Il gol, è inevitabile, fa sempre la differenza quando si giudica la partita di un calciatore, soprattutto se parliamo di un attaccante. Quando poi il gol è bello – anzi: splendido – come quello realizzato da Edin Dzeko in Supercoppa Italiana contro il Milan, allora basta a tenere in piedi un’intera prestazione. In effetti basta riguardarla, quella giocata, l’attacco perfetto della profondità, lo stop con dribbling incorporato, la conclusione forte e precisissima sul secondo palo, per capire quanto sia stata efficace ed esteticamente appagante. E poi, come se non bastasse, è stato anche un momento decisivo: una buonissima Inter era già in vantaggio e stava schiacciando il Milan, un Milan lontano dai suoi standard, dalle sue migliori possibilità, ma quella del raddoppio è sempre una rete che indirizza in modo netto una partita, taglia ulteriormente le gambe agli avversari, raddoppia la strada da percorrere per una rimonta, scava un fossato tra le due squadre in campo. In ultimo, ma neanche tanto, giova ricordare che le due squadre si giocavano un derby – che non è mai una cosa scontata – e un trofeo in una finale secca, quindi molto sentita.
Insomma, a Edin Dzeko sarebbe bastato solo quel gol, quell’azione da attaccante perfetto, per essere eletto come MVP della serata di Riyad. E invece Edin Dzeko ha fatto e ha mostrato molto di più: ha giocato una partita da dominatore assoluto, ha stravinto i duelli con Kjaer, ha orientato e governato la manovra offensiva dell’Inter come se fosse un trequartista creativo, e invece è un attaccante alto e pesante – di 36 anni, per di più. È sempre stata questa la sua cifra, la sua unicità: Dzeko è un centravanti puro che gioca da numero nove ma poi sa anche muoversi e ragionare e far viaggiare il pallone come un numero dieci, come un calciatore che negli anni Settanta e Ottanta sarebbe stato messo nel cuore del centrocampo, a dettare i tempi, come si diceva una volta. Dzeko ha una classe e una versatilità senza tempo, ma anche senza spazio e steccati tattici: certo, magari lanciargli un pallone in campo aperto – come fa il Napoli con Osimhen, giusto per fare un esempio – è meno efficace rispetto a servirlo tra le linee, ma basta riguardare cosa fa in occasione del primo gol dell’Inter per capire che sì, Dzeko può essere utilissimo anche quando l’azione si sviluppa in verticale, con passaggi diretti.
La forza di Edin Dzeko è sempre stata questa: è un attaccante atipico che però gioca anche da centravanti vecchio stampo. Nei suoi highlights personali della sfida di Supercoppa – che, inevitabilmente, sono spuntati come funghi su tutte le piattaforme possibili: sotto ne trovate uno – si vedono tanti duelli aerei vinti con una superiorità netta, quasi imbarazzante. Con il bosniaco schierato accanto a Lautaro, Simone Inzaghi ha a disposizione una quantità enorme di possibilità tattiche, alcune modernissime e altre meno, e quindi la scelta/necessità di rinunciare a Lukaku, di non ritenerlo più intoccabile, è meno impattante rispetto a quanto si potesse immaginare un anno e mezzo fa, quando il centravanti belga scelse di accettare l’offerta del Chelsea. Anzi, paradossalmente finisce per ampliare la varietà del gioco dell’Inter.
Tutte giocate di grande qualità ed efficacia
È grazie a questa capacità di cambiare che l’Inter, quando è fisicamente e tecnicamente in palla, riesce a diventare una squadra difficilissima da affrontare per chiunque. Persino il Napoli leader del campionato è stato schiacciato dalla squadra nerazzurra – e da Dzeko, ovviamente – nello scontro diretto, e anche in quel caso il centravanti bosniaco era titolare ed è stato protagonista assoluto. Anche in quel caso, non solo per il gol: con Lukaku e non con Lautaro, era sempre lui a fare da calamita ai lanci lunghi dalla difesa, a ripulire e difendere il possesso, a lanciare Lukaku in verticale.
È successa la stessa identica cosa contro il Milan, nella gara di Riyad. Anzi, in Supercoppa la sensazione di strapotere è stata ancora più netta, ancora più forte. È un discorso tecnico-tattico – ne abbiamo parlato finora – che diventa anche emotivo, perché negli ultimi anni Edin Dzeko ha continuato a crescere, a sviluppare le proprie abilità, così è diventato anche un leader carismatico – forse l’unico aspetto in cui è stato carente nel prime della sua carriera, a Manchester e poi nel corso delle annate buie vissute a Roma – in grado di caricarsi la squadra sulle spalle. E di trascinarla, letteralmente, a vincere. In tutti i modi possibili. Nel secondo tempo, quando il Milan si è espresso un po’ meglio, l’Inter ha usato Dzeko come appoggio, come uomo di alleggerimento, come banca in cui depositare il pallone e sfuggire alla pressione. E alla fine la squadra di Inzaghi ha sofferto poco, pochissimo. Dzeko è uscito a venti minuti dalla fine, sostituito da Correa. Sembrava molto stanco, ed era inevitabile visto quello che aveva dato e lasciato sul campo. Quando è stato premiato con il trofeo personale del migliore in campo e quando ha alzato la Supercoppa – il suo terzo trofeo in Italia e con l’Inter – sembrava molto felice. Difficile trovare qualcuno in campo che meritasse più di lui entrambe queste soddisfazioni: non come premio alla carriera, ma come celebrazione di quello che è adesso. Non era e non è scontato per un attaccante di 36 anni che sembrava destinato a una stagione da comprimario, e invece è ancora fortissimo, dominante, decisivo.