Il Qué miras, bobo? di Messi compariva già in un’iscrizione di un monastero in Galizia

All'interno di un chiostro costruito nel Cinquecento.

«Qué miras bobo? Anda pa’alla, bobo». Non c’è bisogno di dire chi ha pronunciato questa frase e in questo contesto: al pari del gesto canzonatorio di Martinez nella cerimonia di premiazione e del saltabeccare di Salt Bae da una parte all’altra alla ricerca di giocatori argentini da molestare, la frase di Messi rivolta a Weghorst nel dopo-partita di un infuocato Argentina-Olanda è diventata materia per meme, remix, scadente merchandising di culto. Ancor più che certe giocate in campo, sono proprio questi momenti – che raccontano il Messi incattivito, anche un po’ spaccone, che in questo Mondiale trionfante, in qualche modo, è servito – a rimanere nella memoria degli appassionati, argentini e non solo.

Nessuno però avrebbe mai pensato che quella frase – in particolare il Qué miras bobo, che significa “cosa guardi scemo” – sarebbe potuta trovarsi in un monastero: per la precisione, in quello di San Julián de Samos, fondato nel sesto secolo d.C., che si trova nelle vicinanze di Lugo, in Galizia. All’interno di un chiostro (il più piccolo, noto come “delle Nereidi”), datato al Sedicesimo secolo, si trova un’iscrizione che reca appunto quelle parole: Qué miras bobo, in forma ellittica. Una scritta assolutamente ironica, opera di Pedro Rodríguez, che si è occupato delle parti ornamentali del chiostro a metà del Cinquecento. Nessun riferimento a Messi, ovviamente, e quel Pedro Rodríguez, ancor più ovviamente, non è l’ex Barcellona, vecchio compagno di squadra dell’argentino.