Quando Kylian Mbappé verrà presentato al Santiago Bernabéu – perché ormai è questione di quando, non di se – ci sarà un giornalista pronto a fargli questa domanda: Kylian, perché hai deciso di lasciare il Psg e di trasferirti al Real Madrid? Nel rispondere, Kylian sfodererà il suo sorriso più bello e dirà che ha scelto il Real perché è il club più importante al mondo. Ecco, queste immagini che arrivano dal futuro, ma che sono un riflesso di ciò che è avvenuto nel passato, di una percezione diffusa e trasversale, sollevano un tema di valore storico: perché il Real Madrid è ancora considerato il club migliore al mondo, pure a dispetto del Psg?
È evidente che ci sia qualcosa di intangibile che crea una distanza ancora ampia, tra le big storiche e quelle in via di costruzione, di formazione. Ce ne siamo accorti poche giorni, anzi poche ore fa, proprio in un bellissimo scontro diretto tra Real Madrid e Psg: a un certo punto, è come se un gigante invisibile avesse affossato la squadra francese e, contestualmente, avesse iniziato a trascinare il Madrid. Insomma, è una questione di consistenza storica, nobiltà genetica, blasone, ci sono mille modi per definire questa superiorità.
E non è nemmeno un discorso di soldi, ed è per questo – non solo per il risultato e l’incredibile andamento dell’ultima sfida diretta – che abbiamo ambientato la nostra riflessione iniziale nello spazio interstellare, quello di Mbappé, del Psg, del Real Madrid. Per dirla in maniera semplice: Kylian Mbappé potrebbe ancora decidere di restare al Psg, di diventare l’uomo-franchigia di una delle squadre più ricche e più forti del calcio europeo, certamente la più glamour. Questa stessa scelta, inoltre, potrebbe incoronarlo come il primo fuoriclasse in grado di portare la Champions League a Parigi, come il fondatore di una dinastia. E poi, ne siamo certi: se chiedesse 50 milioni l’anno per restare a Parigi, Leonardo e Al-Khelaïfi glieli darebbero senza problemi. Eppure, nonostante tutto questo, Mbappé sembra aver scelto il Madrid.
Sembra inevitabile che certi club siano condannati a rimanere grandi per sempre, a non essere scalzati mai dal loro trono. O a tornare in pochissimo tempo alla gloria del passato, se proprio non riescono a evitare la caduta. Non è solo un discorso di status, fatto di cose eteree e inconsistenti, ma riguarda anche le procedure, le forme, la progettualità: alcune società sono così grandi che riescono a rigenerarsi anche dopo molti anni di anonimato e di insuccessi; possono superare le crisi finanziarie e tecniche, sanno sopravvivere agli errori e poi riemergere senza aver perso un grammo del loro appeal. È ovvio che possedere un grosso bacino di tifosi abbia un peso consistente, dopotutto la vastità della fanbase determina una maggiore disponibilità a investire da parte delle proprietà e/o attira l’intervento di supporti esterni, altrimenti oggi il Nottingham Forest – espressione di una città di 330mila abitanti – sarebbe allo stesso livello del Barcellona, del Manchester United, del Milan, dato che ha vinto due volte la Coppa dei Campioni.
Ma è chiaro che ci sia qualcosa di più: proprio il Barcellona, il Manchester United e il Milan, così come l’Inter e la Juventus e il Liverpool e l’Arsenal, hanno vissuto momenti bui e/o li stanno ancora attraversando, sembrano aver guadato il fiume oppure sono ancora impantanati in acqua. Eppure Theo Hernández parla del Milan come di un club leggendario, eppure Vlahovic non ha dubbi a scegliere la Juventus quando avrebbe potuto aspettare un po’ e andare ovunque, eppure Traoré, Ferran Torres e tutti gli altri acquisti invernali del Barcellona non si sono fatti spaventare da una situazione economica che ha spinto/costretto i giocatori azulgrana a tagliarsi gli stipendi. E così via, fino al matrimonio già programmato tra Mbappé e il Real Madrid. È come se il peso della storia conferisse delle patenti che non vanno rinnovate perché non scadono mai, è come se il calcio vivesse nell’Ancien Régime, un sistema politico in cui i nobili e il clero erano istituzionalmente superiori a tutti gli altri e non c’era modo per rovesciare la piramide. O per forzarla.
Ecco, forse il vero nodo è proprio in questo punto: i nuovi e i nuovissimi ricchi, i vari Psg, Manchester City e Newcastle, potranno mai entrare in questa élite? Le due vittorie in Champions League del Chelsea – lo stesso numero della Juventus, appena una in meno rispetto al Manchester United – hanno dato o potranno dare quella dimensione ai Blues? La Storia dice che sì, è possibile cambiare le cose. Solo che per ribaltare l’Ancien Régime servì una Rivoluzione piuttosto famosa e piuttosto violenta, e forse il calcio è un mondo ancora troppo conservatore per un evento del genere. Sta a noi, ognuno di noi, decidere se sia un bene o un male.