In primavera le coppe europee sono sempre uno spettacolo. Lo abbiamo visto in Champions League: in tutte le partite d’andata dei quarti di finale si è manifestato un carico di tensione agonistica, qualità tecnica e studio tattico che ha inevitabilmente la bellezza del gioco e ha incollato tantissimi spettatori ai propri televisori. E a partire da stasera si potrebbe fare un discorso simile anche per l’Europa League, ovviamente con le dovute proporzioni. Ma cos’è cambiato rispetto agli anni scorsi? Magari una parte del merito va alla tanto bistrattata Conference League: alla sua prima edizione, la terza coppa europea potrebbe aver spinto verso l’alto il floor, il livello medio dell’Europa League, perché ha tagliato e inglobato alcune squadre che puntualmente arrivavano ai sedicesimi della seconda competizione continentale, e altrettanto puntualmente dimostravano di non poter stare a quel livello, o magari si affrontavano tra loro e finivano per diluire troppo la qualità dei sorteggi successivi. Nei quarti di finale dell’Europa League, forse non a caso, saranno coinvolte solo squadre ben costruite, con un’identità tattica definita, con dei punti di forza evidenti e tanto talento individuale, di quello che ti fa stare anche 90 minuti sul punto di dire «vediamo se Pedri disegna uno dei suoi passaggi visionari», «forse Nkunku la risolve da solo», «adesso Paquetá inventa un trick che non abbiamo mai visto prima».
Prima di addentrarci in questo discorso, va fatta una considerazione preliminare piuttosto importante: nell’Europa League 2021/22 c’è il Barcellona, vale a dire una squadra che non fa testo, che è fuori scala per il contesto in cui deve misurarsi. Non stiamo dicendo che la squadra azulgrana sia stata eliminata dalla Champions per caso, solo che da dicembre a oggi è rifiorita, Xavi l’ha riportata ai suoi livelli, dunque a livelli altissimi, e infatti tutti sono concordi che sia la prima candidata per la vittoria finale del trofeo. Anche perché, e qui si nota ancora di più la crescita dell’Europa League, va ricordato che il Barça ha affrontato ed eliminato il Napoli, una squadra al vertice della Serie A e che pochi giorni fa ha dimostrato – vincendo per 3-1 in casa dell’Atalanta nonostante le assenze di tre giocatori-chiave come Osimhen, Di Lorenzo e Rrahmani – di avere avuto le risorse per poter andare in fondo anche in Europa League. Solo che ha incrociato il Barcellona sul suo cammino.
Proprio l’Atalanta appena battuta dal Napoli dovrà affrontare il Lipsia in quello che, probabilmente, è l’incrocio più interessante di questi quarti di finale: si sfideranno due squadre che hanno superato i gironi di Champions nelle ultime due edizioni, che hanno raggiunto i quarti (l’Atalanta) e le semifinali (il Lipsia) di Champions nel 2020, che hanno un valore assoluto da Champions anche al di là di questi exploit. E che, come se non bastasse, sanno esprimere il meglio del calcio di quest’epoca, nel senso che giocano a a ritmi frenetici, con accelerazioni e strappi, pressing e gegenpressing a tutto campo, e hanno pure una fase offensiva sofisticata ed efficace.
La crescita e l’esplosione dell’Atalanta sono state raccontate da molte angolazioni: sappiamo ormai da anni che il club bergamasco è nel pieno di uno di quei progetti vincenti che cambiano lo status di una società di piccole o medie dimensioni, che ormai è stabile al vertice della Serie A, e che il ciclo di Gasperini non sarebbe da considerare concluso anche in caso di mancata qualificazione alla prossima Champions League. D’altronde il progetto tecnico e manageriale della famiglia Percassi è talmente solido che può andare abbondantemente oltre i risultati negativi di una singola annata. Per il Lipsia vale più o meno lo stesso: la stagione era iniziata male dopo l’addio di Dayot Upamecano, Marcel Sabitzer e soprattutto di Julian Nagelsmann, anche perché la scelta di Jesse Marsch come nuovo allenatore non ha pagato i dividendi sperati. Da quando in panchina è arrivato Domenico Tedesco, la squadra di proprietà della Red Bull ha però ripreso a correre, in classifica e sul campo, proprio come ci aveva abituati.
Atalanta e Lipsia sono anche due ottimi esempi di come si crea una rete di scouting funzionale, coerente con le risorse del club, con le idee dell’allenatore, con gli altri giocatori in rosa. La nascita e l’utilizzo di nuovi metodi di reclutamento, così come di nuovi software e nuove professionalità, è un segnale evidente della crescita che sta interessando la middle class del calcio europeo: le società a ridosso dei top club, pur non avendo a disposizione la loro stessa liquidità. stanno sistematizzando e rendendo sostenibile nel lungo periodo la loro crescita esponenziale, una crescita di tecnica e di campo ma anche economica e dirigenziale, quindi di status rispetto alla concorrenza.
