La prima cosa che Lautaro fa, una volta scaricato il pallone in rete alle spalle di Dragowski, è aprire l’indice della mano destra. Indica qualcuno, a qualche metro di distanza, e gli corre incontro. Quel qualcuno è Romelu Lukaku: la più classica delle dediche, il più classico dei ringraziamenti da parte di un attaccante, quando si vuole elargire il grosso del merito al compagno di squadra che ha servito l’assist. Solo che in questo caso, più precisamente nell’azione che porta l’Inter in vantaggio contro lo Spezia, Lautaro non avrebbe nemmeno bisogno di spartire grandi meriti, considerato che il fendente con cui straccia la rete avversaria è un altissimo concentrato di coordinazione, classe e potenza: ma lo fa lo stesso, perché la persona da ringraziare è, ancora una volta, Romelu Lukaku.
È tornata la Lu-La, questo hanno titolato i giornali all’indomani del successo dei nerazzurri: perché dopo l’anno di astinenza forzata, conseguenza del mesto esilio del belga in Inghilterra, la coppia Lautaro-Lukaku si è ripresa il palcoscenico della Serie A in maniera fisiologica, come se nulla fosse successo. Come se non ci fosse stata nessuna pausa, crisi, nessun distanziamento: la naturalezza con cui i due attaccanti interisti s’intendono, si “sentono”, sembra preservata da un istinto superiore, inintellegibile. Siamo solo alla seconda giornata, ma a guardare il modo in cui Lautaro e Lukaku si muovono attorno, avvicinandosi e allungandosi come se tenuti insieme da un elastico invisibile, si coglie alla perfezione il perché l’Inter abbia voluto a tutti i costi riportare dall’Inghilterra il suo vecchio numero nove, preferendogli pure un’occasionissima di mercato come Dybala.
L’azione che porta al gol di Lautaro allo Spezia è infatti un misto di cose belle, che culminano nella conclusione portentosa dell’argentino, ma che non si limitano a quella. La manovra si sviluppa per vie centrali, con Barella che prende palla in mezzo al campo, leggermente defilato sulla destra. Nel momento in cui il centrocampista raccoglie il pallone, Lukaku, sulla stessa linea di Lautaro e a un paio di metri da lui, alza il braccio sinistro, a dettare il passaggio in profondità. Barella serve immediatamente il belga con un lancio preciso, ma è proprio qui che scatta la magia, quell’intesa suprema che fa speciale la coppia d’attacco interista: nel momento in cui il pallone arriva dalle retrovie, i due centravanti sanno già esattamente cosa sta per succedere.
Mentre Lukaku scatta in profondità, Lautaro capisce che il compagno gli libererà dello spazio utile in cui infilarsi: due difensori dello Spezia sono infatti attirati dallo scatto del belga, lasciando alle loro spalle quel pezzo di campo che Lautaro mette immediatamente nel mirino. Eccolo l’elastico che si allunga: Lukaku che va a prendersi il pallone sulla profondità, in via apparentemente automatica, indirizza il compagno di reparto in posizione arretrata ma centrale, il punto perfetto di sparo. Quando Lukaku tocca il pallone di testa, di prima, non può vedere Lautaro che è alle sue spalle, ma lo sente: è un assist cercato e voluto, figlio di un sesto senso comune a loro due e soltanto a loro due.
A quel punto, Lautaro si ritrova fronte porta, con una palla che gli rimbalza nel modo più goloso possibile. L’argentino carica con la gamba sinistra e di prima intenzione fa partire una gran conclusione: è un gesto tecnico formidabile, da grande attaccante. C’è tutto quello che ci si aspetta da un gol bellissimo, perché non è un tiro – con quella potenza, quella precisione, quell’esibizione di grazia ed equilibrio allo stesso tempo – che tutti sono in grado di scoccare. Ma è una di quelle prodezze che sono davvero preparate da quanto è successo istanti prima: ci sono giocate che all’apparenza sono banali, ma che creano i presupposti giusti perché una rete mozzafiato possa svelarsi in tutto il suo splendore.
Del resto, è questo quello che fanno gli attaccanti, qualcosa che i vecchi dizionari di tattica definirebbero in questo modo: finalizzare il lavoro dei compagni di squadra. A volte quel “lavoro” è talmente geniale che si prende la copertina, come è stato per Kevin De Bruyne contro il Newcastle, con quel pallone visionario per Bernardo Silva che è finito in loop sugli smartphone di mezzo mondo. Ma non tutti hanno in squadra il signor De Bruyne. Altre volte, il più delle volte, le giocate all’apparenza ci appaiono ordinarie, eppure nel calcio iper-organizzato di oggi l’idea che ogni minima palla, movimento, taglio o sovrapposizione debba rispondere a un meccanismo testato in continuazione è quella che guida ogni allenatore. Non c’è soddisfazione migliore, quando accade.
Con Lautaro e Lukaku, però, siamo di fronte a qualcosa di ancora diverso. A un’intesa così naturale da non dover essere istruita né allenata: succede e basta, e si ritrova nel “leggersi” a vicenda, sapere in anticipo cosa farà l’altro e viceversa. Non sono molte, del resto, le bromance calcistiche che restano così impresse nella mente: in Serie A, forse, l’accoppiata Totti-Cassano ha riscritto le regole del capirsi a vicenda. Ogni anno che passa, però, tutto diventa più difficile. E più stimolante. Per Lukaku, dev’essere stato abbastanza per tornare sui suoi passi.