La redenzione di Gerard Deulofeu

Lo abbiamo atteso per anni, e lui ci ha fatto vedere il suo talento solo a sprazzi. A Udine, finalmente, sembra aver trovato la sua dimensione.

Ai tempi del Watford, quando esultava dopo un gol, Gerard Deulofeu assumeva una posa che era una strana via di mezzo tra l’epico e lo scazzato. Gambe divaricate, braccia incrociate a V davanti al corpo, faccia da schiaffi come a dire eccomi, sono sempre io. C’era qualcosa che non andava in quella esultanza. Nel calcio quasi tutte le celebrazioni sono in qualche modo esagerate e autoreferenziali, ma quello che stonava in Deulofeu era il fatto che fosse impossibile non pensare alla sproporzione tra quella esultanza egoriferita e il suo reale impatto nel calcio che conta, tra le premesse del suo enorme potenziale giovanile e una discontinuità che lo aveva portato a giocare per una squadra destinata prima o poi a retrocedere in Championship. Perfino dopo un bel gol c’era sempre una nota decadente che rendeva quella posa un monumento al talento sprecato. Oggi le cose stanno diversamente. Lui stesso, nel suo italiano meticcio, dice che «Gerard adesso è notabile in tutte le partite». Per spiegare il cambiamento parla di studio, lavoro, esperienza. A 28 anni sembra finalmente aver trovato un equilibrio tra prestazioni e aspettative. Già, le aspettative.

Se si dovesse scegliere una parola per descrivere Deulofeu nei primi 19 anni di vita, una sola non basterebbe, ne servirebbero almeno due: “onnipotenza” e “predestinazione”. Cresce con un cognome che in catalano significa “fatto da Dio” e un talento così luminoso da farlo sembrare semplicemente più adulto degli altri. Dei suoi avversari: goffi, lenti e inadeguati in confronto a lui. Dei suoi stessi compagni, ai quali non ha nemmeno senso passare la palla. Entrato a soli nove anni nella Masía del Barcellona, viene coccolato da un ambiente che da subito vede in lui la risposta catalana a Cristiano Ronaldo. E lui incoraggia quelle aspettative a suon di gol e giocate: quanti altri giocatori possono vantare 10 minuti di highlights in uno dei settori giovanili più competitivi al mondo? Lui e pochi altri, forse nessuno. Lui, che ha raccontato che alla Masía funziona più o meno così: «da quando hai 9 anni, devi fare buone stagioni o sei fuori. Del mio anno, il 1994, solo io sono arrivato in prima squadra».

Nel 2011 non è un’esagerazione dire che Deulofeu è il talento Under 18 più interessante in circolazione – «Ricordo il mio compagno, Rafinha: diceva che avrei vinto il Pallone d’Oro», confessò una volta Gerard. A soli 17 anni Guardiola lo fa esordire in Liga, e poco dopo arriva anche il gettone in Champions League. A 18 anni il debutto con l’Under 21 spagnola, di cui tuttora detiene il primato di presenze (36) e reti (17). Il talento però va gestito, e il modo migliore per farlo è dargli continuità. Così dopo un anno passato tra prima e seconda squadra, nel 2013 la dirigenza catalana decide di darlo in prestito all’Everton. Lui arriva e si presenta con questo gol all’esordio con la maglia dei Toffees.

Un bel modo di presentarsi

È un gol che dice molto del primo Deulofeu inglese, un giovane con la faccia pulita, da bravo ragazzo, uno di quelli che il sabato pomeriggio ti tagliano il prato per poche sterline. Sulla schiena però porta già un pesantissimo numero 10, a conferma delle aspettative che si è cucito addosso, e quando riceve palla, leggermente decentrato sulla destra, è evidente che voglia fare solo una cosa: accentrarsi e andare al tiro. Anche a costo di farlo col piede debole, il sinistro. Il modo in cui orienta il corpo, la frequenza di tocchi con l’esterno appena prende velocità, la testa che scatta di lato prima della sterzata a rientrare. Sì, c’è qualcosa che ricorda il primo Cristiano Ronaldo.

