Tutto è possibile nel mondo di Football Manager

Abbiamo ripercorso la storia di FM fino agli sviluppi più recenti che si sovrappongono al calcio “reale”, con il suo direttore storico: Miles Jacobson.

La cosa più incredibile di Craven Cottage, lo stadio del Fulham Football Club, non è che le sue tribune siano a picco sul Tamigi, o che abbia quel bellissimo timpano triangolare in cima alla Johnny Haynes Stand: la cosa più incredibile di Craven Cottage è che si integra perfettamente nella zona residenziale in cui si trova, è che il muro di cinta in mattoni rossi che dà su Stavenage Road è in continuità con i muri delle altre case del vicinato, è che i gate d’ingresso sono mimetizzati nel quartiere, compaiono all’improvviso, e allora chi decide di andarci deve stare attento, non è facile capire che quelli sono i tornelli di uno stadio.

Questa è la prima cosa che racconto ogni volta che parlo della mia visita a Craven Cottage. Subito dopo aggiungo che mi sono innamorato del Fulham e che ho deciso di andare a Craven Cottage «grazie a Football Manager o per colpa di Football Manager», l’unico videogioco che acquisto ogni anno da vent’anni a questa parte, un passatempo che è entrato con forza nella mia vita e non vuole saperne di uscirne, per fortuna. Sto parlando, per chi non lo conoscesse, di un simulatore in cui i giocatori umani impersonano un allenatore – o meglio: un manager all’inglese, di quelli che si occupano anche del mercato – e possono vivere una carriera sportiva potenzialmente infinita dentro un universo virtuale che vuole essere l’esatta riproduzione del calcio reale. Se qualcuno ora sta pensando che io sia un tipo strano, farebbe meglio a ricredersi: la mia storia non è isolata, non può esserlo, visto che il professor Garry Crawford, docente in sociologia all’Università di Salford, ha concluso un’indagine scientifica in cui ha dimostrato che «giocare a Football Manager porta gli utenti a costruire un’identità sportiva che va oltre le dinamiche tipiche del tifo calcistico».

La mia storia non è nemmeno la più assurda, a dirla tutta: in rete si trovano dei racconti a dir poco leggendari, per esempio quello di una coppia di novelli sposi di Ayr, Scozia, che ha scelto di ambientare il proprio viaggio di nozze in Bulgaria perché lui, il neo-maritino, voleva visitare la città della squadra che aveva allenato su FM. Quando parlo di tutto questo a Miles Jacobson, che di mestiere fa il il direttore dello studio di Sports Interactive (la casa produttrice di Football Manager) e che quindi per me è una specie di dio, lui mi dice che «il gioco genera questo tipo di identificazione perché è il frutto di un lavoro durissimo basato su un’idea chiara, inderogabile: io e il mio team vogliamo che i nostri utenti vivano un’esperienza immersiva in un mondo parallelo che deve assomigliare il più possibile al mondo reale, che sappia restituirgli le stesse sensazioni del calcio vero. Allo stesso tempo, però, i giocatori devono sapere che in questo mondo parallelo possono fare e può succedere di tutto».

Forse Miles Jacobson la pensa così perché a lui è capitato qualcosa di davvero incredibile: all’inizio degli anni Novanta era un semplice fan di Championship Manager – il vecchio nome della serie mantenuto fino all’edizione 2003/04, prima del passaggio da Eidos a SEGA e della trasformazione in Football Manager – e si propose come data tester per il Watford, la sua squadra del cuore, ai due creatori del gioco, i fratelli Paul e Oliver Collyer. In pochi anni, visto che è sempre stato piuttosto bravo e creativo e ambizioso nel suo lavoro, è diventato l’uomo di punta del team di sviluppo, poi è stato nominato amministratore delegato di Sports Interactive. Quando gli chiedo quali sono i motivi del suo successo, Miles risponde mescolando sapientemente concetti alti e bassi, la retorica classica del tifo calcistico e la conoscenza di raffinati meccanismi psicologici e comunicativi: «Io sono cresciuto guardando il calcio, e nel frattempo notavo che il 90% delle persone intorno a me non amava il lavoro che svolgeva. Per questo volevo offrire a tutti una via di fuga dalla loro vita, la possibilità di crearsi una realtà diversa in cui sentirsi allenatori. Allora ho insistito perché Football Manager potesse alimentare la sospensione dell’incredulità, un carattere semiotico per cui i fruitori di un’opera fiction accettano di poter assistere ad avvenimenti impossibili nella realtà. In pratica è la stessa sensazione che pervade gli spettatori dei film ambientati nell’universo Marvel o in quello di Star Wars. Per me creare dei mondi di fantasia è una cosa seria e anche necessaria, e ho trasmesso questa cosa al mio team. È un approccio che ci ha premiato e che ci sta premiando».

