Quello che ci resta, oggi, di una trasmissione storica come Mai dire Gol sono i profili ufficiali della Gialappa’s Band su Facebook e Instagram, e una pagina tributo che si chiama “Rivogliamo Mai Dire Gol”. Il resto abita tutto dentro i nostri ricordi. La saggezza popolare racconta che molto spesso chi diventa un tabagista di ferro è figlio di grandi fumatori e che l’abitudine al fumo passivo non solo fa nascere una passione ma la tiene viva e la rende inossidabile. Dall’inizio degli anni ’90, ancora bambino, sono stato un telespettatore passivo di Mai dire Gol a livelli vicini alla compulsività. Guardavo e riguardavo le stesse puntate, conoscevo ogni personaggio e ogni sketch, sapevo esattamente come sarebbero stati vestiti i comici. Lo guardavano mio padre, mia madre, mio fratello più grande, i miei zii, i miei cugini. Uno di loro, antesignano di YouTube, registrava ogni puntata su dei VHS che catalogava con precise etichette bianche che riportavano numero di puntata e anno. Io non capivo la maggior parte delle battute ma il lunedì sera avevo il permesso di stare sveglio fino a tardi insieme a loro e ridevo sempre con un secondo di ritardo, aspettando che lo facessero anche gli altri. Non capivo da dove provenissero le voci della Gialappa’s Band, ci ho pensato per anni smettendo solo quando una delle mie prime ragazze una sera mi ha detto ma perché pronunci ogni battuta della tua vita come il signor Carlo?
A trenta anni e rotti dalla prima messa in onda Mediaset ha annunciato per la primavera 2023 una nuova edizione celebrativa di quattro puntate in cui provare a riunire tutti i comici e gli artisti che hanno fatto parte del cast. Un’operazione nostalgia alla massima potenza, il rischio altissimo di toccare con mano quanto siamo non solo cresciuti ma anche invecchiati e quanto i nostri idoli non sono riusciti a sottrarsi allo scorrere del tempo.
I Gialappi
Mai dire Gol sono Giorgio Gherarducci, Marco Santin e Carlo Taranto scritti in rigoroso ordine alfabetico. Per dire che il loro nome deriva da una pianta floreale messicana da cui si estrae un potente lassativo per cavalli basta Wikipedia, così come è facile raccontare che in principio furono Taranto e Gherarducci a cui più tardi si aggiunse – come in tutte le storie di duo che diventa trio – Santin. Per conoscerli bene ed essere certi di distinguere la loro voce tra mille sono serviti anni e anni di frequentazioni assidue, una fedeltà assoluta a cui non sono venuto meno nemmeno per i prodotti meno riusciti degli ultimi anni (e ce ne sono stati) e per la loro risciacquatura in Arno di Twitch, una veste che devo dire gli dona. I caratteri e i colori delle trovate sono complementari con il ritmo e la punteggiatura televisiva del signor Carlo, la dirompente cattiveria di Giorgio e la voce beffarda di Marco Santin che mentre ti prende tremendamente per il culo ti fa credere di essere un figo.
La Gialappa’s Band – come entità una e trina – può essere considerata il miglior autore televisivo, comico, talent scout, antropologo e presentatore di tutta la televisione dagli anni novanta fino ai duemila. Il trio è già stato YouTuber, podcaster e streamer quando tutto questo ancora non esisteva ma allo stesso tempo non è mai stato così avanti da non essere capito. La Gialappa’s ha sempre fatto cose fighe, intelligenti, alte il giusto ma anche tremendamente stupide nell’accezione migliore e più nobile del termine. Esiste una clip che descrive questo concetto in purezza ed è lo sketch in cui Johnny Glamour, il deejay balbuziente interpretato da Giovanni Storti, ospita Marco Pantani: il ciclista romagnolo era infortunato e mostra tutta la sua simpatia, e tutto il suo impaccio, in una gag tanto semplice quanto divertente e piena di malinconia.
Proprio Glamour, che è un personaggio che forse si può addirittura definire minore nell’epopea maidiregoliana, ci restituisce quello che era la trasmissione in quel tempo giudicando solo il livello e la varietà di alcuni ospiti: Piero Pelù, Don Lurio, Alexis Lasas, Paola Turci e addirittura Fiorella Mannoia. Tutti gli uomini di spettacolo hanno un tocco, una sorta di esprit de finesse pascaliano che è difficilmente controllabile ma che all’occhio dello spettatore non sfugge mai: la Gialappa’s – come Fiorello per esempio – l’ha sempre avuto e non l’hai mai perso riuscendo a reinventarsi dentro Mai Dire Gol. Come scopritrice di talenti cambiati nel tempo e anche diversi, da Nico & i Sardi a Medioman passando per Carcarlo Pravettoni, il dottor Frattale e il massaggiatore Primo Drudi per citare anche alcune perle nascoste dentro anni di trasmissioni; non ha mai perso il tocco neanche come voce presente e assente, a volte urlata a volte sussurrata ma sempre perfetta nei modi e nei tempi di inserirsi. La Gialappa’s non oscurava nessuno dei suoi personaggi ma riusciva sempre a essere il carburante perfetto per far decollare tutti. Un acceleratore di prestazione come più se ne sono visti nella televisione italiana, molto di più e meglio di più di Valerio Lundini e Giovanni Benincasa – due fuoriclasse, sia chiaro – per citare la stretta attualità.
