Sabato 12 febbraio 2022, allo stadio Grande Torino, si è fatto un pezzo di storia della Serie A: al minuto 55 di Torino-Venezia 1-2, la squadra ospite ha sostituito Gianluca Busio con Tanner Tessmann. Si tratta della prima sostituzione di sempre che ha coinvolto due giocatori statunitensi in Serie A. È un pezzo di storia, in realtà, è molto marginale, allo stesso tempo, però, va detto anche che si tratta di un momento che ha effettivamente un valore: intercetta una tendenza e racconta un cambiamento, un processo di evoluzione che sta allargando e ampliando la geografia del calcio. Gli Stati Uniti, infatti, sono ormai parte della filiera di sviluppo del talento: la Major League Soccer, il massimo campionato nordamericano, non è più una periferia sgangherata del calcio (soccer), piuttosto un luogo dove scovare nuovi volti, nuovi nomi, nuove competenze, tra calciatori, allenatori, magari anche dirigenti.
La conferma di questa mutazione in atto arriva dall’ultima sessione di calciomercato. A gennaio 2022 le squadre della Mls hanno esportato più giocatori rispetto a qualsiasi finestra di trasferimenti precedente: sedici di questi sono stati acquistati da club europei, e sono 33 in totale se si aggiungono al conteggio anche prestiti e parametri zero. È una quota più alta rispetto ad Argentina, Giappone, Messico, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Russia e Turchia. Insomma, è evidente che dagli Usa abbia origine un nuovo canale di transito privilegiato verso i campionati più importanti. Il dettaglio più interessante di questa finestra di mercato da record è la riproducibilità, cioè la possibilità che questi numeri si ripetano anche in futuro. Perché i trasferimenti di gennaio 2022 non sono come quelli del 2018/19, quando Miguel Almirón si trasferì al Newcastle per 21 milioni di sterline e Alphonso Davies andò al Bayern Monaco: in quel caso si trattava di giocatori evidentemente troppo grandi per la Mls, ragazzi a cui il talento esce anche dai tacchetti e quindi devono essere considerati come delle eccezioni. Oggi i trasferimenti coinvolgono Ricardo Pepi, Tajon Buchanan, Daryl Dike, Justin Che: giocatori forti e di prospettiva, elementi che la macchina di sviluppo del calcio americano potrebbe riproporre anche in futuro.
Ma come siamo arrivati a questa svolta? La risposta a questa domanda è che ovviamente siamo di fronte a un collage di situazioni. Il francese Fred Lipka, diventato nel 2013 tecnico per lo sviluppo giovanile della Mls, ha detto a So Foot che non c’è un motivo unico che spieghi questa evoluzione: «È un sistema che si sta mettendo in atto poco a poco». Il fatto che si tratti di un percorso a tappe evidenzia in maniera ancora più forte quanto lo sviluppo del calcio americano sia stato voluto e programmato a tavolino, e si stia realizzando nell’unico modo possibile: seguendo una direttrice bottom-up, quindi a partire dai giocatori, soprattutto i giovani. Per questo il merito iniziale – probabilmente la fetta più grossa – va ascritto ai settori giovanili, alle strutture di allenamento e alle Academy che formano i giocatori. È grazie a queste entità e al loro lavoro se oggi, nel calcio statunitense, il talento è molto più diffuso e il livello medio dei singoli è decisamente più alto rispetto al passato. C’entrano molto anche le influenze provenienti dall’Europa, il fatto che diversi grandi club del Vecchio Continente abbiano creato e rafforzato i loro legami con i centri di formazione degli Stati Uniti: il City Football Group ha fondato il New York City FC; ancora prima, la Red Bull aveva creato la sua franchigia, sempre a New York; il Psg ha costruito una struttura giovanile con cinque campi a Fort Lauderdale e ha altri centri di formazione sparsi per il Paese; il Liverpool, il Barcellona e il Villarreal hanno creato delle Academy sul territorio affiliandosi con diverse società giovanili; il Bayern Monaco ha un accordo con il FC Dallas – una delle franchigie che lavora meglio con i giovani – per “guidare” lo sviluppo delle strategie calcistiche del club.
Tutte queste operazioni hanno finito per creare canali di comunicazione diretti con un bacino di talento potenzialmente enorme, e quindi hanno aumentato le possibilità per cui i club europei riescano a mettere le loro mani sui migliori giocatori di domani. E che lo facciano prima di tutti gli altri. È seguendo questo schema che, nel 2018, il Bayern Monaco ha comprato Chris Richards da Dallas prima che avesse giocato un singolo minuto in Mls; anche il Borussia Mönchengladbach ha investito due milioni di euro per portare in Germania Joe Scally prima ancora che potesse scendere in campo con i New York City FC. In realtà anche tra Tajon Buchanan, Kevin Paredes e Ricardo Pepi, tutti arrivati in Europa nel 2022, non c’è un solo giocatore che, prima di lasciare gli Usa, sia riuscito ad accumulare più di 34 presenze nella regular season Mls.