Football Manager nasce nel 1992 con un nome diverso – Championship Manager – grazie al lavoro di Paul e Oliver Collyer, due fratelli che scrissero la prima versione del gioco in una cittadina dello Shropshire – anzi, nella loro camera da letto. In seguito si trasferirono a Londra e fondarono la Sports Interactive, che ancora oggi è la casa produttrice del gioco

In effetti i numeri di Football Manager sono incredibili. Non tanto e non solo dal punto di vista quantitativo: sono la fedeltà e la longevità a fare la differenza. Secondo le statistiche di Steam, una delle piattaforme che ospitano il gioco, il tempo medio dedicato a FM edizione 2022 è stato di circa 272 ore per giocatore, più di undici giorni interi; sempre guardando a FM22, nei primi tre mesi dall’uscita sono state rilevate interazioni da parte di 1,5 milioni di utenti attivi, per un totale di 120 milioni di partite virtuali, due milioni di stagioni completate e 42mila esoneri subiti – decisamente pochi, viste certe proporzioni. La stragrande maggioranza degli utenti continua ad avviare e a far progredire carriere offline, e anche questo è un dato molto significativo, se consideriamo che stiamo vivendo un’era – videoludica e non – in cui tutti sono costantemente interconnessi.

Insomma, Football Manager è un gioco di nicchia che però è anche di successo, che non è paragonabile a FIFA per target e per filosofia eppure è riuscito a diventare un fenomeno di costume, un prodotto che ha inciso e incide sulla vita dei suoi utenti. Il punto è che questi utenti sono degli appassionati di calcio che ricercano un’esperienza più complessa rispetto alla semplice simulazione della partita o di un torneo, e allora è inevitabile che il mondo del calcio vero sia legato a questo segmento, al punto da farsi infiltrare. È lo stesso Jacobson a raccontare come avviene questo scambio che diventa osmosi: «La forza di Football Manager risiede nell’accuratezza con cui viene compilato il database: la nostra rete scout è la più grande al mondo, se consideriamo il calcio maschile, così ogni settimana possiamo guardare partite di tutte le divisioni di tutti i campionati del mondo, senior e pure giovanili. Molti osservatori del calcio vero hanno iniziato come dei semplici giocatori di FM o come scout per il nostro team di ricerca, e oggi sono molto apprezzati per via delle competenze che hanno sviluppato nelle loro carriere virtuali, e/o collaborando con noi».

Questa è l’associazione più semplice, più immediata, tra il calcio vero e Football Manager. Ma non è l’unica, anzi: «In tutti questi anni», spiega Jacobson, «abbiamo messo a punto un sistema sempre più raffinato per schedare i giocatori di tutto il mondo e misurare le loro doti. Col tempo, abbiamo capito che dovevamo rendere empirica questa classificazione, che era necessario raccogliere e processare tantissimi dati tecnico-tattici: tiri tentati e tiri in porta, passaggi tentati e passaggi riusciti, tackle, duelli aerei vinti, parate effettuate e così via. Accumulare e conservare questa enorme mole di statistiche avrebbe potuto portare dei ricavi, e non siamo stati i soli a capirlo: i manager di una delle prime società specializzate nella rilevazione di statistiche calcistiche, Opta, hanno spiegato che il loro business è iniziato “perché Football Manager non vende il suo database”. Ora non voglio partire da qui per sostenere che noi creatori di FM abbiamo inventato il concetto di Big Data o di Match Analysis, ma credo che abbiamo contribuito a renderli mainstream. E so per certo che alcuni match analyst hanno iniziato il loro percorso di formazione professionale davanti al loro pc di casa, giocando a FM».