Gli anni d’oro
La prima puntata di Mai Dire Gol è andata in onda il 18 novembre del 1990 continuando ogni lunedì legata alla stagione calcistica. Sì, l’inizio di tutto, il magico pretesto e filo conduttore di una trasmissione che è diventata molto di più è stato proprio il calcio. Va detto e ribadito, a costo di essere retorici e ripetitivi: per tantissimi motivi anche contingenti, il mondo del pallone non è mai più stato in grado di raccontarsi in modo così genuino, scanzonato e divertente. Al netto delle ospitate, le imitazioni, le prese in giro, due episodi su tutti per ricordarci cosa è stato in grado di fare Mai dire Gol: Ruud Gullit a petto nudo che suona come un tamburo la pelata di Attilio Lombardo in apertura della sigla del 1994 “La cinica lotteria dei rigori” di Elio e le Storie Tese; Paul Gascoigne che dal ritiro della Lazio imita Elvis Presley insieme ad alcuni compagni. E questa è solo una limitata metonimia che ci racconta una parte per tutto che davvero non potrà tornare mai. Mai più nessun presidente dopo Massimo Moratti (insieme a un Sandro Mazzola in grande spolvero) si presterà a mettere in scena la presentazione di Rolando – Aldo Baglio – con tanto di allenamento dell’Inter, tutti vestiti con la divisa mimetica di ordinanza.
I puristi considerano l’ultima vera edizione quella del 2001, seguita da un’interminabile e anche fortuna declinazione degli altri Mai Dire: Domenica, Grande Fratello eccetera eccetera. La Gialappa’s riuscì a sconfinare ben presto nella satira sociale – sopraffina in certe vette come con Carcarlo Pravettoni – e anche politica mantenendo toni sempre apprezzati ma non per questo meno pungenti. Pierpiero, il giardiniere di Arcore interpretato da Antonio Albanese rimane uno dei personaggi più raffinati e orizzontali così come l’Ingegner Cane a cui hanno fatto seguito anche imitazioni più classiche come quella di Letizia Moratti impersonata magnificamente da Paola Cortellesi. Mai Dire Gol è stata anche la prima trasmissione a prendere in giro la televisione (Blob lo ha sempre fatto in un altro modo, usando una sorta di meta linguaggio) mettendone a nudo le contraddizioni e le fragilità. Oltre ad alcuni spezzoni grotteschi di trasmissioni Rai, Mediaset e di tivù private (in ordine sparso cito a memoria i cult di Frosinone Culone, il dotto Marvelli, Maurizio Mosca in tutte le sue forme, Luca Giurato e Betello), va menzionata un’incredibile parodia di Linea Verde con riuniti una serie incredibile di fuoriclasse: Maurizio Crozza nei panni del presentatore Putignani, Claudio Bisio il sindaco, Luciana Litizzetto la bella del paese, Fabio De Luigi Bastilani che batte il ferro, Gioele Dix l’intellettuale e Ugo Dighero la vecchina. Viaggi improbabili in paesi improbabili mettendo in scena quello che Boris avrebbe raccontato in maniera ancora più strutturata e approfondita oltre dieci anni dopo.
Quelli dal 1990 al 2001 sono stati anni intensi e lunghissimi, partiti nel segno di Teo Teocoli alla conduzione. È stato lui il personaggio esterno ai tre factotum che più ha inciso anche a livello autoriale e di personalità sul programma, andandosene poi come un fulmine a ciel sereno. Litigarono, ebbero qualche controversia ormai annacquata dal tempo e chiarita nel tour di ospitate che i Gialappi stanno facendo per presentare il libro che racconta la loro carriera. Si sono riconciliati a Che Tempo che Fa, ma già i segnali di pace erano arrivati durante una puntata di Deejay Chiama Italia. Teo Teocoli, sotto le mentite spoglie di Peo Pericoli, è stato il primo e più celebre presentare del programma, vero padrone di casa e voce integrata perfettamente alle tre fuori campo. La luna di miele durata fino al 4 dicembre 1995 ha rappresentato forse l’unione d’intenti comica e intellettuale più riuscita della televisione moderna. A tutto questo Teocoli aggiunse il personaggio di Felice Caccamo, mitologico anche nell’abbigliamento e nella scenografia oltre alla miglior imitazione mai fatta di Adriano Galliani.
L’appartenenza
Il filo conduttore che ha tenuto insieme tutto e che lo fa vibrare ancora dopo tanti anni è l’appartenenza, declinata nelle sue diverse forme. Era bello appartenere al gruppo di Mai Dire Gol dove i comici si sentivano coccolati e realizzati e facevano di tutto per approdare, era bello appartenere a un popolo che il lunedì sera non usciva per davvero per vedere in diretta la trasmissioni, è stato bello far parte di questa generazione anche quasi fuori tempo massimo come è capitato a i ragazzi che oggi hanno 30 anni o poco meno.
E adesso Mai Dire Gol proverà a tornare in uno speciale Sunset Boulevard, come di certo Elio e le Storie Tese definirebbe le puntate celebrative previste per aprile. Non possiamo dire se sarà entusiasmante e se avrà il ritmo forsennato di un tempo – probabilmente no – ma sarà sempre bello esserci e poter dire ancora una volta «Stasera stiamo in casa che c’è Mai Dire». Forse farà l’effetto di quelle vecchie partite del cuore in cui guardiamo giocare i nostri vecchi idoli e ci ricordiamo quanto eravamo giovani quando loro erano forti. Mentre adesso noi abbiamo i capelli bianchi e loro un po’ di pancetta. Ci sarà un po’ di dolore per il ritorno ma sarà indimenticabile. Come quando Bebo Storti, truccato con uno sciagurato blackface, si intrufolò alla cerimonia d’apertura dei Mondiali di Sci 1996 in Sierra Nevada e sfilò con la bandiera del Senegal insieme allo sciatore Lamine Gueye. Era Alfio Muschio, fece la storia. Chi cambia canale, è un truffaldino!