Zico in Italia è stato una cometa

Storia di un acquisto incredibile e di due anni un po' strani: il primo accecante, il secondo anonimo.

Oggi Zico compie settant’anni. Ne aveva trenta il 5 agosto 1983, quando allo Stadio Friuli si giocò l’amichevole tra Udinese e Real Madrid, gara decisiva per l’assegnazione del primo trofeo Zanussi – uno spettacolare quadrangolare con Hajduk Spalato e Vasco de Gama. Allo stadio andarono 45mila spettatori, il Corriere della Sera sottolineò che in tribuna c’era anche Walter Chiari. Erano tutti lì per Arthur Antunes Coimbra, meglio conosciuto come Zico: il mitico numero dieci brasiliano, quello tartassato da Gentile al Mundial 82. Lamberto Mazza (il signor Zanussi nonché presidente del club) e Franco Dal Cin lo portarono in Italia al termine di una trattativa che definire turbolenta è riduttivo: di quei giorni convulsi si ricorda un ordigno lanciato contro la Federcalcio a Udine e l’ormai leggendario grido di protesta della tifoseria friulana: «O Zico o Austria». Un’operazione finanziaria ardita e una decisione del Coni che ribaltò l’iniziale no della Federcalcio. Nulla di nuovo, insomma. Con un’appendice politica: l’allora segretario generale della, Cgil Luciano Lama, attaccò Lamberto Zanussi dicendo che «da una parte prepara 4.500 licenziamenti nella sua azienda, la Zanussi, e dall’altra assume un giocatore pagandolo sei miliardi. È un fatto intollerabile. Siamo per la politica dell’occupazione, ma naturalmente di quella dei dipendenti della Zanussi e non del grande Zico».

Tornando alla partita col Real di Stielike, Del Bosque e Juanito, quella sera la gente di Udine tornò a casa sognando a occhi aperti. I friulani vinsero per 2-1, in rimonta: primo gol di Santillana, poi pareggio di Zico col suo marchio di fabbrica, la punizione da fuori area, e infine rete di Causio. Sembrò l’inizio di una stagione indimenticabile. Anche perché l’anno prima, senza Zico, i bianconeri arrivarono sesti. Un mese dopo, cominciò il campionato. Prima giornata: Genoa-Udinese. Giorgio Bubba, inviato di Novantesimo Minuto, si avvicinò al brasiliano e gli chiese: «Zico, ma l’Udinese può vincerlo questo campionato?». Stessa domanda a Enzo Ferrari (omonimo del Drake), il primo allenatore di Zico in Italia. Il risultato della partita sembrò tutto un programma: 0-5 con doppietta del brasiliano. La prima rete la segnò su azione, la seconda su punizione, e il pallone sembrava telecomandato. Quel giorno nessuno avrebbe scommesso una lira (c’erano le lire) sul nono posto finale dell’Udinese, che aveva in squadra anche Virdis, De Agostini, Mauro, Causio. Eppure finì proprio così: nono posto il primo anno e dodicesimo (su sedici) il secondo, con soli tre punti in più dell’Ascoli retrocesso in Serie B.

Zico ha attraversato il calcio italiano come una sorta di oggetto tanto affascinante quanto inafferrabile. C’è stato, sì, ma in maniera sfuggente, da comprimario. Una parentesi non all’altezza della sua fama calcistica. Arrivò pensando di poter vincere lo scudetto. Si rese presto conto che la realtà era diversa. Quando andò via, alla fine della seconda stagione, il suo connazionale e capitano dell’Udinese, Edinho, commentò così: «Al mio primo campionato all’Udinese, l’obiettivo era la salvezza. Arrivammo sesti. Poi venne acquistato Zico e si parlò addirittura di zona Uefa (all’epoca andava in Coppa dei Campioni solo la prima classificata, ndr): finimmo noni e la scorsa stagione abbiamo rischiato la retrocessione. Ora, senza di lui, la squadra è più compatta e omogenea. Non c’è dubbio. E tutti noi saremo anche molto più tranquilli. La società ha sognato ad occhi aperti, si è illusa di diventare una grande del calcio italiano, senza rendersi conto di essere rimasta una provinciale». Amen.