Nel febbraio 2004 Sports Interactive ed Eidos si separano, solo che la prima conserva l’anima di CM, ovvero il database e il motore di gioco. Nasce così Football Manager, distribuito da SEGA, che prende subito il sopravvento sul vecchio-nuovo Championship Manager – destinato per altro a scomparire dopo poche edizioni.

In casi del genere, è inevitabile che dei racconti veritieri si impastino con l’esagerazione, fino a diventare menzogna. Da anni, per esempio, leggiamo di quando in quando che Roberto Firmino è stato scoperto dall’Hoffenheim grazie a uno scouting report di Football Manager. Jacobson smentisce categoricamente questa storia, e aggiunge che «a noi farebbe pure bene alimentare certe leggende metropolitane, ma io cerco di evitarlo in tutti i modi». Quando gli chiedo di raccontarmi una storia vera, verificata, sull’incrocio tra il suo videogame e il calcio reale, Miles risponde prontamente «Ben Brereton». E poi inizia a ricordare: «Un giornalista cileno, durante una sessione di gioco, ha scoperto che questo calciatore aveva la doppia cittadinanza, inglese e cilena da parte di madre. L’ha scritto in un articolo, la Federcalcio di Santiago non ne era a conoscenza, ha fatto le sue verifiche e alla fine Brereton è stato effettivamente convocato in Nazionale». Per la cronaca, oggi Brereton è universalmente riconosciuto come Ben Brereton Díaz. Il secondo cognome, evidentemente ispanofono, è quello di sua madre.

Le domande successive sono inevitabili: allora lo scouting di Football Manager è davvero perfetto? E se è davvero perfetto, come si spiegano gli errori di valutazione compiuti con tanti giocatori che nella realtà non sono stati all’altezza del loro avatar virtuale? Jacobson sorride e risponde: «Il 99% del nostro scouting è esatto, ma esiste sempre un piccolo margine di errore. A volte ci sono giocatori che noi prevediamo diventeranno delle superstar, ma poi ci sbagliamo, semplicemente. In fondo la stessa cosa accade pure nel mondo reale: a volte si spendono trenta milioni per un calciatore, e poi invece vale meno di una sterlina. Io prima mi incazzavo quando mi accorgevo certe cose, ora invece mi fa piacere: è molto romantico, in fondo i manager virtuali si innamorano di calciatori che sono forti in una sola versione del gioco, quindi si innamorano di un nostro errore di valutazione. E così finiscono per perdonarci».

Alla pari di fenomeni fisici come l’espansione di una macchia d’olio o l’accelerazione di una biglia su un piano inclinato, l’incidenza di Football Manager sulla realtà è cresciuta con gli anni, è passata dal micro al macro, è diventata sempre più significativa. E così il gioco e i suoi sviluppatori hanno dovuto far fronte a situazioni più grandi di loro, più importanti del calcio, per esempio quelle che riguardano la politica. La storia più incredibile è quella relativa a Brexit: negli anni passati tra la vittoria del Leave al referendum e l’effettiva uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, Football Manager ha implementato un algoritmo che poteva letteralmente cambiare l’esito del deal nel corso di una carriera virtuale: in pratica ogni giocatore sperimentava un’esperienza diversa tra tutte quelle che attraversavano l’intero spettro tra una Hard Brexit – quella che poi si è concretizzata nella realtà – e il fallimento dell’intero processo. Jacobson ricorda di aver agito in questo modo perché «il nostro obiettivo era rimanere apolitici, ma anche rispondere alla domanda: cosa diavolo succederà ora?