Quella che i tifosi dell’Everton vedono scendere in campo 29 volte è un’ala dribblomane, rapidissima di gambe, sempre pronta a una giocata controintuitiva pur di saltare l’avversario. Deulofeu mette insieme quattro gol e cinque assist, Guardiola dice che nell’uno contro uno è tra i migliori giocatori che abbia mai visto. Ma Luis Enrique, nel frattempo diventato allenatore dei blaugrana, ritiene che le sue letture tattiche siano troppo poco raffinate per il suo gioco posizionale, e la stagione successiva lo manda a Siviglia. Sembra tutto instradato sulla via della consacrazione, basta avere solo un altro po’ di pazienza, e invece qualcosa inizia a incrinarsi. Deulofeu sembra improvvisamente un giocatore fumoso, velleitario, dotato sì tecnicamente e fisicamente, ma troppo poco incisivo. A fine stagione, il quotidiano Marca lo inserisce nella flop 11 della Liga.

L’Everton però qualcosa di buono in lui lo ha visto e decide di acquistarlo a titolo definitivo per sei milioni di sterline. Il Deulofeu di quegli anni è un giocatore che si intestardisce nel suo talento. Sembra volersi isolare sulla fascia e ridursi a una combinazione quasi meccanica di dribbling-e-cross iper tecnici e iper atletici pur di mantenere intatta quell’onnipotenza e predestinazione che ormai riecheggiano soltanto nella sua testa. Ne escono due stagioni in cui riesce a raccogliere pochi gol e qualche assist. Eppure quando viene sfidato da BT Sport a replicare il famoso gol di Eto’o contro il Panathīnaïkos, è ancora molto sicuro di sé: «I can, I can. I can do it», dice con una punta di asprezza prepuberale nella voce senza nemmeno finire di vedere il video. Ma quando gli arriva la palla Deulofeu la colpisce con un tiro che sembra sbagliato concettualmente, così strozzato da morire a lato del primo palo invece che scendere morbido scavalcando il portiere sul secondo. Al terzo tentativo gli riesce, però la sensazione è che per l’ennesima volta non sia stato all’altezza delle aspettative che lui stesso ha creato.

Anche l’Everton smette di credere in lui e nel gennaio del 2017 lo lascia partire senza troppi rimpianti per Milano, sponda rossonera. Ancora una volta, la formula è quella del prestito. Ancora una volta, le sue qualità non sono in discussione (i parametri biometrici rilevati da Milan Lab sottolineano qualità fisiche fuori dalla norma), i suoi obiettivi chiari e ostentatamente iperbolici: «Un Mondiale, ma anche il Pallone d’Oro non sarebbe male». E alla sua terza convocazione – all’89esimo di un Bologna-Milan bloccato sullo 0 a 0, in nove uomini contro undici e con poche idee – Deulofeu si gira morbido in dribbling sulla fascia, fa qualche passo in conduzione coi tacchetti quasi sulla linea di fondo e serve un assist sotto le gambe del difensore centrale. A quel punto tutto quello che deve fare Pasalic è spingere la palla in rete e segnare un gol che per la sua drammaticità qualcuno di evidentemente molto sensibile ha definito “even better than Titanic”. Deulofeu vive il suo periodo fin qui più felice, culminato con la chiamata in Nazionale maggiore e il gol, sempre contro il Bologna, che apre le marcature nella partita che riporta il Milan in Europa dopo tre anni.

