Come i concept kit hanno influenzato il mondo delle maglie da calcio

La diffusione dei concept kit e delle jersey virtuali ha, per la prima volta, raccontato una realtà diversa rispetto a quanto siamo abituati. Un fenomeno parallelo che ha finito per influenzare anche l’estetica del mondo “reale”.

La scorsa primavera, anziché di Air Force o di Jordan 1, la gente parlava delle “Cryptokicks”. Un paio di sneaker Nike coloratissime con lo swoosh luminescente come un neon. Prezzo: fino a 130mila dollari. Particolarità: è inutile cercare i numeri disponibili se volete acquistarne un paio (a patto che abbiate 130mila dollari da spendere in sneaker). Le Cryptokicks non si indossano: si posseggono. Sono i ventimila NFT che Nike, in collaborazione con RTFKT, ha lanciato sul mercato aprendosi alle nuove possibilità messe a disposizione del virtuale. Se i beni di consumo diventano token, può esserlo anche la nostra passione? Il tifo, l’ossessione che abbiamo per una squadra di calcio? E cosa può essere più esemplificativo, di tutto questo, di una maglia da gioco?

Modelli in 3d. Concept virtuali. Design fittizi o customizzati per l’utilizzo nei videogiochi. Le maglie da calcio hanno abbracciato la dimensione dell’astratto e vi si sono stabiliti in maniera profonda, radicata. Quello che prima eravamo abituati a concepire come un semplice equipaggiamento oggi è sfociato nelle più disparate modalità creative. Perché ci sono possibilità sempre più allargate, perché ci sono audience sempre più interessate: lo vediamo ogni giorno come le maglie da calcio siano diventate un hub creativo, arrivano in passerella, vengono rivisitate in chiave artistica, sono indossate ben al di là del loro valore primario. Il virtuale ha intercettato tutte queste tendenze e poi ha prodotto un effetto non banale: ha ampliato gli orizzonti e, così facendo, ha impattato sul mondo reale.

Marlon Feeney-Thompson è un graphic designer inglese. Più probabilmente, lo conoscete con l’alias di Settpace: oggi il suo profilo Instagram conta oltre 120mila follower. «Ho cominciato come designer convenzionale, cercavo un lavoro ma facevo fatica a farmi notare», ci racconta. «Poi, nel 2013, ho creato un profilo per immaginare crossover tra la moda e il calcio». Gucci x Juventus, Psg x Dior, Burberry x Inghilterra e così via: i design di Settpace hanno catturato l’attenzione di tutti gli appassionati. Hanno spinto la sua popolarità ma soprattutto hanno previsto il futuro: negli anni a venire avremmo visto Palace disegnare una maglia della Juventus o Y3 firmare alcune divise del Real Madrid. Le creazioni di Settpace sono conosciute come “concept kit”: maglie che esistono solo virtualmente, realizzate generalmente da designer che lavorano al di fuori dei perimetri, per così dire, ufficiali. «I concept kit sono maglie da calcio ideate in nome del design», spiega Phil Delves, content creator inglese. «Questi kit in genere sono liberi di esplorare soluzioni creative che altrimenti non potremmo mai vedere». Questo fenomeno “spontaneo” ha avuto i primi casi rilevanti circa una decina d’anni fa, con alcuni designer che hanno intercettato il rinnovato interesse per le maglie da calcio a fronte di un certo piattume da parte dei brand di sportswear – tra i “pionieri” dei concept kit, anche designer italiani come Angelo Trofa e Federico Maccapani. Ben presto, il filone si sarebbe fatto sempre più diffuso e conosciuto. C’era voglia di design innovativi, e in quel momento le risposte arrivavano non dai canali tradizionali, ma da questo movimento alternativo.