Così abbiamo parlato con politici, accademici, dirigenti e altri attori calcistici: in molti ci dicevano che non sarebbe cambiato niente, ma io non ero convinto. Io e il mio team abbiamo raccolto tutti i dati, abbiamo immaginato tutte le possibili soluzioni e abbiamo presentato il tutto al governo, dicendo: ecco, questo è quello che potrebbe succedere al calcio e al Paese. Dopodiché, abbiamo trascritto tutti i risultati del nostro lavoro nel gioco». Quello che è successo dopo mostra l’impatto enorme che Football Manager può avere sulla realtà: Jacobson ricorda come «molti manager che hanno vissuto la Hard Brexit nelle loro carriere si siano lamentati dell’evoluzione del calciomercato, del fatto che le squadre inglesi non potessero più firmare certi giocatori con i vecchi regolamenti. E sono arrivati a dire, sui social network, che avrebbero preferito tornare indietro nel tempo e non votare il Leave, visto che il calcio inglese era cambiato in quel modo».

L’ultima versione di Football Manager, quella aggiornata alla vigilia della stagione 2022/23, è uscita l’8 novembre scorso. La grande novità riguarda le licenze per le competizioni Uefa per club, acquistate per la prima volta. Inoltre è stato migliorato il motore di gioco e il sistema dei trasferimenti, sia per gli utenti umani che per le squadre gestite dall’intelligenza artificiale.

Negli ultimi due anni e mezzo, Miles Jacobson e gli sviluppatori di Football Manager hanno dovuto gestire due eventi inattesi, catastrofici e di portata globale, entrambi molto più veloci e anche più dolorosi rispetto a Brexit: la pandemia e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Per un brand così radicato e così credibile in una community, per un prodotto che punta a intrattenere ma deve cercare di riprodurre fedelmente la realtà perché possa continuare a esistere, si è trattato di un periodo faticoso, carico di responsabilità. Lo si percepisce chiaramente quando Jacobson inizia a raccontare come hanno gestito le cose: «Per quanto riguarda il conflitto Russia-Ucraina, le sanzioni comminate dalle istituzioni, sportive e non, ci hanno agevolato: la Russia e la Bielorussia sono state bandite dal calcio internazionale, e non abbiamo dovuto far altro che implementare questa situazione nel gioco. Allo stesso tempo, però, abbiamo dovuto anche muoverci con attenzione, con sensibilità. E non è stato facile, perché i nostri giocatori risiedono in tutto il mondo, quindi rispecchiano tutte le visioni politiche».

Per quanto riguarda il Coronavirus, invece, le scelte fatte da Sports Interactive sono state altrettanto nette, però avevano motivazioni differenti: «Ripeto, per me Football Manager è una via di fuga dalla vita reale», spiega Jacobson. «E perciò abbiamo deciso di non includere il Covid nel gioco. Abbiamo pensato che la salute mentale delle persone, in quel periodo, fosse in pericolo, perché messa a dura prova. Eravamo tutti prigionieri nelle nostre case, e io credo che gli esseri umani non siano fatti per essere rinchiusi. Allora abbiamo fatto andare avanti il calcio implementando una nuova situazione economica e sociale nel codice del gioco, ma al tempo stesso abbiamo dato risalto alle pubblicità di associazioni solidali presenti all’interno delle schermate: grazie agli oltre 200 milioni di banner presenti, i nostri utenti erano a un clic di distanza dal contatto con degli psicologi e con altri operatori sanitari specializzati nel benessere mentale. Gli esseri umani fanno sempre un’enorme fatica a chiedere aiuto, ad ammettere di averne bisogno, e a me piace pensare che questa piccola feature abbia potuto spingere qualcuno ad andare oltre certi tabù, mi piace che Football Manager abbia avuto e possa avere questo tipo di impatto sulla vita reale, che di certo più importante di quelli che riguardano il calcio».