A modo suo Zico ha comunque lasciato un segno nel nostro football. Persino nel giornalismo. Ospite al Processo del Lunedì di Aldo Biscardi, fu protagonista di una vicenda passata alla storia. La Gazzetta dello Sport aveva pubblicato un’ampia intervista del vicedirettore Maurizio Mosca al brasiliano che, tra le altre cose, aveva dichiarato: «Platini sei finito». E quando, in diretta, Aldo Biscardi chiese al calciatore come fosse nata l’amicizia con Mosca, Zico rispose piccato di non aver mai conosciuto quel giornalista e che l’intervista era stata inventata di sana pianta. Avevano sì un appuntamento, ma Mosca non si sarebbe mai presentato. Le versioni furono discordanti, il fatto in sé meno. Quella sera finì la carriera di Maurizio Mosca alla Gazzetta.

Dopo il folgorante esordio a Genova, Zico bissò in casa contro il Catania: 3-1 e altro gol su punizione calciata sempre allo stesso modo. Il portiere – Sorrentino – rimase a guardare, come Martina la settimana precedente e come Augustin del Madrid ad agosto. Rispetto ai colleghi, Sorrentino aggiunse un gesto della mano come a dire: “Che volete da me, è impossibile pararle”. Ad Avellino, terza giornata, segnò la terza punizione di fila, stavolta al giovane Cervone. Ma all’ultimo minuto, sull’1-1, Edinho buttò il pallone nella propria porta e l’Udinese perse. Fu il giorno in cui Zico inaugurò il primo di una lunga serie di scontri con l’establishment del calcio italiano. Si presentò ai microfoni e criticò il trattamento ricevuto dal suo marcatore, Carlo Osti: «Quello che ha fatto Osti nei miei confronti non è calcio. Gli arbitri devono stare più attenti». La polemica montò anche perché proprio il giorno prima un calciatore del Bilbao – Andoni Goikoetxea – aveva maciullato la caviglia di Maradona. Osti andò al contrattacco: «Sono contento che domenica abbiano fatto vedere la partita per televisione: tutti si saranno resi conto delle assurdità di Zico. Sono sbalordito: ho commesso due falli normalissimi. Qui non siamo in Brasile, si deve abituare. Zico si sta creando la fama di vittima». Prese posizione anche l’ex arbitro Michelotti: «Pelé non l’ho mai visto lamentarsi. In Italia non c’è cattiveria, c’è contatto fisico. Per non avere un avversario appiccicato addosso, si deve andare a fare nuoto o pallavolo». Finì con Zico deferito alla disciplinare per le sue dichiarazioni. Il brasiliano commentò: «Il calcio è soltanto un gioco, c’è libertà di parola. Perché non hanno deferito anche Osti che mi ha dato del bugiardo?».

L’esordio di Zico in Serie A, e al termine di questo servizio c’è l’allenatore dell’Udinese che parla di scudetto

In campo Zico funzionava, almeno il primo anno, e quasi esclusivamente a livello individuale. Non proprio un fiore del deserto ma quasi. Segnò 19 gol in 24 partite. Uno dei più belli lo mise in scena a San Siro l’8 gennaio del 1984, nel corso di Milan-Udinese 3-3: in rovesciata su assist di Causio. Partita passata alla storia anche perché Luther Blissett realizzò una delle sue cinque reti in Serie A. Sul Corriere della Sera Annibale Frossi fotografò perfettamente la condizione di Zico nell’Udinese: «Ho avuto l’impressione che il brasiliano in nessun momento abbia dato dimostrazione di possedere una chiara visione del gioco durante le sue proiezioni in avanti. (…) Il discorso sull’inserimento di Zico non è facile. Sulla sua classe è impossibile discutere. L’ho visto cercare dialoghi spumeggianti, toccare squisitamente la palla, e improvvisamente, senza ragioni plausibili, disunirsi, spegnersi, quasi fosse un corpo estraneo alla squadra. Ha perso colpi a centrocampo, a volte mi è sembrato avulso dal gioco. Marcato con la massima correttezza da Tassotti, alcuni suoi “assoli” non hanno sorpreso la difesa rossonera. Meno che in due occasioni, quando il suo innato opportunismo ha deciso il risultato».

