al Dortmund può continuare a fare benissimo, ma potrebbe scegliere di andare in un calcio diverso come quello italiano, o in un Paese dove si esaltano le qualità tecniche come la Liga spagnola ed essere ugualmente decisivo. Anche tatticamente chi lo allena può usarlo in tanti modi: può giocare da solo in attacco come gli capita spesso oggi, con tutto lo spazio a disposizione, ma puoi metterlo in coppia con un’altra punta e rendere allo stesso modo.
C’è poi un dettaglio che ci dice molto di lui. E riguarda i suoi gol. Tutti conosciamo i numeri impressionanti – in Bundesliga segna praticamente con la media di un gol a partita – e se rivediamo i gol in Champions League notiamo un particolare: dei primi 24 gol che ha segnato ne ha fatti 19 con tocchi di prima. Possiamo riassumere dicendo che Erling è un attaccante che sa farsi trovare al posto giusto al momento giusto. Ma cosa vuol dire? Significa avere una conoscenza tattica del gioco elevatissima, perché devi sapere come si svilupperà l’azione, e poi serve grande abilità tecnica e di tattica individuale per avere sempre un corretto posizionamento con il corpo e la giusta sensibilità nel tocco. Erling conosce alla perfezione il suo corpo e lo sa sfruttare al meglio per mettere la palla alle spalle del portiere.
I risultati che sta ottenendo non si conquistano solo con il lavoro sul campo e con il talento. C’è anche altro, inevitabilmente. Un percorso di crescita come il suo si costruisce con l’impegno fuori dal campo. Quando lo allenavo io era un ragazzino e all’epoca faceva la vita che doveva fare, non viveva certo come un calciatore. Ma crescendo diventava sempre più professionale. E della sua mentalità dicono molto anche le scelte che ha fatto fin qui: andare al Molde ad esempio lo ha aiutato a crescere quando era ancora un teenager; poi è passato al RB Salisburgo dove sapeva di trovare una società che ha ottime strutture e una grande attenzione allo sviluppo dei giovani. E si può dire lo stesso del Borussia Dortmund, a un livello ancora più alto. Sembrano tutte decisioni molto attente e misurate. Scelte che raccontano di un ragazzo che sa fidarsi delle persone che sono al suo fianco, come la famiglia ma che allo stesso tempo è consapevole di ciò di cui ha bisogno in ogni fase della sua carriera.