La bella storia del Sudan del Sud, che si è qualificato ai Mondiali di basket

Una delle Nazionali più giovani del mondo ha raggiunto un traguardo inatteso.

Il Sudan del Sud è uno degli Stati più giovani e più turbolenti del mondo: il processo per la secessione e l’indipendenza dal Sudan è terminato solamente nel 2011, poi dal 2013 al 2020 c’è stata una violentissima guerra civile che ha provocato 400mila morti, secondo stime non confermate, e ha determinato la fuga di quattro milioni di profughi. In un contesto del genere, era molto difficile che potesse fiorire un movimento sportivo anche solo lontanamente competitivo, ed ecco perché quello che è successo pochi giorni fa all’Al Ittihad Stadium di Alessandria, in Egitto, ha un enorme valore non solo sportivo: la Nazionale di basket del Sudan del Sud ha infatti ottenuto la qualificazione alla fase finale dei Mondiali di basket, che si terrà in Giappone, Filippine e Indonesia tra il 25 agosto e il 10 settembre 2023.

Partiamo dalla cronaca: la qualificazione è arrivata grazie a una vittoria ottenuta – in rimonta – contro il Senegal nella decima giornata del Gruppo F delle qualificazioni organizzate da FIBA Africa; prima del successo contro i senegalesi, il Sudan del Sud aveva accumulato un record di 8-1 contro Egitto, Tunisia, Repubblica Democratica del Congo, Camerun e, appunto, Senegal. Dopo aver conquistato matematicamente il pass per la fase finale, il Sudan del Sud ha battuto anche il Congo e l’Egitto, terminando il suo percorso con un record di 11-1. Si tratta di un successo strepitoso e anche inatteso, non solo per le problematiche di cui abbiamo già detto: come riporta anche Il Post, la Nazionale di basket sudsudanese ha giocato la sua prima gara nel 2011, nel 2015 non si è iscritta alle qualificazioni per il Campionato africano e solo nel 2017 ha affrontato l’Uganda nella sua prima gara ufficiale.

E allora com’è possibile che una rappresentativa così giovane sia riuscita a compiere questa impresa? Buona parte del merito si deve al seguito generato dalla grande carriera di Manute Bol, una delle prime stelle africane della NBA: cresciuto in un villaggio Dinka, inizialmente lavorava come pastore. Poi è stato notato da un osservatore per la sua altezza sbalorditiva (231 centimetri, record assoluto nella lega americana condiviso con Gheorghe Mureșan) e si è trasferito negli Stati Uniti, dove ha giocato con Washington, Golden State, Philadelphia e Miami a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Prima di arrivare negli Usa, mentre era al Cairo in attesa di ricevere il visto, Bol ha fondato una scuola di basket in cui è stato uno dei primi maestri di Luol Deng, anche lui originario del Sudan del Sud e stella NBA tra il 2014 e il 2019 – tra l’altro ha partecipato per due volte all’All-star Game. La grande carriera di questi due totem ha alimentato la passione popolare per la pallacanestro, poi è arrivata l’indipendenza e quindi la volontà/necessità di creare una Federazione locale. E così, nel 2019, proprio Deng si è proposto come presidente. Così è iniziato il viaggio che ha portato fino alla qualificazione ai Mondiali.

Deng, in realtà, non è stato e non è solo il presidente federale e l’uomo-simbolo del movimento: come racconta questo articolo pubblicato dal sito ufficiale dei Giochi Olimpici, ha convinto giocatori di altre nazionalità a rendersi eleggibili – ovviamente quando possibile – per la Nazionale sudsudanese, ha finanziato di tasca propria la logistica per le gare giocate in tutto il continente africano, a un certo punto ha persino accettato di diventare capo-allenatore pur non avendo alcuna esperienza in questo ruolo. Insomma, è stato il grande protagonista della fase embrionale della squadra, ha contribuito in modo decisivo alla sua nascita e a una prima strutturazione. Una grande occasione si è presentata nel 2021, quando la Nazionale algerina ha deciso di non partecipare al torneo continentale e così ha aperto la strada all’esordio del Sudan del Sud. Dopo aver superato il primo turno, è arrivata una sorprendente vittoria contro il Kenya negli ottavi e poi un’onorevole sconfitta ai quarti contro la Tunisia, in seguito vincitrice del torneo. Per celebrare questa impresa, pochi mesi fa, la Nazionale è stata invitata a un viaggio nella capitale del Paese, Juba: ad accogliere i giocatori c’erano migliaia di persone in festa. Tra l’altro molti dei componenti della squadra non erano mai stati nel loro Paese natale, visto che erano nati e cresciuti in altre zone del mondo – soprattutto in Australia – e che l’instabilità socio-politica sconsigliava, diciamo così, un ritorno o anche una semplice visita in patria.

Siamo ormai ai giorni nostri, alle ultime e decisive gare di qualificazione ai Mondiali. Il Sudan del Sud le ha affrontate di nuovo con Deng in panchina visto che il nuovo allenatore, Royal Ivey, è assistente ai Brooklyn Nets e non ha potuto lasciare la sua squadra. Nonostante l’assenza del loro coach, i buoni talenti presenti nel roster – Numi Omot gioca in G-League con i Westchester Knicks, affiliata di New York, Peter Jok gioca in Francia ma ha un passato da collegiale negli States, diversi altri giocatori militano nel campionato australiano o hanno iniziato lì la loro carriera – sono riusciti a portare a termine l’opera. E ora puntano a fare ancora meglio ai Mondiali, visto che potrebbero unirsi a loro dei giocatori di grande qualità che ancora non hanno deciso ufficialmente di rappresentare il loro Paese d’origine: JT Thor dei Charlotte Hornets, Wenyen Gabriel dei Los Angeles Lakers e Bol Bol degli Orlando Magic. Che, questo vale la pena raccontarlo, è uno dei figli di Manute Bol: sarebbe davvero il modo più giusto, più romantico, di chiudere il cerchio di questa bella storia di sport.