Ancora oggi i tifosi dell’Udinese non hanno dubbi sul giorno che invertì il destino dell’avventura italiana del brasiliano: 8 marzo 1984. La squadra giocò un’amichevole a Brescia. Nel libro Zico o Austria, di Enzo Palladini, c’è scritto che Zico avrebbe detto in seguito: «Una partita che il club non avrebbe mai dovuto organizzare». L’accordo era che il numero 10 avrebbe giocato solo un tempo. Però c’erano tantissimi tifosi accorsi unicamente per lui, e quindi fu lo stesso Zico a chiedere all’allenatore Ferrari di giocare pure la seconda frazione. E si infortunò: stiramento. Da quel giorno tante cose cambiarono. Entrò in una spirale negativa, il fisico cominciò a mostrare segnali di cedimento. Saltò cinque partite di campionato quell’anno e dodici la stagione successiva.

Dopo l’infortunio, tornò in tempo per Juventus-Udinese che finì 3-2 e consegnò il tricolore ai bianconeri. Zico segnò ma soprattutto esplose negli spogliatoi. Un’altra volta. «Non fatico a dirlo: la partita non l’abbiamo persa noi giocatori, ma l’arbitro. Quando si sorvola su un calcio di rigore e si fischia un fuorigioco inesistente, l’esito della gara non può non uscirne falsato. Ho capito che in Italia non c’è giustizia, alle piccole squadre non viene mai concesso il dovuto. Se Pieri avesse dato il rigore su di me e non avesse fermato il gioco su quel contropiede di Virdis le cose sarebbero andate molto diversamente, eravamo sul 2 a 1 per noi, non dimentichiamocelo». Anche stavolta venne deferito, insieme al compagno di squadra Massimo Mauro.

La sintesi di Juventus-Udinese 3-2

Il suo secondo anno, con Luís Vinicio in panchina, fu praticamente anonimo. Fece notizia molto più fuori del campo che in campo, soprattutto per le sue traversie giudiziarie, per i problemi col fisco. Col calcio italiano si lasciò male. A segnare il suo definitivo distacco fu la sfida con Diego Armando Maradona che si giocò al Friuli il 12 maggio del 1985. Finì 2-2. Il Napoli andò in vantaggio con una punizione magistrale di Diego. Zico si sentì colpito nell’orgoglio e guidò la reazione dei suoi. I friulani colpirono quattro legni, segnarono due gol e andarono sul 2-1. Sembrava finita ma all’88esimo Maradona pareggiò e lo fece con uno dei suoi colpi di testa sospetti. Decisamente più di mano che testa. Il Var ovviamente non c’era. Il brasiliano andò su tutte le furie. E a fine partita non si risparmiò, sia direttamente con l’arbitro Pirandola che con i giornalisti. Le sue parole furono una sorta di testamento della sua esperienza italiana: «In questi anni e in questa partita l’Udinese è stata maltrattata, sono cose che vedono tutti. Non ha senso lavorare e sudare tutta la settimana, impegnarsi per poi andare in campo la domenica e vedersi arrivare un incapace che ti frega due punti e tanto altro. È terribile. Non ho mai visto cose del genere nel calcio. L’arbitro Pirandola ci aveva maltrattati già nella partita di Como e con la Juventus: è venuto a Udine e ha rovinato la più bella gara dell’Udinese. Contro il Napoli meritavamo di vincere alla grande, invece all’ultimo minuto l’arbitro ha permesso a Maradona di pareggiare con un gol in fuorigioco e anche con la mano». Fu squalificato per sei giornate (ingiurie all’arbitro) e non giocò mai più in Italia.

Qualche giorno dopo, arrivarono pure la condanna a otto mesi di reclusione e un miliardo e 630 milioni di multa per esportazione illegale di valuta. Condanna successivamente cancellata. Lui dal Brasile fece sapere: «Basta, in Italia non torno più. Il Brasile è la mia terra, qui mi vogliono bene». E ancora: «Questa vicenda è saltata fuori quando i giornali hanno pubblicato le prime indiscrezioni sul mio ritorno al Flamengo. Era evidente che mi avrebbero comunque condannato. Zico capitava a fagiolo, hanno preso questo povero fesso per dimostrare che in Italia nessuno sfugge al giusto castigo». Successivamente fu accusato anche di evasione fiscale, anni dopo sarà assolto. Nel frattempo, Udine e l’Italia erano state da tempo dimenticate.