È appena cominciato il secondo tempo di Roma-Empoli, i giallorossi sono in vantaggio di due reti. La Roma batte un calcio d’angolo, l’Empoli riesce ad allontanare ma solo temporaneamente: la palla finisce sui piedi di Dybala, che si coordina e calcia con il sinistro. Vicario respinge con i pugni, in un modo un po’ grossolano, e la respinta arriva comoda per Mancini che di destro colpisce a botta sicura. Il portiere dell’Empoli si ripete, questa volta con un intervento decisamente più difficile, tuffandosi alla propria destra un attimo prima che il pallone si allunghi in rete. Finita? Macché. La palla danza malefica attorno alla linea di porta, per Abraham dovrebbe essere un gioco da ragazzi buttarla dentro. L’attaccante giallorosso accenna un colpo di testa, lo fa con una certa nonchalance, tanto l’occasione è facile. Se prendessimo un modello di xG, beh, qui saremmo vicini a un uno tondo tondo.
Ma il calcio è fatto per smentire gli xG, e i portieri nati per esaltarsi quando i gol sono praticamente fatti. Guglielmo Vicario conferma la regola. Dicevamo: Abraham di testa, a pochi centimetri dalla porta. Dove l’abbiamo già vista? Ah sì, Milan-Liverpool, finale di Champions 2005: Shevchenko che calcia da pochissimi passi e i guantoni di Dudek che, chissà come, respingono la conclusione violenta dell’ucraino – era scritto nelle stelle, a vederla con il senno di poi, che quella coppa dovesse andare in direzione Inghilterra.
Vicario, no: non c’è niente di casuale nella parata del portiere dell’Empoli, perché, quando Abraham colpisce il pallone, il numero uno dei toscani – che, ricordiamolo, ha appena compiuto un intervento prodigioso su Mancini – fa di tutto per coprire il proprio specchio di porta. Non potendosi rialzare, vista la consequenzialità ravvicinata degli eventi, para nell’unico modo possibile: inerpicandosi per aria con i piedi, in un rovesciamento non solo della logica, ma del mondo intero. C’è un gioco di schemi, dettagli, preparazioni fisiche e tattiche lunghe settimane, e poi arriva un tarantolato a sovvertire la più basilare delle leggi.
L’account Youtube della Serie A ha pubblicato il video chiamandolo “tripla parata clamorosa”. Una definizione che ha echi fantozziani – “triplo filotto reale”, ecco. Nella partita a biliardo contro il conte Catellani, Fantozzi sfoggia una meraviglia dopo l’altra, con le nomenclature che accompagnano i suoi colpi vincenti sempre più imponenti, fantasmagoriche, quasi irreali. Ecco: la tripla parata di Vicario è davvero irreale, ed è un climax in tutto e per tutto – come un gioco a premi, in cui le prime prove sono abbordabili, e puoi permetterti anche di non dare il meglio di te, ma poi la difficoltà cresce a dismisura e allora, per conquistare l’ultimo premio, devi dare prova di cose difficili a credersi.
Guglielmo Vicario è senza dubbio uno dei portieri più forti del nostro campionato, un erede della tradizione friulana dei numeri uno – incredibilmente in piedi ormai da decenni, che da Zoff arriva ai tempi odierni, con Meret, Provedel e appunto Vicario. Nel calcio sempre più robotizzato e scientifico dei giorni nostri a un portiere si chiede null’altro che affidabilità, in tutti i fondamentali: nel parare, ma anche nelle uscite alte, in quelle basse, anche nella gestione del pallone con i piedi. Insomma, meglio la regolarità che l’eccezionalità.
Il portiere dell’Empoli è certamente bravissimo in tutti gli aspetti, ma qui, come fosse un richiamo della foresta per calciatori con i guantoni, emerge la follia, l’imprevedibilità che certi portieri hanno iniettato nelle pieghe del calcio – e anche in chi è cresciuto guardandoli: Buffon, per esempio, ha più volte eletto a proprio modello di riferimento un portiere “spericolato” come Thomas N’Kono. Vicario, in questa occasione, non si accontenta di parare, ma fa qualcos’altro, sconvolge l’intero ordine delle cose, come se impossessato da uno spirito dionisiaco che lo rende insuperabile per gli avversari. Lo fa con un’acrobazia, un’acrobazia di livello clamoroso, un termine che associamo a rovesciate, giravolte, sforbiciate e altre cose che appartengono agli attaccanti. Per una volta, anche ai portieri.