L’Europa League vive e racconta questa era di cambiamento, anche perché Eintracht Francoforte e Lione, così come Rangers e Braga, appartengono a questo gruppo di club in via di sviluppo. Tutte queste squadre sono state costruite con criterio, e senza fare spese faraoniche. Anzi, nelle ultime due sessioni di mercato hanno incassato molto più di quanto abbiano speso per sostituire i giocatori in partenza, ma non per questo hanno perso qualità e continuità nelle prestazioni. Il Braga, per esempio, è la squadra con l’età media più bassa (24,6 anni) ancora in corsa nelle coppe europee, e si sta facendo strada nel campionato portoghese, stabilizzandosi come prima forza dopo le tre big storiche della Primeira Liga. In un articolo di Breaking The Lines pubblicato ad agosto 2020, si legge che «negli ultimi anni, il reclutamento strategico e l’uso di giocatori cresciuti nell’accademia hanno offerto al Braga una base stabile per i successi sul campo. In termini di scouting, il club guarda spesso al Sud America per talenti straordinari e fuori dal radar, ma prospera anche acquistando i migliori giovani talenti di altri club portoghesi più piccoli». È una strategia che funziona: se escludiamo i conti post-pandemia, viziati dalla crisi globale, il club portoghese ha visto crescere i propri ricavi complessivi di oltre 150 milioni di euro.
Il Lione, al netto dei suoi inciampi e dei problemi economici di gestione interna dovuti al carattere esuberante di Aulas, porta avanti da anni una politica di sviluppo e valorizzazione del talento fatto in casa, grazie a uno dei vivai più floridi d’Europa. L’Eintracht Francoforte, invece, è un esempio dell’ottimo lavoro svolto dalle società medio-piccole di Bundesliga, ovviamente fondato sulla capacità di formare nuovi calciatori di alto livello, di investire su un mercato sapiente, di portare in prima squadra ogni anno nomi nuovi pur cambiando contesto tattico: se nel 2017/18 l’Eintracht ha vinto la DFB-Pokal con Kovac in panchina e Haller come miglior marcatore stagionale accanto a un giovanissimo Jovic, il triennio successivo è stato affidato ad Adi Hütter e ha portato alla rivitalizzazione di André Silva, un talento che sembrava perduto. Ora siamo già entrati in un’altra era, in panchina siede Oliver Glasner i nomi da valorizzare sono altri, soprattutto quelli dei giovani difensori Tuta e Ndicka e del centrocampista danese Jesper Lindstrøm, classe 2000 acquistato per 7 milioni dal Brøndby.
Nel calcio degli anni Venti le società con risorse limitate hanno bisogno di costruire una propria operatività a lungo termine: è l’unica possibilità per provare ad accedere al livello superiore, per ridurre il gap con i club più ricchi – che però viaggiano troppo veloce per poter essere raggiunti davvero, in maniera definitiva. Allora i quarti di finale di Europa League hanno un nuovo carico di hype per la classe media europea, che ha fatto e sta continuando a fare i suoi passi in avanti, ha saputo sfruttare il suo potenziale e valorizzare i nuovi strumenti a disposizione, con la consapevolezza di poter costruire progetti di lungo termine.
Non è un caso che, negli ultimi anni, le squadre che hanno fatto bene in Europa League abbiano poi saputo confermare il rendimento in Champions: l’Atlético di Simeone ha cominciato (nel 2012) e poi ha ricominciato (nel 2018) la sua scalata al calcio dei più grandi proprio dalla vittoria nella seconda coppa continentale, il Chelsea campione d’Europa 2021 germoglia a partire dalla vittoria di Sarri a Baku nel 2019, poi ci sono il Siviglia e ora il Villarreal di Emery, la squadra campione dell’Europa League che trasloca in Champions e batte prima la Juventus, poi il Bayern Monaco futurista di Nagelsmann. E non è un caso che il West Ham – da qualche anno outsider nella corsa all’Europa nella mostruosa Premier League – abbia eliminato un avversario ricco d’esperienza e talento come il Siviglia. È come se la classe media stia inviando al mondo del calcio uno statement collettivo: il meglio dell’Europa League può legittimamente stare in Champions League, magari non subito come contender per il titolo, solo poco più in basso. È già tanto, anche perché questo gap è stato riempito con le idee, prima che con i soldi.