 

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Trofa e Maccapani sarebbero finiti a lavorare, di lì a poco, per Nike e Adidas. Settpace avrebbe aggiunto al suo portfolio svariate collaborazioni, come Adidas, Ea Sports, Playstation. Il mondo “reale” si sarebbe fuso con quello “virtuale” in un batter d’occhi. Più cresceva l’interesse per le maglie da calcio, più nascevano nuovi concept kit, e nuovi designer si accostavano con entusiasmo a quel mondo. Al tempo stesso, i brand beneficiavano dei nuovi input e, soprattutto, non volevano restare indietro: hanno rinnovato completamente il loro approccio, spingendo sul pedale della creatività come non mai. Se certi design sono troppo “eccessivi” per le maglie da gioco, vengono riutilizzati su altri fronti – come le jersey pre-gara o l’abbigliamento lifestyle. Il patrimonio creativo non può andare disperso.

I concept kit hanno davvero rappresentato un punto di non ritorno, e continuano a essere un punto di riferimento non trascurabile. Come ammettono i designer che lavorano per i brand sportivi più importanti, quei lavori vengono notati e considerati – anche per distinguersi. Le barriere sono definitivamente cadute quando club e marchi hanno chiesto direttamente a questi designer di lavorare sulle maglie da gioco ufficiali. La via preferenziale è quella dei contest, in modo da raccogliere candidati da tutto il mondo e gli spunti più disparati: limitandosi solo agli ultimi mesi, lo abbiamo visto per la quarta maglia della Fiorentina e per la divisa che il Betis indosserà nelle partite di Coppa del Re. Il salto più audace lo ha fatto il Borussia Dortmund, la cui maglia home della prossima stagione sarà realizzata a partire da un concept scelto tra varie proposte arrivate da graphic designer “amatoriali”. I concept kit sono nati per riempire uno spazio che non c’era? «Forse sì, ma dal mio punto di vista devono la loro diffusione a due fattori: una visione diversa rispetto ai grandi brand e la possibilità di espressione creativa», dice Jaime Cañas Muñoz, alias Soccept, che su Instagram sfiora i 90mila follower. «La comunità dei kit creator crea design davvero interessanti che potrebbero avere un posto nella realtà. Siamo consapevoli che i brand ci osservano e che in certi casi, addirittura, siamo un’ispirazione per loro. Non è un discorso di imitazione, è più un condividere certi punti di partenza. Considero la nostra community come una boccata d’aria fresca. Non abbiamo mai voluto andare contro i brand: se disegniamo concept kit è perché ammiriamo il loro lavoro, e speriamo un giorno di farlo con loro».

 

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Disegnatori e illustratori che hanno sviluppato le loro competenze nel “virtuale” sono così venuti a contatto con il “reale”. Ma il primo amore non si scorda mai: è anche grazie al loro lavoro se oggi esiste un genere a sé stante – quello delle maglie virtuali per il virtuale. Non poteva esserci piattaforma migliore per la loro proliferazione dei videogiochi, Fifa in particolare: negli ultimi anni, il videogioco calcistico più utilizzato al mondo ha dato vita a release speciali, vuoi per modalità peculiari del gioco, vuoi per celebrazioni di vario tipo. Anche la concorrenza, eFootball PES, si è mossa tempestivamente sotto questo punto di vista – l’esempio migliore di tutti è il kit della Roma realizzato in collaborazione con Brain Dead, un importante club di calcio che si unisce a una realtà di streetwear per un’esplorazione esclusivamente videoludica. Forse nessuno più di Scott McRoy ha disegnato i kit più eccitanti in questo ambito. Molte delle release di Fifa più gettonate – come i kit di Volta Football, la maglia celebrativa dell’unità d’Italia, la collezione “Naughty Or Nice”, la più recente – sono proprio creazioni di McRoy: «La differenza tra disegnare un kit per un videogioco e per la realtà è molto significativa», ci racconta. «Per quanto riguarda le maglie utilizzate nei videogame, cerco di concentrarmi su come saranno viste su una televisione o su un monitor, quanto potranno essere riconoscibili. Posso sbizzarrirmi con pattern davvero pazzi, senza preoccuparmi di un’eventuale produzione. Quando si realizza una maglia “reale”, che puoi toccare, allora devi considerare altri aspetti, come il tipo di tessuto, il taglio, le tecniche di stampa, e così via. Anche per questo devi considerare molto più attentamente i dettagli – hai visto il colletto della divisa del Brasile?».

