Scuola Brignone

L'eredità materna è fortissima nel dna sportivo di una delle sciatrici italiane più vincenti di sempre, ed è qualcosa che indubbiamente l'ha forgiata nello spirito.

Cat Stevens dovrebbe solo cambiare il titolo, perché il sequel in quota rosa alla sua “Father and Son” c’è già. Parla italiano e veloce come la storia sugli sci di lady Maria Rosa Quario, che tutti nell’ambiente dello sci chiamano Ninna, e miss Federica Brignone. “Figlia di” o “mamma di”? Ninna e Fede, sono due volti di quella Valanga rosa che ha infiammato lo sci a suon di medaglie, dagli anni Ottanta a oggi, con Pechino 2022 dove Fede ha appena conquistato l’argento nello slalom gigante. In questa same old story c’è una figlia che ha superato il maestro, ancorché la mamma. Prima, però, c’è stata una ragazza capace di scardinare i cliché anni Settanta dello sport, aprendo la via, con le sue 4 vittorie in Coppa del Mondo oltre a 11 podi e 2 World series, alle tante “figlie” di quel dream team, “la prima vera squadra femminile nello sport italiano”.

Ninna, la slalomista. Fede la polivalente. Ninna, la “cittadina” che «Quando a Milano mi allenavo in tuta a parco Solari mi guardavano storto»; Fede per cui lo sci, a 31 anni, è ben più di un “primo impiego”. A far di lei l’azzurra più vincente di sempre sono 19 vittorie e 28 podi in coppa del Mondo, un argento mondiale nel 2011 ed un bronzo olimpico nel 2018 e un argento a Pechino 2022, ma soprattutto quel trofeo generale che, per la prima volta en rose – dopo Gustav Thoeni, Piero Gros e Alberto Tomba – nel 2020 has come home, è arrivato in Italia, grazie alla sua firma da all rounder, che ama sia le gare tecniche sia la velocità pura. Pochi giorni fa è arrivata anche la Coppa del Mondo di supergigante, la prima di sempre per Brignone e per lo sci femminile italiano.

Sarebbe facile dire colpa del destino e merito del dna. E invece, no: just relax and take it easy, il segreto sta nel senso della competizione come divertimento, ma senza stress. Ninna lo spiega così: «Con mio marito non abbiamo mai pensato di allevare dei campioni, tanto che Federica ci rinfaccia che avremmo potuto darle basi più solide anche in slalom». Se Ninna è milanese «non per shopping e apericena», ma perché ama la città e i suoi stimoli culturali, ma si definisce valdostana e montanara «in tutto ciò che non è milanese», Federica, invece, ha il cuore fra La Salle e Morgex, dove matura, vista monte Bianco, l’omonimo Blanc e dove anche i romani sostavano volentieri al sole, prima di scegliere che battaglia ingaggiare. Lassù Fede è cresciuta in età, mille sport da provare e vocazione: le prime vittorie a 15 anni e lo sci che diventa la sua tazza di tè. Le sliding doors non sono le porte rosse e blu di una pista, ma le molte chance del destino: prendi Davide, suo fratello, un diamante grezzo con talento anche maggiore della sorella, stando a cuore e parola di mamma che spiega: «Lui vinse gli italiani a otto anni, ma poi ha avuto mille infortuni». You are still young, that’s your fault: l’età come colpa?

Quando ha capito che il suo fisico non poteva permettersi più una vita di atleta, ha deciso di dare una mano alla sorella. Era il 2017: da allora miss Brignone, con Davide come mentore e coach, non ha smesso di vincere e Ninna si è messa il cuore in pace: «E io che speravo per lui in una carriera nel golf!». Nella Formula 1 però erano forti tutti: «In Sardegna il nostro divertimento, al rientro dalla spiaggia, era vedere chi arrivava prima, soprannominandoci ognuno col nome di un pilota». Gare e sfide per ogni cosa: agonismo sì, ma quello sano. Perché Ninna la pressione sa cos’è e quanto possa pesare: a 18 anni vince la prima gara davanti ad un mostro sacro come Anne Marie Moser Proell; convocata, l’anno dopo, nel 1980 a Lake Placid, sfiora il bronzo olimpico per trecentesimi: «Mi dissi che ero giovane e che avrei avuto altre chance». Nel 1982 ai Mondiali di Schladming è in testa, dopo la prima manche, ma chiude quinta, ancora ad un soffio dal podio dove sale, invece Daniela Zini: è ancora questa la gara che Ninna ammette di sognare.