Ma, com’è ovvio che sia, anche gli americani hanno dato il loro impulso/contributo a questa crescita: a partire da quest’anno, infatti, gli investimenti nei settori giovanili avranno anche un nuovo look e un nuovo significato grazie alla Mls Next Pro, una lega di terza divisione che farà da ponte tra i settori giovanili e la Major League. Ma i veri cambiamenti, probabilmente quelli più importanti, riguardano l’immagine della Mls, la percezione che la lega vuole avere di se stessa: negli anni Duemila l’obiettivo era attrarre vecchi campioni europei per dare lustro e visibilità al campionato, non a caso fu pensata e varata la regola dei Designated Player per permettere ai Los Angeles Galaxy di ingaggiare David Beckham; proprio grazie alla “Beckham Rule” sono arrivati negli States calciatori come Thierry Henry, Robbie Keane, David Villa, Kakà e Andrea Pirlo, e sicuramente stiamo dimenticando dei nomi importanti. Bene, quel periodo è finito da un po’: oggi la Mls vuole mettere in vetrina talenti giovani e spendibili sul mercato, e infatti sono stati istituzionalizzati i contratti da Young Designated Players, destinati a giocatori stranieri di età inferiore ai 22 anni. Come quello che ora lega Jesús Ferreira, il primo Designated Player proveniente dall’Academy della sua squadra, con i Dallas FC. La giornalista Anna Carreau, in un lungo reportage pubblicato su So Foot ha descritto questa trasformazione con un’immagine molto significativa: «Prima la Mls era un cimitero degli elefanti, ora è diventata l’asilo nido del calcio europeo, un nuovo luogo dove far crescere i giovani in attesa del salto tra i migliori».
La crescita complessiva della Major League si vede e si sente anche a livello internazionale. Quest’anno in Concacaf Champions League le squadre statunitensi hanno grosse chance di vittoria – le cinque formazioni impegnate agli ottavi potrebbero passare tutte ai quarti, visto che gli accoppiamenti del sorteggio sono stati piuttosto abbordabili – in una competizione che vede imporsi i club messicani ininterrottamente dal 2005, e che ha visto gli statunitensi vincere solo due volte, l’ultima nel 2000. Un successo subcontinentale avrebbe un valore simbolico molto forte per un campionato che vuole portare il suo appeal su un nuovo livello: la Mls può diventare il campionato più importante dell’emisfero occidentale, una fucina di talenti da paragonare a quelle di Argentina e Brasile, che sono per definizione – e in maniera anche un po’ romanzata – dei luoghi in cui il calcio cresce per strada e abita nei piedi dei ragazzini di ogni età. Per questo, forse, accostare Stati Uniti e le potenze sudamericane sembra quasi un paradosso – anche perché sotto nei Paesi sotto l’equatore il calcio è quasi sempre lo sport principale mentre negli Stati Uniti ha ancora un seguito marginale rispetto al football, al baseball, al basket – ma c’è da considerare anche la prospettiva geografica: gli Usa sono enormi, sono più grandi dell’Europa intera, sono abitati da 330 milioni di persone e la demografia sta mutando, sta cambiando la sua composizione, le minoranze stanno diventando maggioranza – è questione di qualche anno, ormai. Queste trasformazioni in corso potrebbero ridisegnare gli equilibri tra appassionati e praticanti di tutte le discipline, alimentando il movimento calcistico americano, che peraltro è già ai vertici nel femminile – la Nazionale Usa è reduce da due successi consecutivi ai Mondiali, il Canada ha vinto la medaglia d’oro olimpica.
In questo senso, un ruolo importante potrebbero ricoprirlo anche quei calciatori statunitensi – e canadesi – che sono arrivati e si stanno affermando in tutta Europa. Qualcuno ha già dimostrato di valere un posto nei campionati top-5, per esempio Christian Pulisic, Sergiño Dest, Weston McKennie, Gio Reyna, Tyler Adams. Altri sono appena sbarcati e devono guadagnarsi un ruolo nei prossimi anni: sono Ricardo Pepi, Justin Che, George Bello, Brenden Aaronson. Sono tutti giovanissimi, perciò hanno ancora grandi margini di miglioramento. In ogni caso, potrebbero ispirare tantissimi ragazzini, influenzare in maniera decisiva le prossime generazioni.
Il 2022, anno di Mondiali, è cerchiato in rosso negli uffici dei dirigenti Mls e della federazione: la qualificazione (ancora in bilico per gli Usa, praticamente certa per il Canada) e poi le prestazioni in Qatar saranno un checkpoint per leggere il livello di sviluppo del movimento. Le prestazioni dei singoli, le prospettive nelle coppe internazionali e i numeri del calciomercato raccontano di un percorso di crescita pensato e attuato con grande cura. Al momento ogni tessera del mosaico sembra al posto giusto, ma ogni buon risultato può essere considerato solamente transitorio, perché il momento del raccolto è ancora distante. Si deve guardare almeno avanti di altri quattro anni, al 2026, quando gli Stati Uniti dovranno essere protagonisti nell’edizione dei Mondiali che ospiteranno in casa loro, insieme con Canada e Messico. Le premesse sembrano essere davvero interessanti.