Quello che avvantaggia chi lavora su concept kit e maglie virtuali è la libertà d’azione. «La posta in gioco è più alta per i marchi che realizzano prodotti fisici», fa notare Settpace. «Noi abbiamo totale libertà di disegnare quello che vogliamo, senza limiti né regole. Ma un prodotto reale, perché abbia un senso in un’ottica commerciale, deve avere un bell’aspetto e anche funzionare in scenari reali. Questo è lo step in cui il processo può diventare complicato, dove bisogna considerare molte altre cose rispetto al design in sé». Per la maggioranza di questi designer non è nemmeno un obiettivo: «Portando avanti il mio progetto Soccept», dice Cañas Muñoz, «non ho mai pensato alla possibilità di produrre un giorno queste maglie. Quello che mi è sempre interessato è migliorare le mie tecniche creative e divertirmi nel processo, dall’inizio fino alla pubblicazione». Clément Thiery, in arte Saintetixx, altro specialista di maglie virtuali, ammette: «Molti concept kit non sono realizzabili, si tratta semplicemente di un modo per mettersi in mostra e per offrire ai fan qualcosa di diverso». Saintetixx ha lavorato negli ultimi anni con alcuni brand, come Le Coq Sportif e Umbro, e con squadre francesi, tra cui Saint-Étienne e Clermont Foot 63: «Oggi mi occupo della “realtà”, perciò mi concentro su kit che potrebbero esistere in concreto. I design che vediamo in giro sono molto vicini a certi concept, perciò sì, penso che una certa influenza ci sia stata». McRoy fa due esempi: «La maglia della Nigeria del 2018 e la away del Messico di quest’anno. insomma, molti kit ultimamente hanno davvero spinto i limiti all’estremo». Se un equilibrio tra reale e virtuale ci deve pur essere, sicuramente nel tempo è stato spostato molto oltre certi vecchi confini, contribuendo a ridefinire l’intero scenario globale delle maglie da calcio.

 

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Proprio quando abbiamo scoperto che la sovrapposizione non poteva essere più eloquente di così, lo studio creativo Knas ha avanzato un progetto/provocazione chiamato “Football ex Machina”: «Ci siamo chiesti: l’intelligenza artificiale può disegnare maglie da calcio migliori?», racconta Sam Gill, Account Director di Knas. «Il senso primario di questo progetto è quello di sperimentare e testare nuove possibilità creative, in questo caso con le maglie da calcio. Ognuno dei kit, realizzati in collaborazione con l’artista 3D Groba, è il risultato di numerosi tentativi con immagini generate dall’intelligenza artificiale. Le nostre preferite sono state poi applicate su un modello in 3D». Design fiammeggianti e grafiche futuristiche sono il leitmotiv di queste divise che non vogliono discostarsi, però, dalla tradizione cromatica delle varie Nazionali. «Con questo, abbiamo voluto dimostrare che l’intelligenza artificiale è uno strumento formidabile per creare iterazioni di un concept», prosegue Gill, «ma avrà sempre bisogno delle idee e dell’assistenza di un essere umano». Fa tutto parte di una volontà comune di spingere quei confini sempre più in là. «Il successo delle maglie pre-gara è un esempio perfetto per spiegare quanto gli appassionati apprezzino i design sperimentali», osserva Gill. «Secondo me oggi c’è spazio tanto per i kit sobri quanto per quelli esagerati. Ciò che rende una maglia riuscita è la combinazione di una grande idea e di un’eccellente esecuzione nel giusto contesto. I confini tra calcio, moda, videogiochi diventeranno sempre più sfocati man mano che troviamo nuovi modi di concepire i kit digitalmente, e non vediamo perché tutto questo non possa tornare utile a quello che arriva in campo».

 

Da Undici #48