Nel 1983 è quasi imbattibile e nel 1984 è di nuovo tempo di Giochi. Ma nella nebbia di Sarajevo lei si becca un febbrone alla cerimonia di apertura: «Partivo col numero uno, il mio preferito». Che quella volta non bastò né contro il termometro né contro il cronometro. Oro a Paola Magoni, Ninna, settima, con una certezza che dura da allora: «Della mia carriera ho ricordi solo positivi». Al netto degli alti e bassi da cui si impara anche di più: «Stavo male per lunghi periodi, mentre Federica è molto più brava a voltare pagina». I was once like you are now: in pista e fuori con la sua ex bimba sono tante le somiglianze, ma anche le differenze: «Io sto bene da sola, con un libro; Fede ha tanti amici ed è molto più “social”». Stesso sguardo, voce simile, «soprattutto identica, inesauribile, energia», racconta mamma che oggi, però, chiude gli occhi quando vede la figlia lanciata in discesa o superG e sogna, invece, di essere ancora al cancelletto di partenza. «Chissà, rinascerei gigantista, curve più ampie e condotte e basta con quelle botte
dei pali da slalom sulle braccia».

Se lei non è cambiata, perché, in fondo, campioni si resta a vita, è lo sci a non essere più quello suo o di Claudia Giordani, “apripista” di quella Valanga Rosa “l’unica col copyright” in cui fiorirono e si sfidarono Magoni e Zini, ma anche, fra le altre, Wilma Gatta, Petra Macchi e Wanda Bieler, le “girls” allenate dal mitico “Steu” Stefano Dalmasso. Il paragone è impossibile se non nella rivalità: «Finché nessuna ha vinto, tutte amiche, poi arriva il sale della competizione e se vuoi essere leader anche fuori dal campo di gara o non accetti di non riuscirci, scattano i problemi», ricorda Ninna. «Noi, però, facevamo otto gare all’anno, un numero che i ragazzi oggi affrontano in tre fine settimana. Ho smesso a 25 anni, l’età in cui Fede ha cominciato a vincere anche di più. Io volevo costruirmi un futuro e avevo mille altri interessi. Ora vedo molti ragazzi, professionisti nella dedizione, ma “imprigionati” nelle loro carriere». Nel dopo sci? «Appaiono smarriti». Non è il caso di Federica: «Sono felice che sia una grande atleta, ma anche una ragazza normale: sa che la vita non finisce in pista». If you want, you can marry: già, c’è una famiglia nel futuro? «Mi ha detto che per diventare nonna dovrò aspettare un poco, dopo il ritiro».

Intanto per Ninna c’è il giornalismo, cronache fitte, intelligenti, non solo tecniche, come solo un atleta può fare, per le pagine de Il Giornale, del mensile Sciare, ma anche ai microfoni di Infront con un debutto Tv da far tremare le vene e i polsi: a Calgary 1988 accanto ad Alfredo Pigna per la Rai a commentare gli ori di Alberto Tomba. Ora Ninna è alla sua undicesima Olimpiade: «Due da atleta, nove per lavoro, ma Pechino “dal divano e al computer” perché non avrei retto alle restrizioni: sono uno spirito libero, le trasferte mi piacciono per conoscere il mondo». A modo suo: «A piedi, anche in autostop». Impossibile sulla Grande Muraglia: «Speriamo di rivedere nel 2026 Giochi italiani dove pubblico e competenza siano adeguati alla bellezza dello sci alpino, dopo tre edizioni asiatiche». Che faranno Ninna e Federica? Vedremo. Look at me: I am old but I am happy? Più mature e sagge, ovvio, felici soprattutto. E sempre con la grinta di chi non potrà mai smettere di aprire un altro cancelletto in quella sfida che sia chiama vita.

Da Undici nº 43