Come si spiega una sconfitta

Pep Guardiola ed Erik Ten Hag hanno rifiutato retorica e polemiche arbitrali, per parlare di campo.
di Redazione Undici 20 Gennaio 2023 alle 13:04

Da anni,  in Italia e non solo, le conferenze stampa e le interviste degli allenatori, soprattutto quelle rilasciate nel postpartita, sono un momento costruito e interpretato ad arte per cercare di creare notizia, polemica, uno scontro con gli avversari o con le istituzioni calcistiche – quelle arbitrali, soprattutto. In realtà è così da sempre, e in fondo è come se fosse parte delle regole del gioco e della vita: un allenatore che perde una partita e che rappresenta un club e anche il suo stesso lavoro, è comprensibilmente portato a difendere ciò che ha fatto, a individuare un colpevole al di fuori di sé o del gruppo di lavoro che guida. Tutti – ma proprio tutti – gli allenatori del mondo, nessuno escluso, hanno avuto da ridire di una decisione arbitrale e/o hanno cercato un alibi per giustificare gli errori della propria squadra. Perciò, paradossalmente, finiamo per sorprenderci quando invece un tecnico fa un’analisi della sconfitta che parte da cose puramente di campo, dagli errori che ha commesso in prima persona e che ha fatto commettere ai propri giocatori, dal fatto che gli arbitri possano sbagliare e che le loro decisioni vanno accettate.

In questo senso, Pep Guardiola ha dato un esempio concreto. Nella conferenza stampa successiva alla sconfitta contro il Manchester United in Premier League (sabato scorso i Red Devils hanno vinto il derby contro il City per 2-1), l’allenatore catalano ha rilasciato alcune dichiarazioni in cui ha smontato moltissimi luoghi comuni, in cui ha rifiutato alcune delle classiche frasi fatte (sulla «mancanza di mentalità», sul fatto che la sua squadra abbia «corso poco» o non abbia «combattuto abbastanza») che si usano per giustificare una sconfitta, piuttosto ha parlato di tattica, di errori individuali e collettivi che hanno indirizzato il risultato. Insomma, ha spiegato una sconfitta, l’ultima sconfitta, a modo suo.

Un modo apprezzabile, visto che non sono tanti gli allenatori che parlano di calcio in questi termini: «Non ho aiutato la mia squadra e i miei giocatori a essere perfetti», ha detto Guardiola. «Ci sono stati due o tre posizionamenti errati, e questo ha pregiudicato la partita, il risultato. Noi non siamo una squadra che può seguire gli avversari a uomo, che non può giocare costantemente sulle transizioni, dobbiamo proporre altro, un certo tipo di possesso: il passaggio giusto tra centrale e terzino, fatto al momento giusto. Anche contro il Southampton (il City ha perso contro i Saints in Coppa di Lega, ndr) non abbiamo fatto bene determinate cose e così abbiamo perso. Non è una questione di scarsa corsa o mentalità, per me sarebbe facile dire ai miei giocatori che, semplicemente, “non hanno corso abbastanza”. In questo modo, però, non li aiuterei a capire cosa c’è che non è andato nel modo giusto. Evidentemente nelle mie decisioni ci sono stati degli errori e devo individuarli per correggerli. Anche perché nel calcio non c’è memoria, ci si aspetta sempre che le squadre giochino bene e vincano oggi, domani, sempre. Qualora non dovessimo riuscirci, tutti direbbero “Pep Out!” e invece io voglio che sia “Pep In!”. Voglio stare qui, e quindi devo trovare il modo per vincere le partite». Per chi volesse risentire questo passaggio in lingua originale, ecco il video:

Non solo Guardiola, ovviamente, ha deciso o decide di tenere comportamenti di questo tipo. Proprio il manager del Manchester United, Erik ten Hag, ha detto altre frasi molto interessanti dopo il pareggio contro il Crystal Palace nell’ultimo match di Premier League disputato dalla sua squadra. La gara è finita 1-1 (il Palace ha trovato il pareggio con un gran calcio di punizione segnato da Olise nei minuti di recupero della ripresa), ma ci sono state delle polemiche per un presunto rigore non assegnato ai Red Devils quando il risultato era di 0-1. Stuzzicato su questo episodio, Ten Hag ha detto che «bisogna accettare le decisioni degli arbitri e degli assistenti Var. Io, come allenatore, ho il dovere di guardare alla mia squadra, al mio lavoro, e allora dico che avremmo dovuto segnare un secondo gol, così da evitare che il nostro risultato potesse dipendere da una decisione dell’arbitro». Insomma, sono gli stessi concetti espressi da Guardiola, solo declinati sul rifiuto delle polemiche arbitrali. Riportare tutto al campo, al gioco, al lavoro tecnico-tattico, potrebbe essere la strada giusta per avere un dibattito meno velenoso, meno inquinato, sulle partite di calcio.

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