Nei ricordi dei tifosi questo rimarrà il suo gol più bello e importante in maglia rossonera

Quattro gol e tre assist in 18 apparizioni con il Milan convincono i dirigenti catalani a esercitare il diritto di recompra per 12 milioni, ma poco più di sei mesi dopo il Barcellona lo scarica di nuovo in prestito in Premier League, questa volta al Watford. E qui qualcosa cambia, non solo nel suo modo di esultare. In una squadra dalle ambizioni più modeste, le giocate che fino a qualche mese prima sembravano sterili, decadenti, autoriferite, diventano decisive. Deulofeu non è più solo lunghe conduzioni palla al piede o dribbling-e-cross-ossessivo-compulsivi, cominciano a fioccare gol e assist da stropicciarsi gli occhi. Diventa il primo giocatore della storia del Watford a mettere a segno una tripletta in Premier ed è protagonista assoluto con una doppietta in semifinale nella splendida cavalcata che lo porta a un passo da sollevare la FA Cup. Poi nel 2020 si rompe il crociato e il Watford retrocede. A questo punto i Pozzo decidono di spedirlo a Udine per garantirgli un ambiente adatto alla convalescenza.

La prima stagione con la maglia dell’Udinese la passa soprattutto in infermeria, col ginocchio infortunato che continua a dargli problemi. Quando rientra completamente, nell’agosto del 2021, è un giocatore diverso. La partenza di De Paul gli lascia la maglia numero 10, una posizione più accentrata e una responsabilità creativa senza precedenti nella sua carriera. Il contesto in cui gioca lo aiuta, il 3-5-2 fisico e verticale di Gotti e poi di Cioffi ne esalta le qualità e ne nasconde i limiti – la visione di gioco, soprattutto. Come seconda punta continua a essere un calciatore dominante dal punto di vista atletico e tecnico, letale nelle ripartenze in campo aperto e nell’uno contro uno, ma non è più solo questo. Nei mesi in cui è stato fuori, Deulofeu  ha lavorato con l’analista e adesso le sue letture sono più raffinate. Sa muoversi negli spazi coi tempi giusti e creare attorno a sé il vuoto necessario per esprimere tutta la sua qualità. All’occorrenza adesso sa far male anche sui calci piazzati. I numeri della stagione 2021/2022 parlano chiaro: 13 gol e cinque assist. Mai così decisivo.

Un po’ di cose belle fatte da Deulofeu nello scorso campionato di Serie A

 

Prestazioni, aspettative. Sono le prime a essersi alzate o le seconde a essersi abbassate? Quest’anno, con l’arrivo di Sottil sulla panchina dell’Udinese, Deulofeu è diventato un giocatore totale. In un 3-5-2 “sporco”, di grande intensità e coraggio in fase offensiva, è il leader tecnico che garantisce imprevedibilità alla manovra della sua squadra. E che porta l’Udinese a vette altissime, dopo anni di anonimato. Deulofeu il primo attaccante in Serie A per pressioni fatte, conduzioni palla al piede, passaggi chiave, e secondo per dribbling (1.5 a partita). Segna di meno, ma non ha mai fatto segnare così tanto. Con due gol e sei assist in 11 partite è il terzo giocatore più decisivo in A. «Adesso inizio a capire il calcio», ha detto. E fa strano sentirlo dire a un giocatore di 28 anni cresciuto nella Masía, e fa ancora più strano sentirlo parlare in terza persona, come se le ore passate ad analizzarsi nei video lo avessero portato a un distacco psicologico: «Prima Gerard era un giocatore che giocava sulla fascia, riceveva palla e poi pensava cosa fare. Adesso Gerard lo sa prima quello che deve fare».

Ovvio, nessuno si aspetta più il nuovo Cristiano Ronaldo. E di certo il contesto di Udine – organizzato e competitivo ma non nella maniera esasperata in cui può esserlo una squadra obbligata a sollevare trofei tutti gli anni, quantomeno a provarci – gli ha ridato quella spensieratezza che gli mancava dai tempi in cui era un bambino prodigio. Ma c’è qualcosa di più. La verità è che non gioca più solo per se stesso: «La qualità da sola non serve nel calcio di oggi. Serve la squadra, sapere cosa vuole il compagno, l’allenatore». Quest’anno per il momento sono arrivate solo due occasioni per esultare dopo un gol, ma Gerard Deulofeu ha baciato la maglia entrambe le volte.