Innovazione, design, moda: dopo Nike, lo sport non è più stato lo stesso

Quanto grande è stato l'impatto dello swoosh nello sport e nella cultura? Lo racconta benissimo Sam Grawe nel suo Nike: Better is Temporary, edito da L'Ippocampo.

Come ha fatto una fabbrica di scarpe da corsa a diventare, nel giro di pochi decenni, uno dei brand più conosciuti, apprezzati e idolatrati del mondo? La storia di Nike è una storia di successo, e questo è evidente, ma soprattutto è una storia di come un marchio di sportswear ha saputo orientarsi ai gusti di un’epoca, cambiando per sempre lo scenario di quello che indossiamo, nonché il rapporto tra sport, lifestyle e moda. Un’evoluzione che è ben condensata in Nike: Better is Temporary, il preziosissimo volume a cura di Sam Grawe che adesso arriva in edizione italiana, edito da L’ippocampo. Un libro di 320 pagine che racconta un’incredibile saga, riccamente documentato con immagini.

Per gli appassionati di sport e streetwear, una chicca imperdibile: una vera e propria enciclopedia di tutta l’identità Nike, di cui vengono raccontati i modelli più famosi e la loro evoluzione nel tempo – dalle Jordan alle Air Force 1, fino alle Air Max e a tutto l’abbigliamento. Non solo: Nike: Better is Temporary sviscera anche tutto quello che è meno raccontato e conosciuto, mettendo in luce anche i prototipi o le calzature più tecnologicamente avanzate, spiegandone genesi e caratteristiche in modo approfondito. Perché, in fondo, il viaggio di Nike è questo: un viaggio di innovazione.

“There is no finish line”, recitava un famoso slogan di Nike: il traguardo non esiste. È un po’ la parafrasi del titolo del volume: il progresso non si ferma mai, e soprattutto nello sport, dove i record sono fatti per essere battuti, dove gli atleti diventano ogni giorno più veloci, più forti, più resistenti, anche il ruolo di un’azienda come Nike diventa determinante. «Lo sport è una musa irrequieta, è una continua ispirazione», sottolinea il presidente Mark Parker. Non è un caso che il libro si apra con il racconto dell’impresa tentata da Eliud Kipchoge e altri due maratoneti: abbattere il muro delle due ore. Kipchoge non riuscì al primo tentativo (sì al secondo, anche se il tempo non fu omologato dalla Iaaf) ma il senso della sfida da parte di Nike è tutto lì: garantire agli atleti la tecnologia più avanzata per permettere allo sport e agli sportivi di raggiungere sempre nuove mete.

Del resto, è così che è nata la storia del brand: con Bill Bowerman, allenatore di atletica leggera, che negli anni Cinquanta in maniera artigianale si dedicava a esperimenti che potessero garantire ai corridori scarpe più leggere e performanti di quelle in cuoio e metallo allora in uso. “Rilevava il contorno dei piedi, misurava la larghezza, prendeva nota dei dettagli anatomici e teneva conto dei suggerimenti de i corridori”, racconta Grawe. Il tutto con mezzi, per così dire, casalinghi: la prima scarpa da corsa, lanciata al grande pubblico nel 1974, si chiamava Waffle Trainer, perché Bowerman utilizzò una piastra da cucina per saldare i suoi primi rudimentali modelli. “La sua convinzione che una scarpa più leggera e con una trazione superiore potesse incrementare la velocità muove da decenni l’innovazione di Nike”.

Ed è vero: oggi il brand di Beaverton è fedele a quella stessa filosofia, solo che tutto è su scala molto più grande. Il piccolo laboratorio casalingo di Bowerman oggi è diventato un headquarter con 74 costruzioni distribuite su una superficie di 115,7 ettari, e nello specifico viene individuato nel Nike Sport Research Lab, dove esperti si servono di tecnologie all’avanguardia per disegnare e realizzare i prodotti sportivi del futuro. Gli atleti amatoriali su cui Bowerman testava i suoi esperimenti sono oggi i più grandi atleti di fama mondiale. I loro successi in campo sono indirettamente successi di Nike: quando Bryant realizzò nel 2006 81 punti con le Zoom Kobe I ai piedi, parte di quel trionfo non ebbe forse ricadute anche sul team con cui il campione aveva lavorato a stretto contatto per realizzare quella scarpa?

Nike: Better is Temporary è un’immersione nei meccanismi con cui la ricerca e la tecnologia comunicano e si interfacciano con lo sport, ma Nike ha avuto un ruolo di primissimo piano nel ridefinire lo spazio che sta tra l’abbigliamento sportivo e la moda: oggi il brand ha una popolarità vastissima, che sta anche nella capacità di offrire, tramite i suoi prodotti, un’esperienza “emozionale”. E questo è un altro aspetto molto interessante sottolineato all’interno del volume.

«Perché la gente si sposa? Per i legami emozionali. È questo che costruiscono le relazioni a lungo termine con il consumatore, ed è di questo che parlano le nostre campagne», spiegava tempo fa Phil Knight, il fondatore del marchio. Che anni dopo avrebbe ancora di più estremizzato questo concetto: il principale strumento di marketing di Nike è proprio il prodotto. Perciò nella storia dello swoosh si intravedono alla perfezione gli ingranaggi con cui il brand ha saputo intercettare il favore del pubblico: uno storytelling avvincente, campagne di successo, la capacità di mettere sullo stesso piano atleti e persone comuni, slogan iconici come “just do it”.

È servita poi la visione di alcuni degli uomini-chiave di Nike, come l’intuizione di Tinker Hatfield che negli anni Ottanta rilanciò in maniera importante il brand con l’Air Max: rendere visibile la tecnologia, far comunicare in maniera efficace design e innovazione. Le campagne di marketing furono poi determinanti a portare quella scarpa da corsa anche tra i non sportivi, esattamente come, in parallelo, Mars Blackmon aka Spike Lee pubblicizzava le Air Jordan insieme al fenomeno dei Bulls. Fino a oggi, con le collaborazioni con gli stilisti e i progettisti più influenti del panorama mondiale. C’è tutto: Nike, lo sport, la moda. E quello che oggi ci piace indossare.